Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30306 del 18/12/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 30306 Anno 2017
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso n. 16456/2013 R.G. proposto da:
CPC – COMPAGNIA PROGETTI & COSTRUZIONI s.r.l. (già s.p.a.), in persona del
legale rappresentante pro tempore – c.f. 03292200585 / p.i.v.a. 01180091009 elettivamente domiciliata in Roma, alla via A. Bertoloni, n. 41, presso lo studio
dell’avvocato Paolo Cieri che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale
in calce al ricorso.
RICORRENTE
contro
HOTEL SPRING HOUSE s.n.c. di Mario Gabbani, in persona del legale
rappresentante pro tempore –

p.i.v.a. 01701761007 – nonché, in proprio,

GABBANI MARIO – c.f. GBBMRA37M12A561P – elettivamente domiciliati in
Roma, alla via Gregorio VII, n. 382, presso lo studio dell’avvocato Maurizio
Zuccheretti che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Gabriele

Data pubblicazione: 18/12/2017

0.Zuccheretti li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al
controricorso.
CONTRORICORRENTI
avverso la sentenza n. 3952 dei 5/19.7.2012 della corte d’appello di Roma,
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 12 settembre 2017

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott.
Alberto Celeste, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità, in
subordine per il rigetto del ricorso,
udito avvocato Michele Quarisa, per delega dell’avvocato Paolo Cieri, per la
ricorrente,
udito l’avvocato Maurizio Zuccheretti per la controricorrente,

FATTI DI CAUSA
Con ricorso al tribunale di Roma la “C.P.C. Compagnia Progetti & Costruzioni”
s.p.a. esponeva che aveva ricevuto in appalto dalla “Hotel Spring House s.n.c. di
Mario Gabbani” l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione dell’edificio alberghiero
di proprietà della medesima committente; che, nonostante la corretta esecuzione
dei lavori, l’accettazione delle opere e l’emissione con esito positivo del certificato
di collaudo, erano rimaste insolute le fatture n. 142/1999, n. 30/2000, n.
31/2000, n. 32/2000 e n. 120/2000, per complessive lire 364.815.978.
Chiedeva ingiungersi alla “Hotel Spring House” s.n.c. e a Mario Gabbani il
pagamento della suindicata somma, oltre interessi e spese.
Con decreto n. 18036 in data 2.11.2000 veniva pronunciata l’ingiunzione.

dal consigliere dott. Luigi Abete,

Avverso tale decreto con atto notificato il 12.12.2000 l’ “Hotel Spring House
s.n.c. di Mario Gabbani” nonché lo stesso Mario Gabbani proponevano
opposizione.
Deducevano che i lavori non erano stati ultimati per fatto e colpa della
appaltatrice, sicché nulla era dovuto per le fatture n. 142/1999 e n. 30/2000 ai

per fatto e colpa della “C.P.C.”, sicché nulla era dovuto per la fattura n. 31/2000,
rappresentativa delle ritenute a garanzia, ai sensi dell’art. 19 del contratto
d’appalto; che nulla era dovuto per le fatture n. 32/2000 e n. 120/2000, siccome
costituenti il consuntivo di opere extracontratto, necessitanti a loro volta, in
conformità all’art. 6 del contratto d’appalto, della formale autorizzazione del
direttore dei lavori.
Deducevano altresì che i lavori era stati consegnati in ritardo e che il marmo
della hall e l’impianto dell’aria condizionata presentavano vizi e difetti.
Instavano per la revoca dell’opposta ingiunzione ed in via riconvenzionale per
la condanna della ricorrente al pagamento della somma di lire 167.672.400, oltre
i costi aggiuntivi per la riparazione dell’impianto di aria condizionata, gli interessi
e la rivalutazione, e con compensazione delle somme eventualmente dovute a
controparte.
Si costituiva la “C.P.C. Compagnia Progetti & Costruzioni” s.p.a..
Instava per il rigetto dell’avversa opposizione.
Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 24627/2006 il tribunale di Roma
rigettava l’opposizione, confermava il decreto opposto e condannava gli
opponenti al pagamento degli ulteriori interessi legali e delle spese di lite.

sensi dell’art. 17 del contratto d’appalto; che le opere non erano state collaudate

Interponevano appello l’ “Hotel Spring House s.n.c. di Mario Gabbani” e Mario
Gabbani in proprio.
Resisteva la “C.P.C. Compagnia Progetti & Costruzioni” s.p.a..
Con sentenza n. 3952 dei 5/19.7.2012 la corte d’appello di Roma accoglieva
in parte l’appello ed, in riforma della gravata sentenza ed in parziale

solido gli appellanti – committenti al pagamento della somma di euro 169.100,00,
oltre interessi legali dalla data di scadenza delle singole fatture al saldo,
accoglieva in parte la riconvenzionale esperita in prime cure dagli opponenti e,
per l’effetto, condannava la “C.P.C.” al pagamento della somma di euro
27.888,67, oltre all’eventuale rivalutazione monetaria, compensava fino a
concorrenza di V4 le spese di ambedue i gradi e di c.t.u. e condannava gli
appellanti al pagamento dei residui 3/4.
Evidenziava la corte in ordine al primo ed al secondo motivo d’appello,
entrambi attinenti all’accertamento del dì di ultimazione dei lavori, che alla
comunicazione di fine lavori ed al certificato di collaudo del 20.10.1999 non
poteva “attribuirsi alcun valore probatorio (…) in ordine alla data di ultimazione
dei lavori, in quanto la circostanza in ess[i] dedotta che i lavori sarebbero stati
ultimati e collaudati in data 13 ottobre 99, è smentita dalla nota in data

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dicembre 1999 (…) a firma del direttore tecnico di C.P.C., indirizzata alla società
opponente” (così sentenza d’appello, pag. 7); che in particolare da tale nota si
desumeva univocamente che i lavori attinenti ad una parte rilevante del contratto
di appalto, ovvero i lavori concernenti l’impianto di condizionamento, di valore
pari a lire 89.505.000 rispetto al valore complessivo – lire 328.000.000 – delle
opere appaltate, non erano stati ultimati alla data dell’ 1.12.1999 “e non
sarebbero stati collaudati prima del 28/12/99” (così sentenza d’appello, pag. 8).

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accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto opposto e condannava in

Evidenziava inoltre, del pari in ordine al primo ed al secondo motivo di
gravame, che l’impianto di condizionamento non era mai stato collaudato,
siccome si desumeva dalla documentazione non contestata di parte appellante,
alla cui stregua l’appaltatrice non era “intervenuta ad eliminare i vizi più volte
denunciati dalla committente a mezzo del suo direttore dei lavori, né [aveva] mai

(così sentenza d’appello, pag. 8).
Evidenziava quindi, in ordine ai medesimi motivi di gravame, che occorreva
assumere quale data di ultimazione dei lavori quella del 5.2.2000, di cui al
certificato di fine lavori allegato dai committenti, sicché il ritardo, al quale
commisurare la penale, si specificava, a decorrere dal 20.10.1999 e fino al
5.2.2000, in 108 giorni.
Evidenziava la corte in ordine al terzo motivo d’appello che l’appaltatrice non
aveva assolto l’onere su di essa gravante “di dimostrare di avere esattamente
eseguito la sua prestazione con riferimento all’impianto di climatizzazione” (così
sentenza d’appello, pag. 9).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “C.P.C. Compagnia Progetti &
Costruzioni” s.r.I.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la parziale
cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
L’ “Hotel Spring House s.n.c. di Mario Gabbani” e Mario Gabbani in proprio
hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o
rigettarsi l’avverso ricorso con condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 cod.
proc. civ. e con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE

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risposto alle lettere con cui veniva sollecitata alla partecipazione al collaudo”

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 3,
cod. proc. civ. la violazione degli artt. 1183, 1184 e 1382 cod. civ..
Deduce che ha eseguito, siccome del resto la stessa corte d’appello ha
riconosciuto, opere ulteriori rispetto a quelle di cui al contratto; che
segnatamente ha eseguito opere extracontratto di gran lunga superiori ad un

milioni di lire, (…) ha realizzato opere per 612 milioni di lire” (così ricorso
principale, pag. 21); che ha pertanto errato la corte di merito ad imputarle il
ritardo di 108 giorni rispetto al termine – 20.10.1999 – concordato e dunque a
condannarla al pagamento delle penali nella misura di euro 27.888,67.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° cc., n.
5, cod. proc. civ. l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine
all’applicazione delle penali per il ritardo nella consegna delle opere; “violazione
dell’art. 2735 c.c. e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.” (così ricorso,
pag. 22).
Deduce che la corte distrettuale ha insufficientemente e contraddittoriamente
acclarato l’asserito ritardo nella consegna delle opere; che invero la corte
territoriale, per un verso, ha fatto leva sulla corrispondenza intercorsa tra le parti
in epoca successiva alla scadenza del termine di ultimazione dei lavori e con cui
le parti avevano concordato alcuni interventi da eseguire sui condizionatori, per
altro verso, ha ritenuto che la comunicazione di fine lavori ed il certificato di
collaudo avessero “solamente valore amministrativo (…) in totale spregio a
quanto invece affermato, rectius, confessato dalla stessa Hotel Spring House nei
documenti” (così ricorso, pagg. 23 – 25) anzidetti.
Deduce che accade solitamente che all’esito di un contratto di appalto vi siano
“nei mesi successivi interventi di manutenzione e/o riparazioni per rendere

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sesto del prezzo convenuto, “atteso che a fronte di una commessa iniziale di 328

l’opera perfettamente funzionante e funzionale alle esigenze del committente”
(così ricorso, pag. 26).
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5,
cod. proc. civ. l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’esistenza
dei vizi dell’opera appaltata.

relativi all’impianto di condizionamento, siccome si evince dalla corrispondenza
intercorsa tra le parti.
Deduce in ogni caso che le opere sono state accettate dalla committente nella
loro interezza e senza riserve e sono state collaudate il 14.10.1999, sicché perde
valenza qualsivoglia successiva doglianza.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ..
Deduce che i vizi asseritamente inficianti l’impianto di climatizzazione sono
stati oggetto di un fugace cenno nell’iniziale atto di citazione in opposizione e
sono stati prospettati nel corso del giudizio di primo grado allorché il thema
decidendum ed il thema probandum erano già stati definiti; che di conseguenza
sono stati in maniera inammissibile prospettati nel corso del giudizio d’appello.
Deduce inoltre che tale circostanza era stata posta in risalto dallo stesso
c.t.u., il quale nei chiarimenti depositati ha dato atto che a suo giudizio
nell’iniziale atto di citazione non vi era riferimento alcuno al cattivo
funzionamento dell’impianto di climatizzazione.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
5, cod. proc. civ. l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine allo

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Deduce che essa ricorrente ha provveduto ad eliminare pur i pretesi vizi

svincolo delle R.A.G.; “la violazione dell’art. 2735 c.c. e art. 116 c.p.c. in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.” (così ricorso, pag. 31).
Deduce che se la corte di Roma ha ritenuto di condannarla a pagare le penali
per il ritardo nella consegna delle opere, “ciò significa che la Corte ha rilevato che
le opere si sono comunque concluse, seppur con ritardo” (così ricorso, pag. 31);

pagamento della fattura n. 142/1999, relativa al quarto ed ultimo s.a.l., e della
fattura n. 30/2000, relativa al “fine lavori”.
Deduce quindi che, “eseguito il collaudo senza riserve, (…) aveva diritto allo
svincolo delle ritenute a garanzia” (così ricorso, pag. 32).
Deduce infine che l’importo della fattura n. 31/2000, che la corte di merito ha
ritenuto non dovesse essere pagata a ristoro dei danni correlati ai vizi
all’impianto di climatizzazione, è pari ad euro 19.311,35 e dunque è superiore di
euro 2.877,15 rispetto all’accertato e rivalutato quantum del danno.
I motivi tutti di ricorso sono significativamente connessi.
Se ne giustifica pertanto la disamina contestuale.
In ogni caso il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo sono

destituiti di fondamento.
Fondato e meritevole di accoglimento, nei limiti di cui in seguito, è
viceversa il quinto motivo.
Si evidenzia innanzitutto che il

primo motivo a rigore non si correla

puntualmente alla ratio decidendi.
Ed infatti la corte distrettuale ha specificato che il ritardo non poteva essere
imputato alle opere extracontrattuali, giacché l’appaltatrice aveva “dedotto di
aver ultimato tutte le opere entro il 13 ottobre 99” (così sentenza d’appello, pag.
9).

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che del resto la corte d’appello ha riconosciuto il diritto di essa ricorrente al

Ebbene siffatto specifico passaggio motivazionale la “C.P.C.” avrebbe dovuto
segnatamente attingere e censurare; cosicché a nulla rileva che abbia addotto
che l’elaborazione giurisprudenziale è univocamente nel senso che la
realizzazione, su richiesta del committente, di opere extracontratto di notevole
entità determina “il venir meno del termine di consegna contrattualmente

20).
Si evidenzia, con precipuo riferimento al secondo motivo, con il quale la
ricorrente censura il giudizio “di fatto” sulla cui scorta la corte territoriale “ha
ricostruito ed accertato il ritardo dell’appaltatore nella consegna delle opere
appaltate” (così ricorso, pag. 22), al terzo motivo, con il quale la ricorrente
censura parimenti il giudizio “di fatto” sulla cui scorta la corte romana, con
riferimento ai vizi inficianti l’impianto di condizionamento, ha reputato che
l’appaltatrice non era “intervenuta per eliminarli” (così ricorso, pag. 28), ed al
passaggio del quarto motivo con il quale la ricorrente deduce, del pari a
censura del correlato giudizio “di fatto”, che la controparte non ha offerto “alcuna
prova per dimostrare la sua generica eccezione” (così ricorso, pag. 30), ossia
l’addotto cattivo funzionamento dell’impianto di climatizzazione, che la
prospettazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata – è il caso
delle censure in disamina – conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al
quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle

9

concordato e, conseguentemente, delle penali per il ritardo” (così ricorso, pag.

ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,
dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova
acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. 9.8.2007, n.
17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).
In particolare, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non è

singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece
sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi
sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione
degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli
logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n.
6023).
Conseguentemente il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della
omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente
dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia
rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi
della controversia ovvero quando esista insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione
(cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).
Nei termini testé enunciati l’iter motivazionale che sorregge, in partis quibus
agitur, il dictum della corte d’appello risulta in toto ineccepibile sul piano della
correttezza giuridica ed assolutamente congruo e coerente sul piano logico formale.
Più esattamente la corte capitolina – siccome si è in precedenza esposto – ha
vagliato nel complesso – non ha dunque obliterato la disamina di punti decisivi 10

tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare

e dipoi ha in maniera inappuntabile selezionato il materiale probatorio cui ha
inteso ancorare il suo dictum, altresì palesando in forma nitida e coerente il
percorso decisorio seguito.
D’altronde, con le censure in esame la ricorrente null’altro prospetta se non
un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti

(“i

come termine di ultimazione dei lavori (20/10/99), i lavori erano terminati e
collaudati, come attestato dal direttore dei lavori”: così ricorso, pag. 25; “i
successivi interventi altro non erano che interventi di manutenzione sull’impianto
di condizionamento”: così ricorso, pag. 25; il c.t.u. ha ritenuto esigibile la fattura
n. 142/1999, relativa al IV ed ultimo S.A.L., “in quanto ha considerato che í
lavori erano ultimati”: così ricorso, pag. 27; la corte distrettuale ha negato la
“valenza probatoria di altri documenti (il certificato di collaudo e la dichiarazione
di fine lavori) (…)”: così ricorso, pag. 27; “la CPC è intervenuta per eliminarli,
come testimonia la corrispondenza citata dalla stessa Corte di Appello”: così
ricorso, pag. 28; la corte di merito ha ritenuto “sulla scorta della sola
corrispondenza tra le parti (…) che i vizi ex adverso lamentati fossero
sussistenti”: così ricorso, pag. 31).
Le censure de quibus dunque involgono gli aspetti del giudizio – interni al
discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento
dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del
percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360, 10
co., n. 5), cod. proc. civ..
Le medesime censure pertanto si risolvono in una inammissibile istanza di
revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in
una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea

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documenti sopra indicati (…) dimostrano per tabulas che entro la data stabilita

alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n.

7394; Cass. sez. la v. 7.6.2005, n. 11789).
In ogni caso si evidenzia, per un verso, che, in tema di appalto, l’accettazione
dell’opera – che, ai sensi dell’art. 1667, 1° co., cod. civ. comporta l’esonero
dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità e che, ai sensi

verifica senza giusti motivi o non ne comunichi il risultato entro breve termine
(3° co.) oppure riceva la consegna dell’opera senza riserve (4° co.) – si distingue
sia dalla verifica che dal collaudo, perché la prima si risolve nelle attività
materiali di accertamento della qualità dell’opera e il secondo consiste nel
successivo giudizio sull’opera stessa; l’accettazione, invece, è un atto negoziale
che esige che il committente esprima, anche per

“facta concludentia”,

il

gradimento dell’opera stessa (cfr. Cass. 1.3.2016, n. 4051).
Su tale scorta la mera circostanza per cui per l’opera de qua sia intervenuto
“certificato di collaudo”, in verità con specifico riferimento alle opere realizzate ai
piani terreno ed interrato (cfr. ricorso, pagg. 24 – 25), per nulla implica in
relazione ai vizi e difetti inficianti l’impianto di climatizzazione che il medesimo
impianto sia stato accettato.
In ogni caso si evidenzia, per altro verso, che la consulenza tecnica è un
mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità
delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito,
rientrando nei poteri discrezionali di quest’ultimo la valutazione di disporre la
nomina del consulente tecnico d’ufficio ovvero indagini tecniche suppletive o
integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico
d’ufficio ovvero di rinnovare le indagini peritali; la motivazione del diniego della
nomina del consulente tecnico d’ufficio può peraltro anche essere implicitamente
12

dell’art. 1665 cod. cìv., si verifica quando il committente tralasci di procedere alla

desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione
del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal giudice del merito
(cfr. Cass. 6.5.2002, n. 6479).
Su tale scorta a nulla vale addurre che “il Giudice di appello (…) non ha
ritenuto di svolgere un supplemento di istruttoria (C.T.U.) come richiesto” (così

Si evidenzia, con precipuo riferimento al quarto motivo, che, siccome hanno
rimarcato i controricorrenti (cfr. controricorso, pag. 16), a pagina 9 dell’atto di
citazione in opposizione figura un apposito paragrafo – il paragrafo d) specificamente riguardante l’impianto di condizionamento e ove si legge, tra
l’altro, testualmente, “analoga situazione si è verificata con l’installazione e il
relativo funzionamento dell’impianto di aria condizionata (…). A tale specifico
riguardo, con fax del 20.11.1999 e lettera della D.L. (…) si lamentava alla C.P.C.
il pessimo funzionamento dell’impianto in oggetto oltre al totale disinteresse
dimostrato dalla ditta appaltatrice che aveva causato e continuava a causare
grave disagio per tutti (…). In data 22 dicembre veniva sottoscritto dalle parti
verbale di sopralluogo dal quale si evinceva che l’impianto di condizionamento
)”
Per nulla si giustifica pertanto l’assunto secondo cui i vizi asseritamente
inficianti l’impianto di climatizzazione sono stati dedotti allorché il

thema

disputandum di prime cure era già stato definito e quindi sono stati irritualmente
riproposti in seconde cure.
Si evidenzia, con precipuo riferimento al quinto motivo, che la corte
distrettuale ha statuito nei termini che seguono.

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ricorso, pag. 27).

Da un canto, ha reputato di non far luogo allo “svincolo delle ritenute a
garanzia di cui alla fattura n. 31/2000” (così ricorso, pag. 31), perché ha ritenuto
che il diritto al risarcimento del danno sofferto dai committenti e correlato
all’inconveniente “accertato dal c.t.u. nominato in primo grado nella relazione in
data 9/9/2002 a pagina 15” (così sentenza d’appello, pag. 10), danno stimato

indici Istat dal 10/10/2001 all’attualità in complessivi euro 16.434,20, fosse
“ampiamente assorbito dalla ritenuta in garanzia di cui alla fattura oggetto di
ingiunzione n. 31/2000 (…) pari a C 19.311,35” (così sentenza d’appello, pag.
11).
Dall’altro, ha reputato che non poteva “invece essere liquidata la fattura n.
31/00 (…) relativa allo svincolo RAG del 10% per fine lavori, poiché il pagamento
di tale importo era , ai sensi
dell’art. 19 ultimo comma del contratto, e poiché il collaudo non è stato eseguito
per fatto e colpa dell’appaltatrice” (così sentenza d’appello, pag. 12).
Evidentemente in tal guisa la corte territoriale ha opinato nel senso che non
vi fosse margine per la liquidazione a vantaggio della “C.P.C.” propriamente
dell’importo di euro 2.877,15, pari alla differenza tra la somma di euro 19.311,35
e la somma di euro 16.434,20.

E nondimeno al cospetto di un rapporto d’appalto oramai definito seppur in
via contenziosa mercé il riscontro delle inadempienze dell’appaltatrice ed il
riconoscimento delle pretese risarcitorie dei committenti, ben avrebbe dovuto la
corte di merito dar compiuta rappresentazione delle ragioni atte a giustificare la
perdurante ritenzione della somma di euro 2.877,15 da parte dei committenti.
Se è vero che il vizio di omessa o insufficiente motivazione sussiste
unicamente quando le argomentazioni del giudice non consentano di ripercorrere

14

all’esito della maggiorazione di interessi legali e rivalutazione monetaria secondo

siker logico da questo seguito o quando sia mancato l’esame di punti decisivi
della controversia

(cfr. Cass. 31.3.2000, n. 3928), è

innegabile che la

motivazione, in parte qua agitur, si svela senza dubbio deficitaria.
In accoglimento del quinto motivo di ricorso la sentenza n. 3952 dei
5/19.7.2012 della corte d’appello di Roma va cassata con rinvio ad altra sezione

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente
giudizio di legittimità.
Il ricorso è da accogliere. Non sussistono i presupposti perché, ai sensi
dell’art. 13, comma 1

quater, d.p.r. n. 115/2002, la ricorrente sia tenuta a

versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per la stessa impugnazione a norma del comma 1 bis dell’art. 13 d.p.r. cit..

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso;
accoglie il quinto motivo di ricorso; cassa in relazione al motivo accolto la
sentenza n. 3952 dei 5/19.7.2012 della corte d’appello di Roma; rinvia ad altra
sezione della stessa corte anche per la regolamentazione delle spese del
presente giudizio di legittimità; non sussistono i presupposti perché, ai sensi
dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. n. 115/2002, la ricorrente sia tenuta a
versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per la stessa impugnazione a norma del comma 1 bis dell’art. 13 d.p.r. cit.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte
Suprema di Cassazione, il 12 settembre 2017.
Il consiglier estensore

Il presidente

dott. L

dott. Bruno Bianchini

15

della stessa corte d’appello.

U1

o

“o Giudiziario
NERI

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

18 WC. 2017

Roma,

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