Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30304 del 18/12/2017


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Cassazione civile, sez. II, 18/12/2017, (ud. 16/02/2017, dep.18/12/2017),  n. 30304

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Il giudice di pace di Frosinone ha liquidato la somma di 330,62 Euro oltre a accessori in favore del medico Pe.Al., quale consulente in una controversia civile (rg 3641/10) per accertamento tecnico preventivo, instaurata da P.S. avverso la Milano Assicurazioni.

Parte P. ha proposto opposizione ex art. 170 dpr 115/02 avanti il locale tribunale. La consulente ha resistito vittoriosamente, grazie all’ordinanza depositata dal tribunale di Frosinone il 9 marzo 2012.

Il ricorso per cassazione dell’opponente verte su due motivi.

La dott. Pe. ha resistito con controricorso, illustrato in pubblica udienza. Il Collegio ha disposto la decisione con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Il primo motivo si riferisce al preteso inadempimento della dottoressa, per mancato espletamento del tentativo di conciliazione. La ricorrente rileva che il tribunale ha fatto riferimento a una transazione della controversia del tutto erroneamente, giacchè il procedimento era stato cancellato dal ruolo dando atto della mancata conciliazione.

La censura è inconferente, atteso che la ratio principale del rigetto della doglianza consiste nel rilievo del tribunale secondo cui il tentativo di conciliazione non è obbligatorio, ma da esperire quando sia possibile, restando priva di sanzione espressa l’omissione di esso.

Questa ratio non è stata impugnata dalla ricorrente, sicchè resta irrilevante (Cass SU 7931/13; Cass. 22753/11) l’altra autonoma ratio, peraltro svolta ad abundantiam.

3) Il secondo motivo (violazione art. 111 Cost.; art. 112 c.p.c., e D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168) concerne l’eccessività della liquidazione e il ricorso al criterio residuale delle vacazioni.

La ricorrente lamenta che il tribunale, pur riconoscendo di dover applicare il D.M. del 2002, art. 21, ha confermato il medesimo importo, facendo ricorso erroneamente al raddoppio previsto dalla L. n. 319 del 1980, art. 5.

Sostiene che il giudice non avrebbe motivato adeguatamente l’attribuzione dell’onorario nella misura massima, sebbene la perizia fosse di “facile elaborazione”.

Anche questa censura non merita accoglimento.

Quanto all’errata indicazione della norma applicabile per il raddoppio del compenso, è agevole ricorrere alla correzione ex art. 384 c.p.c., u.c., indicando il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 52, che peraltro è stato agevolmente individuato dalla stessa parte ricorrente.

Quanto alla valutazione della complessità dell’incarico, va osservato: che il provvedimento ha adeguatamente motivato la scelta di incrementare il compenso per la consulenza medico legale in relazione alla attività professionale sempre complessa, “anche nei casi apparentemente più semplici”, come secondo la ricorrente era quello in esame. Ciò a causa dello “stesso avvicendarsi di norme e decisioni giurisprudenziali”, che rendono l’opera dei medici legali meritevole di aumento del compenso “irrisorio” previsto dalla tabella fissa.

Già queste considerazioni, completate da ulteriori considerazioni del provvedimento, smentiscono la censura e dimostrano anzi la presenza di congrua motivazione, che è insindacabile dal giudice di legittimità (Cass. n. 12027 del 17/05/2010; n.6414 del 2007) allorchè sia razionale e adeguata come nella specie.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.

Ratione temporis non è applicabile il disposto di cui alla D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 370 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2017

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