Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30297 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 20/11/2019), n.30297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2189-2018 proposto da:

C.D., G.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato DIEGO BUSACCA;

– ricorrenti –

contro

CITY CAR DI V.F. & C. SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LAURA MANTEGAZZA 22, presso lo studio del Dott. GA.MA.,

rappresentata e difesa dall’avvocato BARTOLOMEO DELLA MORTE;

– controricorrente –

contro

B.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1062/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA

depositata il 26/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCODITTI

ENRICO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 20 novembre 2002 City Car di V.F. & C. s.a.s. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto G.S., C.D. e B.C.. Espose la parte attrice che V.F., legale rappresentante della società, si era recato presso l’autosalone di C.D., accompagnato da Ca.Ra. dipendente della società attrice e parente della C., ove, all’esito di trattativa condotta con il G., marito della C., aveva acquistato autovettura che si trovava presso il detto salone con la consegna al G. di due assegni bancari di L.25.000.000 cadauno emessi in favore di B.C., proprietario dell’auto. Aggiunse che, successivamente al ritiro dell’auto, questa era stata sequestrata in quanto di provenienza illecita. Chiese quindi, previa declaratoria di annullamento del contratto, ovvero di risoluzione del medesimo per inadempimento, la condanna dei convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 27.869,33 a titolo di risarcimento danni, comprensiva del prezzo pagato e degli ulteriori esborsi (spese di trasferimento della proprietà e assicurazione). Il Tribunale adito accolse la domanda, dichiarando la risoluzione del contratto di vendita e condannando i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 27.251,40 oltre interessi. Avverso detta sentenza proposero appello G.S. e C.D.. Con sentenza di data 26 ottobre 2017 la Corte d’appello di Messina rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale che il G. aveva gestito l’operazione dell’acquisto presso l’autosalone di proprietà della moglie, adoperandosi per il rinvenimento di un’autovettura del tipo richiesto dal F. con l’iniziale collaborazione del Ca. e che era irrilevante che il G. avesse agito quale procuratore del B. e che il veicolo fosse esente da vizi o difetti poichè il contratto non aveva potuto trovare esecuzione per sopravvenuta inesistenza dell’oggetto e per grave inadempimento di tutti i protagonisti della vicenda evidentemente ordita ai danni della società attrice. Aggiunse che risulta comprovata la responsabilità, ed in particolare: “il B. (mai comparso in giudizio) in quanto proprietario consapevole della provenienza illecita della vettura; il G. per la sua fattiva collaborazione prestata al B. attraverso la messa a disposizione dell’autosalone che forniva all’operazione di civile compravendita una parvenza di chiarezza e legittimità (e ciò anche ove si volesse presumere la sua ignoranza circa l’effettiva natura illecita del veicolo) e la C. intestataria dell’autosalone che, anche se assente, era ed è civilmente responsabile dell’attività posta in essere dai preposti, collaboratori e dipendenti”. Osservò infine che la sentenza andava confermata per avere fatto conseguire alla risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c. la sostanziale riduzione in pristino con la restituzione delle somme versate maggiorate degli esborsi.

Hanno proposto ricorso per cassazione G.S. e C.D. sulla base di due motivi e resiste con controricorso City Car di V.F. & C. s.a.s.. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi di manifesta fondatezza del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1478,1388 c.c., degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonchè omesso esame di fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osservano i ricorrenti che G.S. e C.D. erano terzi rispetto al contratto di compravendita, essendo il rapporto intercorso unicamente con il B., il quale aveva personalmente incassato gli assegni come risultante dalla copia dei medesimi prodotta in giudizio dalla stessa società attrice, e che la motivazione era insufficiente, erronea e contraddittoria in quanto non risultano indicate le disposizioni di legge in base alle quali era stata statuita la condanna solidale di G. e C., nonostante che gli stessi non avessero percepito alcuna somma (ed il G. si era limitato a prestare una collaborazione a titolo gratuito). Aggiungono che non risulta applicabile la disciplina della vendita di cosa altrui (art. 1478), invocata dalla controparte, nè poteva il G. ritenersi rappresentante del venditore, nel qual caso comunque il contratto doveva ritenersi concluso con il rappresentato. Osservano infine che la società acquirente aveva tutti gli strumenti per valutare la legittimità dell’operazione economica.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. ss., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che illegittima è la condanna solidale alla rifusione delle spese giudiziali nonostante la loro estraneità al rapporto contrattuale.

Il primo motivo è inammissibile. In disparte il richiamo nell’articolazione della censura all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non più vigente, il motivo non coglie la ratio decidendi in quanto attribuisce alla decisione il riconoscimento di un titolo di responsabilità contrattuale di G.S. e C.D., che sarebbe in contraddizione con la loro accertata terzietà rispetto alla compravendita, ovvero un’incomprensibilità che deriva dalla mancata indicazione delle disposizioni di legge alla base della riconosciuta responsabilità.

In realtà la sentenza, mediante il riferimento ad una sorta di cooperazione alla conclusione della vendita poi dichiarata risolta, intende qualificare in termini di illiceità la condotta del G. e della C., illiceità che, una volta esclusa l’inerenza al rapporto obbligatorio derivante dalla compravendita, resta nell’area della responsabilità aquiliana. Il fatto illecito commesso dal G. e dalla C. sarebbe consistito nello svolgimento di un’attività causativa della determinazione dell’acquirente a concludere un contratto destinato ad essere caducato. Quanto al G. si parla di “fattiva collaborazione prestata al B.”, mentre per la C. esplicito è il riferimento alla responsabilità civile per l’attività dei preposti e collaboratori. La censura non intercetta questa natura della responsabilità che si desume dalla motivazione e dunque resta priva di decisività.

Il secondo motivo è un non-motivo, posto che la condanna alla rifusione delle spese processuale è la conseguenza ordinaria della soccombenza.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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