Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3029 del 11/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 3029 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 6904-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

3674

SERI GIULIO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 238/2012 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 11/02/2014

di ANCONA, depositata il 15/03/2012 R.G.N. 269/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott.

VITTORIO

NOBILE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

il rigetto del ricorso.

Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per

R.G. 6904/2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 165 del 2011 il Giudice del lavoro del Tribunale di

Poste Italiane, diretta alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto
di lavoro intercorso tra le parti per il periodo 6-10-1999/29-2-2000, per
“esigenze eccezionali” ex art. 8 uni. 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e
succ, con le pronunce consequenziali.
Il Seri proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma
con l’accoglimento della domanda.
La società si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata il 19-3-2012, in
accoglimento del gravame dichiarava la nullità del termine apposto al contratto
di lavoro de quo, con la conseguente sussistenza di un rapporto a tempo
indeterminato dal 6-10-1999, e condannava la società alla riammissione
dell’appellante nel posto di lavoro e al risarcimento del danno in suo favore
“nella misura pari a otto mensilità della retribuzione mensile di fatto, con
rivalu azione ed interessi legali”.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con quattro
motivi.
Il Seri è rimasto intimato.
La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE

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Macerata rigettava la domanda proposta da Giulio Seri nei confronti della s.p.a.

Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella
parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo

rig

consenso tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di
interesse alla funzionalità di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di

affidamento della società alla risoluzione del rapporto.
Il motivo non merita accoglimento.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre dcrinitivamente fine ad ogni

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tempo anteriore alla proposizione della domanda ed il conseguente ragionevole

rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010n. 2279, Cass. 15-11-2010n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente

comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del
rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.
Orbene nella fattispecie la Corte di merito, premesso che il decorso del
tempo di per sé non assume rilievo significativo in assenza di ulteriori elementi
di fatto fileVallti, ha rilevata che il conti-lime de quel è Rtnto stipulato con
lavoratore iscritto volontariamente in apposita lista, “con iscrizione che implica
evidentemente la volontà di rendere prestazioni lavorative, e quindi una
volontà antitetica rispetto alla rinuncia a lavorare alle dipendenze della
controparte”. La Corte territoriale ha poi aggiunto che non appaiono
significative né la riscossione del TFR né la assenza di una contestazione
sollecita o di una riserva espressa, “essendo ben possibile che il lavoratore non
fosse, all’epoca, consapevole dei suoi diritti, o che si sentisse astretto dalla
necessità di evitare qualsiasi contrasto con il datore dii lavoro, per evitare di
perdere ogni futura possibilità lavorativa”.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Con il secondo motivo la società censura (sotto i profili della violazione
di legge e del vizio di motivazione) la sentenza impugnata nella parte in cui ha
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ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei

ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo in quanto stipulato
(per “esigenze eccezionali…”) oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi
collettivi attuativi dell’acc. az. 25-9-1997 ed all’uopo sostiene la insussistenza
di tale scadenza e la natura meramente ricognitiva dei detti accordi.

dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al
ceni del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001).
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli
previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di
considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato
del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di
lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v.
anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste
dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
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Il motivo è infondato in base all’indirizzo ormai consolidato in materia

in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre,
Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia
stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto

del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745,
Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e
come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti
postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8
del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,
sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la
sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998;
ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962
n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450;
Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In applicazione di tale principio va quindi respinto anche il secondo
motivo.
Con il terzo motivo la società censura la sentenza impugnata nella parte in
cui ha determinato in otto mensilità della retribuzione mensile di fatto la
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collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione

indennità di cui all’art.32 comma 5 ella legge n. 183/2010. Sostiene la
ricorrente che la Corte di merito avrebbe omesso “qualsivoglia valutazione dei
criteri di cui all’art. 8 1. n. 604/1966″ ed erroneamente avrebbe escluso
l’applicabilità nel caso di specie della riduzione del limite massimo a sei mesi

2006 sottoscritto con le 00.SS. accordi volti alla stabilizzazione dei rapporti di
lavoro convertiti a seguito di provvedimenti giudiziali ed a costituire una
graduatoria dalla quale attingere in ipotesi di necessità”. In particolare la
ricorrente sostiene che, in base all’interpretazione letterale della norma, il fatto
oggettivo della adozione di detti accordi, a prescindere dalla estensibilità o
meno degli stessi in concreto nel caso in esame, sarebbe sufficiente a ritenere
applicabile la riduzione alla metà del limite massimo dell’indennità de qua.
Tale motivo in parte è inammissibile e in parte è infondato.
Come è stato precisato da questa Corte (v. Cass. 29-2-2012 n. 3056)
l’indennità in esame “configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice
offerta dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di
penale “ex lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo,
ed è liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato art.32 (che
richiama i criteri indicati nell’art. 8 1. 604/1966), a prescindere dall’intervenuta
costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno
effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennità “forfetizzata” e
“onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo
cosiddetto “intermedio” (dalla scadenza del termine alla sentenza di
conversione del rapporto)”.

6

ai sensi del comma sesto del citato articolo 32, avendo essa società “fin dal

In senso conforme a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale e da
questa Corte di legittimità è stata poi emanata la legge n. 92 del 28-6-2012 (in
G.U. n. 153 del 3-7-2012), che all’art. 1 comma 13, con chiara norma di
interpretazione autentica, ha così disposto: “La disposizione di cui al comma 5

l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore,
comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo
compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il
quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
Ciò posto, sulla base di tali premesse e dei principi generali sul sindacato
di legittimità, in specie ex art. 360 n. 5 c.p.c., ritiene il Collegio che ben può
affermarsi che, anche nella fattispecie in esame (al pari di quanto più volte
affermato da questa Corte con riguardo all’indennità di cui all’art. 8 della legge
n. 604 del 1966—v. Cass. 5-1-2001 n. 107, Cass.15-5-2006 n. 11107, Cass. 146-2006 n. 13732), la determinazione tra il minimo il massimo della misura
dell’indennità de qua spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di
legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.
Orbene nel caso in esame la Corte di merito affermando espressamente di
ritenere “equo commisurare il risarcimento nella misura di otto mensilità,
media rispetto a minimo e massimo, nella assenza di elementi specifici che
possano indurre a una liquidazione minore o maggiore’, non è incorsa né nel
vizio di assenza di motivazione, né in alcuna illogicità o contraddittorietà (che
peraltro neppure viene dedotta).
La censura pertanto risulta infondata, risultando peraltro inammissibile,
nel contempo, la revisione del “ragionamento decisorio” sul punto, in sostanza
7

dell’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che

proposta dalla ricorrente, comunque non sussumibile nel “controllo di logicità
del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 n. 5 c.p.c.” (v., fra le altre, Cass. 76-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766).
Infondata è poi la censura riguardante l’interpretazione dell’art. 32 comma

Appare infatti evidente che la “presenza” di contratti o accordi collettivi
“che prevedano l’assunzione anche a tempo indeterminato, di lavoratori già
occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie”, deve
essere effettiva in relazione alla fattispecie concreta e non ipotetica o astratta.
D’altra parte, come correttamente ha rilevato la Corte di merito, la norma
non può essere interpretata in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, trattando
in modo uguale situazioni invero differenti, come da un lato quella dei
lavoratori che sono ancora in condizione di optare per la stabilizzazione, e
dall’altro quella dei lavoratori che una tale opzione non possono più esercitare.
Ciò che rileva, al fine della riduzione alla metà del limite massimo
previsto dalla norma, è la possibilità di una applicazione in concreto dei citati
contratti o accordi collettivi.
Orbene la stessa società nel ricorso riconosce che nel caso di specie non
era possibile, alla data della emissione della sentenza impugnata, l’adesione del
Seri agli accordi di stabilizzazione (essendo questi già in vigore fino al 31-122010 e successivamente nuovamente soltanto dal 18-5-2012).
Tanto basta per rigettare anche la censura in esame.
Infine con il quarto motivo la società assume che l’indennità di cui all’art.
32 citato non sarebbe suscettibile di alcuna maggiorazione a titolo di interessi
e/o rivalutazione non essendo applicabile nella fattispecie l’art. 429 c.p.c.(non
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sei citato.

potendosi la stessa indennità annoverare tra i “crediti di lavoro”). In subordine
la ricorrente deduce che, in ogni caso, gli accessori non potrebbero che
decorrere dalla sentenza.
Anche tale motivo non merita accoglimento.

essere annoverata tra i “crediti di lavoro” ex art. 429, comma 3, c.p.c.., giacché,
come più volte è stato affermato da questa Corte, tale ampia accezione si
riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli
aventi natura strettamente retributiva (ad esempio, fra le altre, per i crediti
liquidati ex art. 18 1. n. 300/1970 v. Cass. 23-1-2003 n. 1000, Cass. 6-9-2006 n.
19159; per l’indennità ex art. 8 della legge n. 604 del 1966 v. già Cass. 21-21985 n. 1579; per le somme a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c.
v. Cass. 8-4-2002 n. 5024). D’altra parte l’indennità in esame rappresenta
comunque il ristoro (seppure “forfetizzato” e “onnicomprensivo”) dei danni
conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro,
relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della
sentenza di conversione del rapporto.
Dalla natura, poi, di liquidazione “forfettaria” e “onnicomprensiva” del
danno relativo al detto periodo consegue altresì che gli accessori ex art. 429,
terzo comma, c.p.c. sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della detta
sentenza, che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa.
Orbene, l’impugnata sentenza, che nulla ha specificato al riguardo,
condannando la società alla riammissione dell’appellante nel posto di lavoro e
al “risarcimento del danno in misura pari a otto mensilità della retribuzione

9

La censura principale è infondata in quanto l’indennità in esame deve

mensile di fatto, con rivalutazione ed interessi legali”, in sostanza ha inteso far
decorrere tali accessori proprio dalla data della pronuncia.
Di alcunché può, quindi, ulteriormente dolersi la ricorrente.
Il ricorso va pertanto respinto integralmente.

difensiva.
Infine, trattandosi di ricorso notificato successivamente al termine previsto
dall’art. 1, comma 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della
sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del
2002, introdotto dall’art.1, comma 17, della citata legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese; dà atto della sussistenza dei
presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002,
introdotto dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012.
Roma 12 dicembre 2013

Sulle spese non deve provvedersi non avendo il Seri svolto alcuna attività

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