Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3029 del 08/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 3029 Anno 2018
Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: PORRECA PAOLO

ORDINANZA
sul ricorso 22249-2015 proposto da:
BELARDINELLI ANDREA, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio
dell’avvocato SALVINO GRECO, che lo rappresenta e
difende giusta procura a margine del ricorso;

ricorrente

contro

INTESA SAN PAOLO SPA , in persona del procuratore
2017
2304

avv. BRUNA PASTINESE, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio
dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e
difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

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Data pubblicazione: 08/02/2018

avverso la sentenza n. 10171/2015 del TRIBUNALE di
ROMA, depositata il 11/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 28/11/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO

PORRECA;

2

FATTI DI CAUSA
Intesa San Paolo s.p.a. si opponeva all’esecuzione presso terzi avviata nei
suoi confronti dall’avvocato Andrea Belardinelli. Esponeva che le venivano
richieste somme in eccesso rispetto al titolo esecutivo costituito dall’ordinanza
di assegnazione pronunciata, il 6 ottobre 2010, nell’ambito di un’esecuzione
presso terzi, nei confronti dell’esecutata Laura Migliorato, in cui la banca era

provvedimento erano state assegnate al professionista, quale distrattario,
somme per competenze professionali in ragione dell’attività svolta per il
creditore procedente Stefano Ruffolo.
A fondamento dell’opposizione deduceva che aveva saldato l’importo
previsto, al netto della ritenuta d’acconto, e che non erano dovute le maggiori
somme pretese, in particolare, per le competenze professionali autoliquidate in
precetto, poiché l’ordinanza di assegnazione, in cui era previsto un termine di
venti giorni per adempiere, non era stata notificata all’istituto prima del
precetto, né il termine era scaduto all’atto di adempimento dell’obbligazione.
Il giudice di pace davanti al quale, a seguito di sospensione, era stato
riassunto il giudizio, accoglieva l’opposizione. Il tribunale, investito dall’appello
del Belardinelli, respingeva il gravame osservando che, tenuto conto del
termine di venti giorni per il pagamento fissato nell’ordinanza, la banca non era
stata inadempiente, avendo pagato al netto della dovuta ritenuta di acconto,
sicché, in coerenza con i principi di correttezza e buona fede nell’adempimento
delle obbligazioni, non erano dovute né le competenze professionali precettate
né gli interessi successivi.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione Andrea Belardinelli
affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso Intesa San Paolo.
Le parti hanno presentato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va disattesa la richiesta, contenuta nella memoria del
ricorrente, di remissione della causa alle Sezioni Unite in relazione all’assunto
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stata terzo pignorato. All’esito di quest’ultima esecuzione, con il suddetto

difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice tributario, a
sua volta emergente con riferimento alla contestata applicazione della ritenuta
d’acconto sulle somme di cui in parte narrativa, rilevante in punto di
esaustività dell’adempimento. Si sostiene, al riguardo, che il profilo
costituirebbe causa pregiudiziale, spettante in via principale al giudice dei
tributi, e non una questione esaminabile dal giudice ordinario incidentalmente.

con l’amministrazione finanziaria. Su entrambi i profili sussisterebbe un
contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità.
Al riguardo va innanzi tutto evidenziato che, come è rilevabile dai motivi
“infra” riassunti, la relativa censura non attiene alla violazione della normativa
fiscale su cui si fonda, in “parte qua”, il “decisum” del Tribunale, ma alla
pretesa omessa pronuncia sulla parzialità del pagamento.
Ciò posto, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto sostenuto: a)
sebbene in passato (Cass., Sez. U., 12/01/2007, n. 418) questa Corte abbia
affermato quanto sostenuto nella citata memoria in punto di giurisdizione, con
affermazione del litisconsorzio necessario con il fisco davanti alle commissioni
tributarie, si è ormai consolidato il condivisibile orientamento nomofilattico
secondo cui le controversie tra sostituito e sostituto d’imposta, non
coinvolgendo propriamente il rapporto d’imposta, danno ingresso a una lite tra
privati la cui cognizione appartiene al giudice ordinario senza, quindi, la
necessaria partecipazione dell’amministrazione erariale (Cass., Sez. U.,
07/07/2017, n. 16833, con menzione della pregressa giurisprudenza conforme,
in un caso riguardante la domanda di un avvocato, nei confronti della banca
tesoriere di un comune, volta ad ottenere il rimborso della somma relativa alla
ritenuta d’acconto applicata sulle spese di vari giudizi anziché soltanto sui
diritti e onorari in essi liquidati); b) sulla sussistenza della giurisdizione del
giudice ordinario nella odierna fattispecie, è comunque intervenuto il giudicato
non risultando il punto oggetto di gravame (Cass., Sez. U., 09/10/2008, n.
24883 e succ. conf.).

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Dal che deriverebbe, altresì, la carenza d’integrità del necessario litisconsorzio

1.1. Va altresì respinto il rilievo della banca controricorrente secondo cui
il ricorso è inammissibile perché collazionato mediante fotocopie di atti
processuali delle fasi di merito raccordate da meri fraseggi, e senza indicare in
maniera specifica gli atti su cui si fonda, in violazione, quindi, dell’art. 366, nn.
3 e 6, cod. proc. civ., in quanto la riproduzione fotostatica di atti attiene ad
atti processuali rilevanti ai fini dei motivi, chiaramente specificati, in uno alla

2. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente prospetta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 553, 547, 480, 479, cod. proc. civ., e 3 Cost.,
poiché il tribunale avrebbe errato nell’omettere di rilevare la natura di titolo
esecutivo dell’ordinanza di assegnazione, indipendente dal difetto di qualità di
parte del pignorato nell’esecuzione presso terzi, sicché nulla vietava che essa
fosse notificata unitamente al precetto, dando al debitore un termine di
pagamento rispettoso di quanto indicato dal giudice dell’esecuzione nel
provvedimento stesso, ferma quindi la debenza delle spese ivi autoliquidate.
Diversamente, si concreterebbe anche un’irragionevole disparità di trattamento
rispetto alla disciplina che permette di notificare il titolo esecutivo unitamente
al precetto alla parte rimasta contumace. Né, pertanto, vi era alcuna necessità,
per l’assegnatario, d’impugnare l’ordinanza di assegnazione laddove fissava il
termine di venti giorni per l’adempimento del terzo assegnato.
Il motivo è infondato.
Come già statuito da Cass., 10/08/2017, n. 19986, vanno richiamati i
principi di diritto affermati da Cass. 10/05/2016, n. 9390: 1) l’ordinanza con la
quale il giudice dell’esecuzione assegna in pagamento al creditore procedente
la somma di cui il terzo pignorato si è dichiarato debitore nei confronti del
debitore espropriato, costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo e a
favore dell’assegnatario (cfr. Cass. 02/02/2017, n. 2724; Cass. 25/02/2016, n.
3712; Cass. 03/06/2015, n. 11493), ma acquista tale efficacia soltanto dal
momento in cui sia portata a legale conoscenza del terzo o dal momento
successivo a tale conoscenza che, come nella specie qui in scrutinio, sia
specificamente indicato nell’ordinanza di assegnazione. Tale conoscenza,
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dettagliata indicazione della collocazione dei medesimi.

logicamente, potrà avvenire dalla comunicazione o notificazione del
provvedimento, salva la presenza, all’udienza, del terzo davanti al giudice
dell’esecuzione che, contestualmente, abbia pronunciato ordinanza di
assegnazione, nel rito anteriore alle norme, qui inapplicabili “ratione temporis”,
approvate progressivamente con la legge 24 dicembre 2012 n. 288, con il
decreto-legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito dalla legge 12 novembre

convertito dalla legge 6 agosto 2015 n. 132. Riforme che, come già rilevato
(Cass., n. 9390 del 2016, pag. 16 della motivazione), non hanno ad ogni modo
comportato una diversa posizione del “debitor debitoris”, che continua a essere
estraneo al processo esecutivo. Anzi, questa estraneità è fisicamente
riscontrata dalla oramai normale assenza del terzo all’udienza fissata ex art.
543, n. 4, cod. proc. civ., dovendo il terzo rendere la dichiarazione per iscritto
al creditore.
Corollari di tale principio sono i seguenti: 2) il creditore procedente potrà
comunicare l’ordinanza di assegnazione al terzo ovvero potrà notificargli lo
stesso provvedimento in forma esecutiva; ma, in tale seconda eventualità, non
potrà essere contestualmente intimato il precetto, risultando inapplicabile il
disposto dell’art. 479, terzo comma, cod. proc. civ.; 3) se l’ordinanza di
assegnazione viene notificata al terzo in forma esecutiva contestualmente
all’atto di precetto, senza che gli sia stata preventivamente comunicata né
altrimenti resa legalmente nota l’ordinanza, è inapplicabile l’art. 95, cod. proc.
civ., e le spese sostenute per il precetto restano a carico del creditore
procedente. Il corrispondente vizio del precetto, per la parte in cui sono
pretese tali spese, può essere fatto valere mediante opposizione all’esecuzione,
in quanto si contesta il diritto del creditore a procedere esecutivamente per il
rimborso delle somme autoliquidate nel precetto.
Anche Cass. 24/05/2017, n. 13112, ha sottolineato, in questo quadro,
che l’ordinanza di assegnazione, pur ritenendosi suscettibile di essere notificata
unitamente al precetto in quanto titolo esecutivo nei confronti del terzo
pignorato, può contenere un termine, decorrente dalla notifica, per effettuare il
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2014 n. 162, e, da ultimo, con il decreto-legge 27 giugno 2015 n. 83,

pagamento, sicché, in tale ipotesi, il terzo che adempia entro la scadenza non
può essere tenuto a sopportare le spese del precetto, ove intimate, perché
superflue e in quanto il credito (se ancora sussistente) non era eseguibile al
momento del precetto stesso.
Né, logicamente, può esservi spazio ad alcun confronto, in ottica
costituzionale, con l’ipotesi, del tutto differente, della parte, ritualmente

il titolo in uno al precetto con le relative spese, dovendo la stessa informarsi,
quale parte e appunto non terzo, degli esiti del giudizio.
Come sopra già rilevato, il precetto della cui legittimità qui si discorre è
stato intimato in forza di un’ordinanza di assegnazione recante un termine
dilatorio per l’adempimento al terzo pignorato, con una statuizione non
impugnata con il solo mezzo consentito, ovvero l’opposizione agli atti esecutivi.
Al titolo esecutivo giudiziale è dunque correlato l’effetto di conformazione
del rapporto obbligatorio al contenuto precettivo del provvedimento, che
riguarda non soltanto l’oggetto della prestazione, ma anche le modalità (il
verificarsi di condizioni, il decorso del tempo, il compimento di determinate
attività) dell’adempimento.
In altri termini, la riconduzione di un provvedimento nell’ambito della
categoria dei titoli esecutivi giudiziali di cui all’art. 474, comma 2, n.

1 , cod.

proc. civ., non si traduce sempre nell’immediata e• automatica attribuzione
d’idoneità all’attuazione coattiva del diritto ivi accertato, potendo dal tenore
dello stesso provvedimento (o in alcuni casi dalla legge: cfr., a titolo di
esempio, il cd. “spatium deliberandi” previsto dall’art. 14 del decreto-legge 31
dicembre 1996, n. 669, convertito dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30) essere
stabilite delle limitazioni o condizioni all’efficacia esecutiva.
E’ tale il significato della previsione del termine per l’adempimento
nell’ordinanza di assegnazione “de qua”: una condizione apposta all’esigibilità
del credito e all’efficacia esecutiva del titolo, allo scopo (ritenuto dal giudice
emittente l’ordinanza e per quanto detto non più discutibile in questa sede) di

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convenuta in giudizio e restata per scelta contumace, cui può essere notificato

salvaguardare la posizione del terzo assegnato e di consentirgli l’adempimento
spontaneo senza aggravi (quali le spese di precetto) a lui non imputabili.
Pertanto, nel caso di specie, la banca, avendo pagato quanto indicato
come dovuto nell’ordinanza di assegnazione, non era obbligata per le pretese
spese autoliquidate, non essendo spirato il termine per l’adempimento della
sua obbligazione al momento del pagamento a mezzo di assegno circolare.

non vi è specifica censura riguardo agli interessi sulle competenze distratte
nell’originaria esecuzione e oggetto di assegnazione. Infatti, la prospettazione
specifica della loro debenza, nell’ambito dei motivi articolati (e in particolare
del secondo, incentrato, come si sta per dire, su altri profili), risulta solo, e
insufficientemente ai fini della necessaria specificità, nel quadro dei richiami
collazionati in copia degli stralci dell’atto di appello. Così come non risulta
censura in ordine alle spese vive di copia dell’ordinanza di assegnazione, di
registrazione della stessa e di sua notificazione.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 112, cod. proc. civ., 1362, cod. civ., 2697, cod. civ.,
poiché il tribunale, nel respingere il gravame sulla parzialità del pagamento,
avrebbe omesso di determinare correttamente la domanda e anche di
pronunciarsi su di essa. In particolare, non era stato considerato che difettava
la prova della ricezione e dell’incasso dell’assegno circolare inviato dalla banca
per l’adempimento, e dunque della tempestività oltre che esaustività dello
stesso, sempre contestate dal creditore. Era infatti stata illegittimamente
applicata la ritenuta d’acconto, invece inapplicabile valendo per i professionisti
il regime di cassa e non di competenza, dal che discendeva l’assoggettamento
a tassazione al momento della percezione delle somme, nonché la necessità di
non interferire con il rapporto d’imposta e adempiere al lordo della ritenuta
fiscale.
Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la «illegittimità della somma
offerta ex art. 1181 cod. civ.». Infatti, sarebbe stata effettuata la ritenuta

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È opportuno precisare che – nell’ambito di questo e degli altri motivi –

d’acconto anche sulle «borsuali di lite come tali mai tassabili», oltre che sugli
accessori fiscali (i.v.a.) e previdenziali (c.p.a.).
I motivi, connessi, sono infondati.
Il Tribunale non ha affatto omesso di pronunciarsi sulla censura di
tardività ed inesattezza del “quantum” del pagamento, come agevolmente
desumibile dalla prima, penultima e ultima pagina della sentenza gravata, in

dalla banca quale sostituto d’imposta a norma dell’ art. 21, comma 15, della
legge 27 dicembre 1997 n. 449, in corretta applicazione del principio secondo
cui la ritenuta d’acconto è legittimamente applicata dai sostituti d’imposta sui
pagamenti per prestazioni professionali costituenti redditi autonomi (Cass.,
27/02/2009, n. 4785), mentre i precedenti invocati dal ricorrente attengono a
reddito da lavoro dipendente e riguardano il diverso profilo relativo
all’accertamento e alla liquidazione del credito, logicamente al lordo, e non a
quello del pagamento; b) il pagamento era avvenuto nei termini e dunque
correttamente senza ulteriori accessori; c) la pretesa «carenza di prova della
data del pagamento .. anteriormente al precetto», era assolutamente
temeraria perché il pagamento era legittimamente avvenuto dopo la notifica
dell’ordinanza di assegnazione avvenuta con l’intimazione di pagamento del 31
maggio 2011 e nel termine, di venti giorni, fissato dal provvedimento.
Quanto alla pretesa erroneità nell’interpretazione della domanda attività, peraltro, riservata in sé al giudice di merito, al netto di eventuali vizi
della motivazione sul punto, qui non sollevati – emerge da quanto sopra,
testualmente, che il tribunale ha correttamente inteso e infatti delibato la
domanda di cui discorre il ricorrente.
Quanto alla pretesa violazione del regime legale dell’onere della prova in
caso di adempimento dell’obbligo di pagare una somma di danaro mediante
assegno circolare la censura è inammissibile per novità della stessa risultando
estranea al “devolutum” in appello. Né il ricorrente assolve all’onere di indicare
di averla prospettata nei motivi d’impugnazione avverso la sentenza di primo
grado (Cass., 18/10/2013, n. 23675). Può sottolinearsi, al riguardo, che a ben
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cui si afferma che: a) la ritenuta d’acconto era stata legittimamente effettuata

vedere la parte miscela inammissibilmente in “parte qua” il motivo con quello
di un omesso esame in relazione ai fatti della ricezione, dell’incasso
dell’assegno circolare e in specie della loro tempistica. Profilo inerente all’altro
e non articolato motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
nei limiti in cui esso, in tesi, non si fosse risolto in un differente apprezzamento
delle prove emergenti dall’incarto processuale.

controricorso, per novità della specifica questione di cui la sentenza gravata
non fa menzione, atteso che nel ricorso, in chiave di autosufficienza, non si
indica se tale specifico profilo sia stato reso oggetto di appello (Cass., n. 23675
del 2013, cit.). Non, cioè, l’applicabilità o meno della ritenuta di acconto in sé,
ma l’erroneità della sua applicazione anche sulla parte degli importi
asseritamente riferibile a i.v.a. e c.p.a.
3. Spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione
delle spese processuali della controricorrente liquidate in euro 700,00, oltre a
euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali, oltre accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la
Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma il giorno 28 novembre 2017.

Il Presidente
Dott. Maria Margherita Chiarini

Il terzo motivo, infine, è inammissibile, come pure eccepito in

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