Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30276 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 22/11/2018), n.30276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20779/2016 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA

74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9088/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/09/2015 R.G.N. 6330/2010.

Fatto

RILEVATO

1. che con sentenza n. 9088/2014 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di M.P. intesa all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto stipulato in data 29.7.1999, ai sensi dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994 e successivi accordi integrativi, termine giustificato dalla necessità di espletamento del servizio di recapito in concomitanza di assenze per ferie del personale durante il periodo giugno-settembre;

1.1. che il giudice di appello, preliminarmente osservato che le censure alla sentenza di primo grado, che aveva ritenuto estinto per mutuo consenso il rapporto inter partes, risultavano del tutto generiche ed inconferenti rispetto alle specifiche e dettagliate argomentazioni in fatto del primo giudice, ritenuta la inammissibilità dei motivi di appello che introducevano nuovi temi di indagine rispetto a quanto contenuto nel ricorso introduttivo, rilevata la genericità, nell’originaria domanda, delle allegazioni in punto di mancato rispetto della clausola di contingentamento, ha ritenuto, in coerenza con la richiamata giurisprudenza di legittimità, la validità della causale sostitutiva negoziata dalle parti collettive ai sensi della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.P. sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso parte di ricorrente deduce violazione di legge – imprescrittibilità dell’azione di nullità ex artt. 1421 e 1422 c.c. – violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2729 c.c., violazione dell’art. 1362 c.c.. Osserva, innanzitutto, che la intervenuta risoluzione del mutuo consenso doveva essere fatta valere da controparte con specifica domanda in via riconvenzionale e non attraverso una mera eccezione. Premessa, inoltre, l’imprescrittibilità dell’azione di nullità deduce che il mero decorso del tempo non poteva costituire indice univoco della volontà di risolvere il rapporto; assume, quindi, che la “evidente illogicità” della pronunzia di primo grado non necessitava di censura alcuna, costituendo manifesta violazione delle norme in materia di presunzioni. Sostiene, infine, che l’atto di appello conteneva precise censure sulla irrilevanza del decorso del tempo ai fini della configurabilità della volontà estintiva del rapporto;

2. che con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. e dell’art. 411 c.p.c., censurando la sentenza impugnata sul rilievo che la risoluzione del rapporto di lavoro, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dalla legge (licenziamento, dimissioni, decesso), dove sempre costituire frutto dell’accordo delle parti da formalizzarsi nelle forme e nei modi previsti dalla legge, i quali, nel caso di specie, erano stati violati;

3. che con il terzo motivo di ricorso deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 437 c.p.c. (esistenza e pertinenza delle censure contenute nell’atto introduttivo e poi ribadite nel gravame); violazione dell’art. 112 c.p.c.(violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato); violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. (omessa pronunzia sul capo di domanda relativo alla violazione della clausola di contingentamento violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. – violazione dell’art. 8 ccnl 26/11/1994 in relazione all’art. 2697 c.c. e alla L. n. 230 del 1962, art. 3 (mancato assolvimento dell’onus probandi da parte della convenuta società- superamento del limite percentuale di assunzioni a termine nell’anno rispetto al personale a tempo indeterminato). Richiamato l’art. 8 c.c.n.l. in punto di quota percentuale massima del 10% dei lavoratori impiegati a tempo determinato rispetto al numero dei lavoratori a tempo indeterminato, premesso di avere, sia nel ricorso di primo grado che nel ricorso in appello, dedotto l’avvenuta violazione da parte della società della clausola cd. di contingentamento, assume che costituiva onere di Poste Italiane s.p.a., sia ai sensi dell’art. 2697 c.c., sia ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 3, provare l’osservanza di tali limiti. Censura, quindi, la sentenza impugnata per avere affermato la genericità delle critiche formulate con il ricorso in appello alla statuizione che aveva respinto la domanda di nullità del termine fondata sulla violazione della clausola di contingentamento e per avere ritenuto generiche le allegazioni a riguardo formulate nel ricorso introduttivo;

4. che con il quarto motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza – violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. – omessa pronunzia sui motivi di censura contenuti sin dall’atto introduttivo. Censura la sentenza impugnata per omessa pronunzia sul motivo relativo alla violazione della clausola di contingentamento ritualmente introdotti nel giudizio di seconde cure;

5. che preliminarmente deve essere disattesa la richiesta di rimessione della causa alla pubblica udienza in quanto i motivi di ricorso attengono a questioni ripetutamente scrutinate da questa Corte, in relazione alle quali non si ravvisa alcuna rilevanza nomofilattica, che giustifichi, secondo il disegno riformatore della L. n. 197 del 2016, la trattazione in pubblica udienza;

6. che il primo motivo di ricorso è inammissibile. Secondo la sentenza impugnata le censure articolate dalla M. nell’atto di appello risultavano generiche ed inconferenti rispetto alle specifiche e dettagliate argomentazioni, soprattutto in fatto, in base alle quali la sentenza impugnata, cui per l’effetto di si rimanda, riteneva essersi formato il mutuo consenso preclusivo all’accoglimento della domanda (così, sentenza di appello, pag. 2). In tal modo il giudice di appello ha mostrato di ancorare il mancato accoglimento del motivo di gravame che investiva l’accertamento dell’avvenuta tacita risoluzione del rapporto alla non conformità dell’atto di appello al modello legale delineato dagli artt. 342 e 434 c.p.c..

6.1. che è noto che ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione deve risolversi in una critica adeguata e specifica della decisione impugnata che consenta al giudice del gravame di percepire con certezza e chiarezza il contenuto delle censure in riferimento ad una o più statuizioni adottate dal primo giudice. In questa prospettiva è stato ulteriormente precisato che il requisito della specificità dei motivi di appello non può prescindere dal contenuto argomentativo della sentenza impugnata richiedendosi che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, (v. tra altre, Cass. 18/09/2017 n. 21566; Cass. 01/12/2005 n. 26192; Cass. 17/12/2010 n. 25588). Tali affermazioni devono essere poste in correlazione con il principio secondo il quale quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. tra le altre, Cass. 13/08/2018 n. 20716; Cass. 21/04/2016 n. 8069; Cass. 30/07/2015 n. 16164). Al fine di consentire tale sindacato, tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Cass. 02/02/2017 n. 2771). In applicazione di tale principio, in tema di motivo di ricorso per cassazione che censura il ritenuto difetto di specificità del motivo di appello, è stato affermato che la parte ricorrente, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 29/09/2017 n. 22880; Cass. 20/09/2006 n. 20405);

6.2. che la parte ricorrente non ha adempiuto agli oneri prescritti al fine della valida censura della decisione impugnata alla luce dei richiamati principi sia perchè ha omesso di riprodurre il contenuto della sentenza di primo grado, indispensabile al fine di consentire la verifica della effettiva pertinenza e specificità delle censure formulate con il ricorso in appello e della loro reale idoneità a costruire un tessuto argomentativo idoneo a contrastare quello posto a fondamento della statuizione impugnata sia perchè, nella illustrazione del motivo, è mancata la stessa evidenziazione di tale contrapposizione; nè soccorre, in tale contesto, la mera riproduzione del ricorso in appello nel ricorso per cassazione si rivela insufficiente alla verifica ex actis del vizio ascritto alla sentenza impugnata, come, invece, prescritto (Cass. 01/07/2003 n. 10330);

6.3. che la rilevata inidoneità delle censure articolate con il primo motivo del ricorso per cassazione a contrastare l’affermazione della Corte di merito in punto di difetto di specificità dell’atto di appello con riferimento alla ritenuto estinzione del rapporto di lavoro per comportamento concludente delle parti, configurante autonoma ratio decidendi, idonea di per sè sola a sorreggere il decisum di secondo grado, assorbe sia l’esame del secondo motivo di ricorso, sia i motivi terzo e quarto che investono la questione del contingentamento;

7. che le spese sono regolate secondo soccombenza;

8. che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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