Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30271 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 22/11/2018), n.30271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4764-2017 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EUSTACHIO

MANFREDI n.8, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VIRBANI,

rappresentato e difeso dall’avvocato EMANUELE MAGANUCO;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO per l’AREA di SVILUPPO INDUSTRIALE di GELA – A.S.I.-, in

liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI n. 67, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE BERRETTA, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 298/2016 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 05/08/2016, R.G.N.121/2015

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/09/2018 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Caltanissetta ha respinto l’appello proposto da G.S. avverso la sentenza del Tribunale di Gela, che aveva ritenuto legittimo il provvedimento di destituzione dal servizio adottato D.P.R. n. 3 del 1957, ex art. 85, comma 1, lett. b) dal Consorzio ASI di Gela.

2. La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che G.S. era stato assunto dal Consorzio con contratto, a tempo parziale e determinato, stipulato per il quinquennio 1 giugno 2006/31 maggio 2011 ai sensi della L.R. Sicilia n. 21 del 2002, art. 25, contratto poi prorogato per un ulteriore quinquennio a decorrere dall’8 luglio 2011.

Nell’ottobre dello stesso anno il Consorzio era venuto a conoscenza della sentenza penale di condanna, passata in giudicato, con la quale era stata applicata a G.S. in relazione al delitto di omicidio tentato continuato la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, sicchè aveva destituito il dipendente con provvedimento del 12 ottobre 2011.

Poichè la domanda cautelare di riammissione in servizio, proposta ex art. 700 cod. proc. civ., era stata accolta in sede di reclamo, il Consorzio aveva instaurato il giudizio ordinario, chiedendo in via principale l’accertamento della legittimità dell’atto adottato e in subordine della nullità del contratto stipulato in data 7 giugno 2006 e del successivo contratto di proroga.

3. In punto di diritto la Corte territoriale ha condiviso la qualificazione del rapporto di lavoro operata dal Tribunale ed ha ritenuto che l’attuale ricorrente avesse perso lo status di lavoratore socialmente utile instaurando con il Consorzio, e cioè con una pubblica amministrazione, un rapporto di pubblico impiego, soggetto alla disciplina dettata dal richiamato D.P.R. n. n. 3 del 1957, art. 85.

Ha aggiunto che la destituzione dal servizio consegue automaticamente all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, sicchè non rileva il momento in cui il datore di lavoro sia venuto a conoscenza della sentenza penale.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.S. sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese il Consorzio ASI di Gela con tempestivo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione e/o falsa applicazione della L.R. n. 21 del 2003, art. 25, della L.R. n. 2 del 2001, art. 2, della L.R. n. 4 del 2006, art. 2, comma 3, e della L.R. n. 27 del 2007, art. 2, comma 3” e deduce che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto instaurato un rapporto di pubblico impiego per effetto della sottoscrizione del contratto stipulato ai sensi della L.R. n. 21 del 2003. Evidenzia, in sintesi, che il legislatore regionale ha espressamente qualificato il contratto in parola di diritto privato e richiama la legislazione succedutasi nel tempo nonchè i plurimi pareri resi dall’Ufficio Legislativo e Legale della Regione Sicilia, con i quali era stata esclusa l’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblicistico e si era fatto leva sulla natura sostanzialmente previdenziale della misura, finalizzata a consentire la fuoriuscita dal bacino dei lavoratori socialmente utili in attesa della successiva stabilizzazione.

2. La seconda censura addebita alla sentenza impugnata la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 85, comma 1, lett. b)” non applicabile alla fattispecie in considerazione della natura privatistica del rapporto e, quindi, in difetto dello status di dipendente pubblico.

3. Le eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate dalla difesa del controricorrente, sono infondate.

Questa Corte ha affermato che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito.” (Cass. 3.2.2015 n. 1926).

Il ricorso deve, quindi, contenere tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa.

Ciò significa che la valutazione sulla completezza della esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo deve essere effettuata considerando il fine che il requisito mira ad assicurare e contemperando la esigenza di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari ai fini della decisione con quella della necessaria sinteticità degli atti processuali.

Ne discende che, come evidenziato, sia pure ad altri fini, dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “esposizione sommaria dei fatti di causa” non richiede nè la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali nè che “si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata” (così in motivazione Cass. S.U. 11.4.2012 n. 5698), essendo sufficiente una sintesi della vicenda “funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata”. Le stesse Sezioni Unite hanno significativamente aggiunto che “il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso”.

3.1. Quanto, poi, all’onere di riportare nel ricorso il contenuto dei documenti sui quali si fonda la censura, precisando in quale sede e con quale modalità gli stessi sono stati prodotti, i principi invocati dalla difesa del Consorzio controricorrente risultano applicabili solo qualora sussista una stretta correlazione fra tenore della censura e produzione documentale, nel senso che sul contenuto di quest’ultima, o dell’atto processuale, è fondato il vizio denunciato, la cui comprensione non può prescindere dalla valutazione e dall’esame del documento stesso.

Non può, invece, essere invocata una pronuncia di inammissibilità del ricorso, conseguente al mancato rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, qualora venga denunciato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 e sulla violazione della norma di legge la Corte sia in grado di pronunciare a prescindere dall’esame della documentazione prodotta nei gradi di merito.

3.2. Applicando alla fattispecie i principi sopra richiamati si perviene al rigetto dell’eccezione formulata, giacchè il ricorso illustra compiutamente, alle pagine da 2 a 10, lo sviluppo della vicenda processuale, individua con chiarezza la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la Corte territoriale e riporta nel corpo dell’atto la motivazione della decisione gravata, ritenuta non conforme a diritto. Le censure, inoltre, non si fondano, nei termini sopra specificati, sul contenuto del contratto, essendo incontestato che fra le parti è intercorso un rapporto a tempo determinato e parziale, instaurato ai sensi della L.R. Sicilia n. 21 del 2002, art. 25.

3.3. Non può essere invocato l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, perchè il limite posto all’impugnazione della sentenza di appello che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado (cd. doppia conforme), si riferisce al solo mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non si estende al vizio di cui al n. 3 dello stesso articolo.

4. I motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono fondati, perchè erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto di potere qualificare di impiego pubblico il rapporto risolto D.P.R. n. 3 del 1957, ex art. 85 valorizzando, da un lato, la natura del Consorzio e, dall’altro, la circostanza che con la sottoscrizione del contratto L.R. Sicilia n. 21 del 2003, ex art. 25 G.S. aveva perso lo status di L.S.U..

Consolidato è nella giurisprudenza di questa Corte il principio alla stregua del quale, nel caso in cui sia la legge a qualificare espressamente come privato il rapporto di lavoro, anche dopo la contrattualizzazione dell’impiego pubblico, non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto stesso, valorizzando la natura del datore di lavoro e lo stabile inserimento nell’organizzazione amministrativa dell’ente, perchè risulta essere prevalente, rispetto a detti criteri, la definizione normativa (Cass. S.U. n. 14847/2006, Cass. S.U. n. 18622/2008; Cass. S.U. n. 8985/2010; Cass. S.U. n. 24670/2009).

La sentenza impugnata si pone in contrasto con il principio di diritto sopra richiamato, perchè, pur dando atto che il contratto che qui viene in rilievo era stato stipulato ai sensi della richiamata L.R. n. 21 del 2003, art. 25, ha ritenuto applicabile la disciplina dettata dal D.P.R. n. 3 del 1957, e non ha considerato che l’art. 25 lett. b) qualifica espressamente il contratto quinquennale “di diritto privato”.

5. Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi al principio di diritto richiamato al punto 4 e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

In considerazione della fondatezza del ricorso, non sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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