Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3027 del 09/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/02/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 09/02/2021), n.3027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 4003 del ruolo generale dell’anno

2019, proposto da:

GIAGUARO S.p.A., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, F.P. rappresentato e difeso

dagli avvocati Enzo Maria Marenghi (C.F.: (OMISSIS)) e Gherardo

Maria Marenghi (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

M.G., (C.F.: (OMISSIS)), A.G. (C.F.:

(OMISSIS)) rappresentati e difesi dagli avvocati Vincenzo Michelini

(C.F.: (OMISSIS)) e Raffaele Avolio (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Salerno n.

1810/2018, pubblicata in data 22 novembre 2018 (e che si assume

notificata in data 28 novembre 2018);

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 3 dicembre 2020 dal consigliere Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.G. e A.G. hanno intimato precetto di pagamento alla Giaguaro S.p.A., sulla base di titolo esecutivo giudiziale costituito da una sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore. La società intimata ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1.

L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Nocera Inferiore. La Corte di Appello di Salerno, in riforma della decisione di primo grado, la ha invece rigettata.

Ricorre la Giaguaro S.p.A., sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso il M. e l’ A..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La società ricorrente, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, fa presente che, nelle more del’opposizione, il giudice dell’esecuzione ha ormai assegnato le somme pignorate, in data 9 ottobre 2020, e afferma, di conseguenza, di non avere più interesse alla presente controversia, chiedendo espressamente la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Tale dichiarazione della parte ricorrente, che si concretizza in una esplicita richiesta di dichiarazione di inammissibilità del proprio ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, non può che essere intesa come una vera e propria sostanziale rinunzia al ricorso stesso.

Trattasi peraltro di rinunzia irregolare, ai sensi dell’art. – 390 c.p.c., comma 3, in quanto non comunicata alla controparte, oltre che da questa non accettata.

Secondo l’indirizzo di questa Corte, cui intende darsi continuità, “nel giudizio di cassazione, la dichiarazione di sopravvenuto difetto di interesse alla definizione del ricorso, resa dal difensore munito di mandato speciale, non può comportare la cessazione della materia del contendere – che presuppone che le parti si diano atto reciprocamente del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso – ma deve essere equiparata alla rinuncia ex art. 390 c.p.c., con la conseguenza che, in mancanza dei requisiti previsti dal comma 3 di tale disposizione, la predetta dichiarazione, pur inidonea a determinare l’estinzione del processo, comporta la sopravvenuta inammissibilità del ricorso, atteso che l’interesse posto a fondamento di quest’ultimo deve sussistere non soltanto al momento dell’impugnazione, ma anche successivamente fino alla decisione della causa” (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 25625 del 12/11/2020, Rv. 659543 – 01; nel medesimo senso: Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14782 dell 07/06/2018, Rv. 649019 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2259 del 31/01/2013, Rv. 625136 – 01; Sez. U, Sentenza n. 3876 del 18/02/2010, Rv. 611473 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27133 del 19/12/2006, Rv. 595319 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 15980 del 14/07/2006, Rv. 592489 – 01; Sez. L, Sentenza n. 3525 del 22/02/2005, Rv. 579670 – 01).

Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza di interesse della parte ricorrente (come del resto da questa stessa espressamente richiesto).

2. Ai soli fini della regolazione delle spese del giudizio di legittimità (anche, dunque, in un’ottica analoga a quella di cui alla cd. soccombenza virtuale per il caso di cessazione della materia del contendere), la Corte ritiene opportuno dare atto che il ricorso risulterebbe comunque di per sè inammissibile, per le ragioni di seguito sinteticamente esposte.

2.1 Con il primo motivo si denunzia “Violazione artt. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Secondo la società ricorrente l’appello dei creditori intimanti avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c., in quanto non sufficientemente specifico.

Il motivo è inammissibile, prima ancora che manifestamente infondato.

La censura è formulata in modo non sufficientemente specifico: essa non è idonea, cioè, a mettere la Corte in condizioni di verificare se effettivamente sussistesse il denunziato vizio del gravame avanzato dai creditori intimanti opposti, di cui non è richiamato nell’ambito del motivo lo specifico contenuto, come imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Peraltro, secondo quanto si desume dalla stessa sentenza impugnata in ordine all’oggetto del gravame (il cui contenuto risulta d’altronde trascritto nel controricorso, nella parte rilevante), deve escludersi che potesse ricorrere l’invocata nullità, in base alla corretta individuazione dei requisiti di specificità dell’atto di appello, oggetto di recente chiarimento da parte di questa stessa Corte, a Sezioni Unite (Cass., Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017; in precedenza, nel medesimo senso, si vedano, ad es.: Cass., Sez. L, Sentenza n. 17712 del 07/09/2016, Rv. 640991 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 18932 del 27/09/2016, Rv. 641832 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 10916 del 05/05/2017, Rv. 644015 – 01; successivamente, conf.: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018, Rv. 648722 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 7675 del 19/03/2019, Rv. 653027 – 01). 2.2 Con il secondo motivo si denunzia “Violazione normativa in materia di actio nullitatis. Violazione e falsa applicazione art. 615 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il terzo motivo si denunzia “Violazione della normativa in materia di contenuto della sentenza. Violazione art. 131 e 132 c.p.c. 161 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il secondo ed il terzo motivo sono logicamente connessi e vanno quindi esaminati congiuntamente.

Essi sono in parte manifestamente infondati (e come tali inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1) ed in parte inammissibili.

La decisione impugnata è conforme in diritto al costante indirizzo di questa Corte secondo cui “in sede di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo esecutivo giudiziale, il debitore può invocare soltanto i fatti estintivi o modificativi del diritto del creditore che si siano verificati posteriormente alla formazione del titolo, e non anche quelli intervenuti anteriormente, i quali sono deducibili esclusivamente nel giudizio preordinato alla formazione del titolo stesso” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9061 del 28/08/1999, Rv. 529503 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12664 del 25/09/2000, Rv. 540444; Sez. 3, Sentenza n. 17632 del 11/12/2002, Rv. 559144 – 01; Sez. L, Sentenza n. 7637 del 21/04/2004, Rv. 572223; Sez. L, Sentenza n. 10504 del 01/06/2004, Rv. 573337 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 26089 del 30/11/2005, Rv. 585846 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8928 del 18/04/2006, Rv. 590698; Sez. 1, Sentenza n. 22402 del 05/09/2008, Rv. 60468:3; Sez. 3, Sentenza n. 9347 del 20/04/2009, Rv. 607522; Sez. 3, Sentenza n. 12911 del 24/07/2012, Rv. 623415; Sez. L, Sentenza n. 3667 del 14/02/2013, Rv. 625093; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3277 del 18/02/2015, Rv. 634447, in cui si precisa che “nel giudizio di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l’inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto o sta avendo pieno sviluppo ed è stata od è tuttora in esame”; Sez. 1, Sentenza n. 16983 del 27/06/2018, Rv. 649675 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2020, Rv. 657019 – 01).

La corte di appello ha d’altra parte espressamente escluso che i pretesi vizi della sentenza costituente titolo esecutivo, dedotti dalla società opponente, fossero tali da poterne determinare l’inesistenza giuridica essendo, al contrario, essa certamente dotata dei requisiti essenziali indispensabili perchè fosse integrato un atto di esercizio della funzione giurisdizionale.

Ha in proposito osservato, tra l’altro, che dal complesso della pronunzia posta a base del precetto opposto, coordinandone la motivazione con il dispositivo, emergeva ben chiaro non solo il relativo contenuto precettivo, consistente nella condanna della società Giaguaro S.p.A. al pagamento di una determinata somma di danaro in favore del M. e dell’ A., ma anche le ragioni di siffatta decisione, e ciò a prescindere da ogni questione in ordine alla correttezza, in fatto e in diritto, della statuizione, alla adeguatezza della relativa motivazione ed agli stessi eventuali vizi processuali cd. di costruzione del titolo, questioni che avrebbero potuto essere fatte valere esclusivamente in sede di impugnazione.

Del tutto infondata è, quindi, anche la deduzione della società ricorrente secondo cui la sentenza posta a base del precetto opposto sarebbe stata priva di dispositivo e che ciò sarebbe stato addirittura in qualche modo riconosciuto dalla stessa corte di appello: per tale aspetto, anzi, le censure non colgono adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della pronunzia impugnata, nella quale è, al contrario, chiaramente affermato che il contenuto precettivo della decisione costituente titolo esecutivo è chiaramente individuabile.

2.3 Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità.

A sostegno della censura secondo cui sarebbe stato applicato uno scaglione di valore erroneo nella liquidazione delle spese di lite, non è infatti specificamente indicato nel ricorso, in evidente violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, neanche l’importo precettato (che, peraltro, i controricorrenti affermano essere pari a quasi Euro 350.000,00 e, quindi, effettivamente ricompreso nello scaglione di tariffa utilizzato della corte di appello).

Tanto meno è specificamente allegato che, in ragione della pretesa erronea applicazione dello scaglione di valore tariffario, sarebbero stati liquidati importi superiori ai massimi dei parametri applicabili.

2.4 In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse della parte ricorrente, desumibile dalla sua sostanziale ed irrituale rinuncia allo stesso (oltre che per la sua espressa richiesta in tal senso), ma le spese del giudizio di legittimità restano a carico della stessa parte ricorrente, anche in considerazione della circostanza che l’impugnazione non avrebbe in nessun caso potuto trovare accoglimento.

3. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Con riguardo all’attestazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va ribadito l’indirizzo di questa Corte, per cui “in tema di impugnazioni, la “ratio” del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, va individuata nella finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose, sicchè tale meccanismo sanzionatorio si applica per l’inammissibilità originaria del gravame (nella specie, ricorso per cassazione) ma non per quella sopravvenuta (nella specie, per sopravvenuto difetto di interesse)” (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 13636 del 02/07/2015, Rv. 635682 – 01; conf. Sez. 3, Sentenza n. 3542 del 10/02/2017, Rv. 642858 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14782 del 07/06/2018, Rv. 649019 – 02; Sez. 5, Ordinanza n. 31732 del 07/12/2018, Rv. 651779 – 01).

Nella specie, dunque, essendo il difetto di interesse al ricorso sopravvenuto, non sussistono i presupposti per effettuare tale attestazione.

P.Q.M.

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

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