Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30261 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 22/11/2018), n.30261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25316/2013 proposto da:

P.M.P., C.F. (OMISSIS), A.M.G. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO POLLAIOLO

5, presso lo studio dell’avvocato YURI PICCIOTTI, che li rappresenta

e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

I.S.T.A.T. ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, in persona del legale

rappresentante pro tempore domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3416/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/05/2013 R.G.N. 190/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Roma, in riforma della pronuncia di prime cure, ha accolto la domanda dell’Istat, stabilendo che l’indennità di ente mensile non rientrasse nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita corrisposta alle dipendenti P.M.P. e A.M.G.;

ha affermato che la base di calcolo dell’indennità di buonuscita per i dipendenti pubblici si compone delle sole voci tassativamente elencate dal D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38; che l’indennità di ente mensile, introdotta dall’art. 44, comma 4 del c.c.n.l. 1994/1997 non è inclusa nella predetta elencazione, e quindi non entra a far parte della retribuzione in senso omnicomprensivo in quanto riferibile a tutto quanto ricevuto dal lavoratore in modo fisso e continuativo;

per la cassazione di tale sentenza ricorrono P.M.P. e A.M.G. con una censura, l’Istat resiste con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unica censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, le ricorrenti deducono “Violazione e/o erronea applicazione di norme di diritto”; la sentenza gravata avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 44, comma 4 del c.c.n.l. 1994/1997, che ha istituito l’indennità di ente nelle due voci annuale e mensile senza operare alcuna distinzione tra esse; il successivo contratto collettivo, applicabile per il biennio economico 1998-1999, avrebbe precisato poi che l’indennità di ente, atteso il suo carattere di stabilità, sarebbe utile ai fini dell’indennità premio di fine servizio e del trattamento di fine rapporto, ancora una volta senza operare alcun distinguo tra le due voci che la compongono, ma prevedendo soltanto che l’indennità mensile è calcolata su base variabile, mentre quella annuale su base fissa, il che non inciderebbe sulla natura di emolumento fisso della prima, perchè comunque erogata per tutti i mesi dell’anno;

l’indennità di Ente mensile, per la sua natura di emolumento fisso e stabile, avrebbe dovuto essere ritenuto, dai Giudici dell’Appello compresa nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita ai sensi del D.P.R. 29 dicembre 1073, art. 38, comma 9, L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 9 e della L. n. 153 del 1969, art. 12;

la censura è infondata;

questa Corte si è già pronunciata sulla materia, decidendo che “In tema di determinazione dell’indennità di buonuscita del personale dipendente dell’Istat, posto il principio di tassatività di cui al D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, applicabile al rapporto, va esclusa la computabilità dell’indennità di ente mensile prevista dall’art. 44, comma 4 del CCNL 1994-1997, in quanto l’art. 71 del successivo CCNL 1998-2001, nell’affermare l’utilità ai fini dell’indennità di premio di fine servizio e del trattamento di fine rapporto, non richiama anche l’art. 7, comma 3 del CCNL 1994-1997, che ad essa fa riferimento, ma solo l’indennità di ente annuale maturata dopo il 31 dicembre 1999, come incrementata ai sensi dello stesso art. 71, comma 2” (Cass. n. 8146/2018; n. 18790/2015; n. 10431/2014);

la Corte d’Appello ha, dunque, fatto corretta applicazione del principio sopra richiamato cui in questa sede s’intende dare continuità;

in definitiva, essendo la censura infondata il ricorso è rigettato. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta ii ricorso e condanna le ricorrenti a rimborso nei confronti dei controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4500 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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