Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30260 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 22/11/2018), n.30260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27931/2013 proposto da:

A.G., C.F. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI, tutti domiciliati

in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO STROZZIERI,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

START S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 8,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO SCONOCCHIA, rappresentata e

difesa dall’avvocato CARLO ALBERTO NICOLINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 104/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/05/2013, R.G.N. 274/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/05/2018 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO STROZZIERI;

udito l’Avvocato CARLO ALBERTO NICOLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Ancona con la sentenza n. 104/2013 aveva accolto l’appello proposto da Start Spa avverso la decisione con la quale il Tribunale di Ascoli Piceno aveva condannato la predetta società a pagare a D.F. ed altri lavoratori come in epigrafe indicati quanto loro spettante a titolo di lavoro straordinario prestato per nove minuti giornalieri dal 2003.

La corte territoriale rilevava che i predetti lavoratori, con mansioni di conducenti di autobus, avevano sostenuto che nonostante l’accordo sindacale aziendale del 17 aprile 2002 avesse fissato i turni giornalieri di lavoro in 6 ore e 10 minuti, l’azienda, a partire dal 1 marzo 2003, aveva preteso turni di 6 ore e 21 minuti. Ciò premesso la corte aveva ritenuto carente la prova dell’effettivo superamento dell’orario di lavoro ordinario come indicato, e quindi la diversità rispetto a quello invece contenuto nei prospetti paga, anche valutando non significativo, a tal riguardo, il contenuto della proposta conciliativa svolta dalla società, non avente natura nè di confessione e neppure di riconoscimento del debito.

Il Giudice del gravame aveva infine considerato che comunque la contrattazione aziendale o territoriale non avrebbe potuto incidere sull’orario di lavoro come stabilito del CCNL 12 luglio 1985 in ragione di quanto espressamente stabilito dal CCNL 27 novembre 2000, con riguardo alla durata settimanale realizzata come media nell’arco di 17 settimane.

Avverso detta decisione i lavoratori proponevano ricorso affidandolo a due articolati motivi cui resisteva con controricorso la Start spa e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) – Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2077 e 2078 c.c., art. 1340,2107 c.c. e del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare i ricorrenti lamentano la statuizione relativa alla non modificabilità dell’orario fissato dalla contrattazione collettiva ritenendo in tal senso violato il disposto dell’art. 2077 c.c., comma 2, secondo il quale, pur affermata la inderogabiltà del ccnl, deve ammettersi la salvaguardia delle clausole individuali che contengano condizioni di miglior favore per il lavoratore. Altresì violato il disposto dell’art. 2078 c.c. e dell’art. 1340 c.c., perchè non considerata la prevalenza, rispetto alle norme del ccnl, di usi aziendali più favorevoli.

Il motivo risulta inammissibile in quanto i ricorrenti, pur richiamando clausole di contratto individuale e usi aziendali più favorevoli rispetto alla contrattazione collettiva in punto di ordinario orario di lavoro, non hanno allegato in ricorso i termini ed i contenuti delle clausole e le circostanze di fatto attestative degli usi. Con riguardo a questi ultimi, peraltro, non allegano le concrete condizioni fattuali dimostrative degli eventuali comportamenti e/o condizioni rappresentative della consuetudine.

Questa Corte ha chiarito che “L’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo, richiede il protrarsi nel tempo di comportamenti che abbiano carattere generale, in quanto applicati nei confronti di tutti i dipendenti dell’azienda con lo stesso contenuto” (Cass. n. 18263/2009).

Le richieste caratteristiche di reiterazione nel tempo e di generalità del comportamento devono essere oggetto di specifica allegazione (e conseguente prova) non evincibile nel motivo di ricorso proposto ove neppure è indicato in che modo tali circostanze siano state sottoposte ai giudici di merito.

Nell’articolato motivo è richiamata anche la violazione dell’art. 2108 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 3, in quanto ritenuta pacifica la osservanza di un orario di lavoro inferiore a quello disciplinato dal contratto collettivo di categoria (a seguito di accordi e prassi aziendale),e quindi la possibilità di fissare sia in sede di contrattazione nazionale che decentrata, un orario di lavoro inferiore a quello legale.

Anche tale profilo di censura risulta sguarnito di ogni riferimento concreto agli accordi e prassi richiamati, il cui contenuto, come sopra già chiarito, doveva essere inserito nel ricorso in questa sede proposto, al fine di consentirne la valutazione.

2)- Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,420 c.p.c., art. 116 c.p.c., nonchè artt. 2719 e 2727,2729,2730,2733,2735 e segg. c.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ex art. 360 c.p.c., n. 5.

I ricorrenti si dolgono della statuizione relativa al mancato adempimento degli oneri probatori inerenti il maggior orario di lavoro osservato anche rispetto a quello già riconosciuto in via forfettaria. In particolare si dolgono della mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti.

Val la pena richiamare l’orientamento di questa Corte secondo cui “Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (tra le altre Cass. n. 5654/2017).

Il principio, cui si intende dare seguito, individua il vizio non nella semplice mancata ammissione della prove testimoniali, ma nello stretto collegamento tra le circostanze oggetto di prova e il diverso giudizio che seguirebbe a tali nuovi elementi processuali. La certezza di un differente esito del processo deve essere ben evidenziata dalla parte ricorrente che denunci il vizio in sede di legittimità.

Rispetto a tali condizioni deve ritenersi assente nel caso di specie ogni indizio circa la certa differente soluzione cui sarebbe addivenuto il giudice in presenza delle circostanze oggetto della prova. A riguardo la parte ricorrente non ha neppure indicato con completezza i capitoli di prova limitandosi a richiamarne solo alcuni e altresì non evidenziando la decisività degli stessi.

Deve poi dichiararsi inammissibile il profilo del motivo inerente la contraddittorietà ed insufficienza della motivazione essendo estraneo il vizio denunciato alla attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

A riguardo questa Corte ha precisato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate”. Cass. n. 21152/2014 Cass. n. 2805/2011).

Infine inammissibile il profilo della censura inerente la violazione degli artt. 115,116 e 416 c.p.c. e quindi la denunciata erronea valutazione dei mezzi istruttori, in quanto del tutto assente nel ricorso la indicazione delle dichiarazioni della Start contenute nella memoria di costituzione di primo grado richiamate dai ricorrenti. Infine generica la doglianza relativa alla mancata ammissione delle prove sia con riferimento agli specifici capitoli in ipotesi rilevanti, sia con riguardo alla effettiva e concreta decisività degli stessi.

Il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 8.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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