Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3025 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. I, 10/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 10/02/2020), n.3025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6654-2015 r.g. proposto da:

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

curatore legale rappresentante pro tempore Avv. P.F.,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dall’Avvocato Marco Antonelli, presso il cui studio è

elettivamente domiciliato in Roma, Via Pietro della Valle n. 2;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT s.p.a., (cod. fisc. e P.Iva (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al

controricorso, dagli Avvocati Francesco Carbonetti e Fabrizio

Carbonetti, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in

Roma, alla Via San Valentino n. 21;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata in

data 9.6.2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/11/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma – decidendo sull’appello proposto da UNICREDIT s.p.a. nei confronti di fallimento (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza emessa in data 18 ottobre 2010 dal Tribunale di Roma (con la quale l’istituto di credito, in accoglimento della domanda revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, (ante riforma), avanzata dalla curatela fallimentare, era stato condannato al pagamento della somma pari ad Euro 1.449.973,12) – ha accolto l’appello, rigettando, pertanto, la domanda revocatoria delle rimesse solutorie su conto corrente impugnate dal fallimento della predetta società.

La corte del merito ha, in primo luogo, ricordato che il tribunale aveva ritenuto, per un verso, provata la conoscenza dello stato di decozione della fallita da parte dell’istituto di credito e, per altro verso, dimostrata la natura solutoria delle rimesse sul conto corrente n. (OMISSIS), sulla base degli accertamenti disposti in sede di Ctu contabile e sulla scorta della considerazione che il predetto conto fosse coperto da apertura di credito per Euro 750.000.000.

La corte territoriale ha, in primo luogo, ricordato che, per valutare se una rimessa bancaria sia destinata al pagamento di un debito del cliente nei confronti della banca ovvero al ripristino della provvista sul conto corrente, occorre far riferimento al saldo disponibile del conto, ossia all’effettiva disponibilità del denaro liquido da parte del correntista al momento in cui la rimessa è stata eseguita, e dunque non al saldo contabile ovvero al saldo per valuta.

Il giudice di appello ha, dunque, ritenuto che mancasse la prova che quanto riscosso dall’Istituto di Credito, alla data contabile di incasso dei due assegni pari ad Euro 530.000,00, rispetto a quanto anticipato con il fido, fosse servito a ridurre lo scoperto di conto, e che non avesse trovato riscontro obiettivo alcuna la deduzione della curatela in ordine alla natura anomala delle due operazioni veicolate tramite assegni sul predetto conto corrente. La corte di merito ha ritenuto che la causale “estinzione assegni”, sottostante alle due operazioni sopra descritte, non era dirimente, in quanto, trattandosi di titoli di credito astratti, la detta descrizione non consentiva di individuare l’effettiva ragione per cui detti titoli erano stati emessi.

2. La sentenza, pubblicata il 9.6.2014, è stata impugnata dalla curatela del fallimento (OMISSIS) sr.l. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di censura, cui la UNICREDIT s.p.a. ha resistito con controricorso, con il quale ha anche – in via incidentale – contestato la legittimità della regolamentazione delle spese del doppio grado di merito tramite compensazione.

Il fallimento ricorrente ha depositato memoria, fuori termine.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo ed unico motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo, relativo alla conoscenza in capo all’istituto di credito dell’avvenuta emissione da parte del correntista di due assegni bancari emessi in favore del medesimo istituto di credito – si duole dell’erronea ricostruzione dell’andamento del conto corrente bancario in relazione alla data di valuta, anzichè a quella di emissione e di negoziazione dei sopra menzionati due assegni bancari.

2. Il ricorso è in realtà inammissibile.

2.1 La parte ricorrente censura la sentenza impugnata sotto il profilo di un asserito omesso esame da parte della corte di appello di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, individuando il fatto che la corte territoriale avrebbe omesso di considerare – nella “inusuale descrizione della causale delle due operazioni di negoziazione degli assegni” espressa nell’estratto conto con la dicitura “estinzione assegno”. Tale fatto secondo gli assunti difensivi della curatela ricorrente – sarebbe decisivo, in quanto rileverebbe la conoscenza in capo all’istituto di credito dell’avvenuta emissione degli assegni da parte del correntista, così portando ad una ricostruzione dell’andamento del conto corrente bancario in base alla data di valuta ovvero di emissione dell’assegno, anzichè a quella della effettiva disponibilità delle somme dagli stessi assegni portati e, dunque, all’accertamento della natura solutoria dei pagamenti, stante lo scoperto di conto corrente esistente a quella data.

2.2 Il motivo così prospettato è inammissibile per almeno due ordini di motivi.

2.2.1 Sotto il primo profilo, occorre evidenziare come la censura non intercetti neanche la ratio decidendi della motivazione impugnata laddove la stessa ha argomentato l’insussistenza di rimesse revocabili sul fondato accertamento della natura ripristinatoria delle rimesse in conto corrente oggetto della domanda revocatoria.

2.2.2 Ma anche a voler superare tale pur assorbente profilo di inammissibilità, va comunque evidenziato che altro profilo di evidente inammissibilità della doglianza deriva dalla considerazione che se, da un lato, la sentenza viene censurata dalla parte ricorrente per un asserito “omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, dall’altro, risulta evidente dalla lettura della motivazione impugnata che il “fatto” decisivo – del cui omesso esame si duole la curatela ricorrente (e relativo alla “questione relativa alla inusuale descrizione della causale delle due operazioni di negoziazione degli assegni”) – è stata, invece, esaminata da parte dei giudici del merito, e ciò, peraltro, per stessa ammissione della parte ricorrente.

Ed invero, la corte di appello ha preso in considerazione la deduzione del fallimento “circa la natura anomala delle due operazioni”, soffermandosi sulla descrizione della causale “estinzione assegni” sottostante alle due operazioni e ritenendo tale circostanza non dirimente ed inidonea a far emergere l’anormalità delle operazioni di negoziazione degli assegni e, dunque, a far ritenere che la disponibilità delle somme portate dagli assegni potesse coincidere con la data di valuta e non già con quella contabile (cfr. pag. 4 della motivazione impugnata). Del resto, è lo stesso ricorrente come già sopra accennato – a dare atto, nel corpo del ricorso introduttivo (cfr. pag. 12), delle valutazioni compiute dalla corte di merito sul punto qui da ultimo in discussione, criticandole, per l’appunto, per avere il giudice dell’appello “esplicitamente considerato come irrilevante” ovvero “non dirimente” la predetta questione.

Ne consegue che il fatto decisivo richiamato dal ricorrente è stato invece preso in esame dai giudici del merito, i quali, dunque, non hanno omesso di considerarlo, quanto piuttosto ne hanno rilevato l’irrilevanza ai fini della decisione.

2.2.3 Ma se così è, allora non può non rilevarsi come le ulteriori censure sollevate dalla parte ricorrente – in ordine al profilo della natura solutoria e ripristinatoria delle rimesse, in relazione al profilo di anomalia della negoziazione dei due assegni – si risolva, in realtà, in una ulteriore inammissibile richiesta di rivalutazione delle prove, già correttamente scrutinate dalla corte di appello, per fondare un giudizio diverso rispetto a quello già espresso da quest’ultima in ordine alla natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse (cfr. pagg. 14 e 15 del ricorso).

E ciò, peraltro, a fronte di una motivazione che, scevra da aporie ovvero criticità argomentative, si premura di esplicitare i principi di diritto ai quali si è attenuta nel predetto giudizio in merito alla valutazione della natura giuridica delle predette rimesse, principi coerenti con gli insegnamenti espressi da questa Corte nella subiecta materia.

Sul punto, è utile ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di revocatoria fallimentare, le rimesse sul conto corrente dell’imprenditore successivamente fallito sono legittimamente revocabili, ai sensi della L. Fall., art. 67, quando il conto stesso, all’atto della rimessa, risulti “scoperto”. Pertanto al fine di accertare se una rimessa del correntista sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la banca ed abbia quindi funzione solutoria, ovvero valga solo a ripristinare la provvista sul conto corrente, occorre fare riferimento al criterio del “saldo disponibile” del conto, da determinarsi in ragione delle epoche di effettiva esecuzione di incassi ed erogazioni da parte della banca; non è, invece, idoneo nè il criterio del “saldo contabile”, che riflette la registrazione delle operazioni in ordine puramente cronologico, nè quello del “saldo per valuta”, che è effetto del posizionamento delle partite unicamente in base alla data di maturazione degli interessi (Sez. 1, Sentenza n. 16608 del 15/07/2010; Sez. 1, Sentenza n. 16610 del 03/07/2013).

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale.

2.3 Ma anche il ricorso incidentale è inammissibile, in quanto la censura proposta richiede alla Corte di legittimità una rivalutazione di merito in ordine alla decisione di regolamentazione delle spese di lite, sulla quale la Corte di appello ha espresso una valutazione in fatto, in ordine alle ragioni sottese alla decisione di compensare le spese di lite del doppio grado.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza principale.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale; condanna la parte ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e del ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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