Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30245 del 15/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/12/2017, (ud. 03/10/2017, dep.15/12/2017),  n. 30245

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma con la sentenza impugnata ha rigettato l’impugnazione proposta da M.D. nei confronti dell’I.N.P.S. avverso la sentenza di primo grado del 7 aprile 2011 che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla parte, al fine di ottenere il pagamento di accessori ed interessi per prestazioni erogate in ritardo alla propria dante causa B.A.J., per mancanza di valida procura alle liti.

Ritiene la Corte territoriale, confermando le motivazioni del primo giudice, che la procura alle liti conferita all’estero sia nulla essendo priva tanto della legalizzazione della firma quanto della formalità della “apostille”.

Avverso tale sentenza M.D. ricorre per cassazione con due motivi illustrati da memoria. L’I.N.P.S. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. M.D., nella memoria depositata ai sensi dell’ art. 378 c.p.c., oltre ad insistere mediante richiamo alla giurisprudenza di questa Corte sulla efficacia retroattiva di una eventuale sanatoria dei vizi della procura alle liti conferita per il primo grado di giudizio ai sensi dell’art. 182 c.p.c., ha prodotto un documento attestante il conferimento di una “procura speciale” conferita da M.D. al signor D.B.A., all’avv.ta Gina Tralicci, all’avv.to Stefano Menicacci ed all’avv.to Nicola Staniscia. Oggetto di tale procura è, tra l’altro, la trattazione e la definizione, unitamente o disgiuntamente, ai procuratori di lite costituiti, in suo nome vece e conto e nel suo interesse, della totalità delle controversie aventi ad oggetto materia di previdenza ed assistenza obbligatoria con l’INPS, l’INAIL, il Ministero dell’Interno, ovvero qualsiasi altro ente previdenziale pubblico e/o privato dello Stato e di rappresentare la parte anche in giudizio eventualmente incardinato avanti qualsiasi organo giudiziario. Segue altro foglio contenente l’attestazione di autenticità della sottoscrizione apposta da M.D. a firma del notaio S.B. in data 1 giugno 2012.

1.2. Attraverso la produzione di tale atto, la ricorrente ritiene di aver sanato il vizio di nullità che ha formato oggetto sia della sentenza impugnata che di quella di primo grado; ritiene, ancora, la parte di aver agito spendendo la qualità di erede di B.A.J. attraverso un atto pubblico notarile e che tale circostanza, ove non si accogliesse la tesi interpretativa sopra indicata sull’efficacia sanante della odierna produzione, determinerebbe inevitabilmente l’affermazione di una totale inefficacia sul suolo della Repubblica di un atto redatto da un notaio di un Paese U.E. con violazione del Regolamento U.E. 650/12 nelle diverse disposizioni elencate. In tale evenienza, infatti, la ricorrente ritiene che si profili una fattispecie successoria e propone “richiesta di trasmissione atti alla Corte Europea di Lussemburgo” per “valutare positivamente l’immediata efficacia nell’ordinamento giuridico dello Stato contraente di un atto notarile costituito dalla procura speciale versata in atti emessa da un Notaio di altro Stato aderente alla U.E…” e “l’esistenza di condotte discriminatorie nei confronti delle procure notarili croate”. Nel merito, ha fatto istanza di rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374 c.p.c., in relazione all’applicazione del disposto dell’art. 182 c.p.c., comma 2, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, anche ai giudizi iniziati prima del 4 luglio 2009.

1.3.Le richieste contenute nella memoria sono inammissibili. In particolare, deve ricordarsi che, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 12, il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana ed in virtù di tale norma la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia è disciplinata dalla legge processuale italiana (ex plurimis vd. Cass. n. 9862/2014).

1.4. Il ricorso proposto dalla odierna ricorrente quale erede di B.A.J., nei confronti dell’Inps, avente ad oggetto la richiesta di condanna al pagamento di somme a titolo di interessi per il ritardato pagamento del trattamento pensionistico dovuto alla dante causa, deve, dunque, svolgersi secondo la legge italiana e non appartiene alla materia successoria, ma a quella dell’assistenza e della previdenza pubblica.

1.5.Non viene in rilievo alcun elemento di qualificazione della fattispecie sostanziale che comporti l’applicazione del richiamato Regolamento (UE) del Parlamento Europeo e del consiglio del 4 luglio 2012 n. 650, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio Europeo, comunque inapplicabile anche in ragione della articolata disciplina transitoria fissata dall’art. 84, del medesimo Regolamento. Tale norma, dopo averne disposto l’entrata in vigore – in conformità con la regola generale prevista dall’art. 297, p. 1 comma 3 Tfue – il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, ha previsto la decorrenza già dal 5 luglio 2012 dell’applicazione degli artt. 79, 80 e 81, e fissato al 16 novembre 2014 la data di scadenza del termine di trentasei mesi concesso per l’espletamento degli obblighi a carico degli Stati membri stabiliti dagli artt. 77 e 78. Conseguentemente, il Regolamento ha trovato applicazione a far data dal 17 agosto 2015 (art. 84 comma 2 reg. cit.). Inoltre, secondo quanto disposto dal precedente art. 83 p. 1, il regolamento si riferisce alle successioni a causa di morte delle persone decedute a partire dalla medesima data.

1.6. Peraltro, le questioni sollevate non possono, neanche come mero antecedente logico di fattispecie riconducibile a questioni successorie, condurre alle conclusioni formulate dalla parte ricorrente, alla luce del principio di attribuzione delle competenze ad agire, concesse dagli Stati in determinate materie, a favore dell’Unione, espresso nell’art. 5 TUE, in virtù del quale l’Unione “agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti”, mentre “qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”.

1.7. Non ha, quindi, alcuna attinenza con la materia oggetto del processo, nè tanto meno con i motivi di ricorso, la sollecitazione alla trasmissione di atti alla Corte di Giustizia Europea per verificare le ipotesi formulate dalla parte sul presupposto che si possa implicitamente disattendere il contenuto del Regolamento n. 650/2102 citato attraverso il disconoscimento dell’efficacia sanante della procura notarile slovena (e non croata come affermato nella memoria) solo ora prodotta.

2.1 Sottesa ai motivi di ricorso è solo la questione dei presupposti di operatività dell’art. 182 c.p.c., e la pretesa della parte di sanare i vizi della procura alla lite fatta valere nei gradi di merito mediante il deposito di una procura notarile autenticata in data successiva anche alla notifica del ricorso per cassazione, per cui non ha alcuna rilevanza la nazionalità del notaio che ha autenticato la firma di conferimento della procura.

2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c., e dell’art. 112 c.p.c., dovendosi ritenere vigente, ma non applicato dalla Corte territoriale, il principio della sanabilità del difetto di procura alle liti oggetto di eccezione da parte dell’Inps. La tesi della ricorrente, tendente ad affermare l’erroneità della sentenza impugnata per la mancata applicazione del disposto dell’art. 182 c.p.c., con l’effetto di sanare la carenza accertata dai giudici di merito, non è fondata.

2A. Va considerato, in primo luogo, che poichè il giudizio di primo grado è stato introdotto nell’anno 2008, il testo dell’art. 182 c.p.c., comma 2, introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, che ha previsto l’obbligo del giudice di assegnare alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio della necessaria autorizzazione ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa, non è applicabile alla presente fattispecie, ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 58 comma 1 della stessa legge.

2.2. Il testo applicabile, ratione temporis, è quello che attribuisce al giudice la facoltà di assegnare alle parti “un termine per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni salvo che si sia avverata una decadenza”.

2.3. Il confronto rende evidente che è solo con il nuovo testo che si introduce per la procura alle liti, oltre che per i vizi di rappresentanza ed assistenza, la concreta possibilità di una sanatoria o rinnovazione e tale palese effetto innovativo delle regole processuali non può confondersi con il diverso problema della eventuale immanenza nell’assetto processuale preesistente alla L. n. 69 del 2009, di un principio generale che imponesse, e non solo consentisse, al giudice di procedere alla regolarizzazione delle situazioni irregolari. Di tale questione, invero, si occuparono le Sezioni Unite del 19 aprile 2010 n. 9217 (non seguite da Cass. 3700/2012 e 12686/2016), richiamate dalla ricorrente che, infatti, ebbero ad oggetto la diversa fattispecie di invalida costituzione in giudizio della persona incapace, inabilitata ed assistita dal curatore e non ipotesi di procura alle liti irregolare.

2.4. Coerentemente, Cass. 11 ottobre 2006 n. 21811, precisò che il problema della validità della procura alla lite, sotto il profilo dello jus postulandi del procuratore (al quale si riferisce la disciplina dell’art. 125 c.p.c.), dovesse essere tenuto distinto da quello della capacità processuale, regolato dall’art. 182 c.p.c., per cui era il difetto di legittimazione processuale che poteva essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator e cioè del soggetto privo della capacità processuale di proporre la domanda.

2.5. Il principio è il medesimo ancora richiamato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità e da recente anche da Cass. 15156/2017, citata dal Procuratore generale nel corso della discussione, che si occupa appunto di legittimazione processuale e non afferma in alcun modo che sia possibile consentire la sanatoria del vizio relativo allo ius postulandi in qualunque stato e grado del processo ed a prescindere dal concreto svolgimento dei del processo stesso.

2.6.Conferma il quadro l’ulteriore precisazione che la possibilità di ratifica degli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza con efficacia retroattiva (salvi i diritti dei terzi) non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall’art. 125 c.p.c., (Cass., S.U., n. 13431 del 2014; Cass. n. 9464 del 2012).

2.7. Deve, quindi, concludersi che, quanto alla regolarizzazione di vizi dell’atto di conferimento dello ius postulandi, la regola introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, non costituisce uno strumento processuale idoneo a scardinare il sistema processuale imponendo ingiustificabili regressioni nello sviluppo della dinamica del processo, ma, al contrario, essa impone una positiva collaborazione fra i soggetti del processo stesso in un’ottica antiformalistica della casistica di cui la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, come recentemente ricordato da Cass. SS. UU. n. 26338/2017, si è fatta interprete in tema di inammissibilità o improcedibilità dei ricorsi, ispirandosi all’art.6 p. 1 della Convenzione EDU, che tutela il “diritto a un tribunale”.

3. Pertanto, ove, come nel caso di specie, il giudizio di merito abbia avuto ad oggetto unicamente l’accertamento della nullità della procura alle liti rilasciata all’avvocato, e la parte soccombente non abbia devoluto al giudizio d’appello, formulando specifico motivo, la violazione dell’obbligo del giudice di primo grado di consentire la regolarizzazione della procura invalida (ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2), deve escludersi che la medesima parte possa invocare, in questa sede di legittimità e quale vizio della sentenza d’appello, la violazione di tale articolo in virtù del principio contenuto nell’art. 161 c.p.c., comma 1, secondo il quale la nullità della sentenza si converte necessariamente in motivi impugnazione.

4. Alla luce di tali precisazioni, dunque, si risolve il dubbio interpretativo sotteso alla rimessione alla Sezione ordinaria della presente causa da parte della Sezione sesta di questa Corte di cassazione, nè assume efficacia sanante la trasposizione, all’interno della memoria depositata in vista della presente udienza, di copia in versione fotografica della procura speciale alle liti sopra descritta.

5. Con il secondo motivo di ricorso si sostiene, inoltre, che la Corte territoriale, violando gli artt. 434,115,116,83 e 232 c.p.c., abbia errato nel ritenere superata la presunzione di rilascio in Italia della procura ed abbia posto a carico della parte ricorrente l’onere di provare tale circostanza attraverso l’ammissione dell’interrogatorio formale. Tale motivo è infondato poichè la Corte territoriale ha posto a base del ritenuto superamento della presunzione di rilascio della procura in Italia una serie di elementi, quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica (stabile) residenza della ricorrente in un paese estero (Slovenia), nonchè il suo comportamento processuale e, in particolare, la mancata comparizione, non giustificata, in udienza per rispondere all’interrogatorio formale deferitole. In proposito deve rilevarsi che, come emerge dalla sentenza impugnata, l’interrogatorio formale era stato deferito sulla circostanza relativa al luogo in cui la procura a margine del ricorso era stata sottoscritta: la mancata risposta rappresenta pertanto un fatto qualificato riconducibile al più ampio ambito del comportamento della parte nel processo cui il giudice può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti e così di prova, secondo la sua prudente valutazione (Cass. 13 novembre 1997, n. 11233; Cass. 12 dicembre 2005, n. 27320).

6. In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in difetto di idonea dichiarazione di esonero sottoscritta dalla parte ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c..

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2017

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