Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3024 del 07/02/2011

Cassazione civile sez. II, 07/02/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 07/02/2011), n.3024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14874/2005 proposto da:

S.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA M. PRESTINARI 15, presso lo studio dell’avvocato CALVIERI

VALTER, rappresentato e difeso dall’avvocato MICCOLI ANTONELLA;

– ricorrente –

contro

S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 9, presso lo studio dell’avvocato GUZZO

ARCANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato POLI Maria Grazia;

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PORTA PINCIANA 6, presso lo studio dell’avvocato DI CESARE

LUCIO, rappresentato e difeso dall’avvocato BERTI MANTELLASSI

GIOVANNI;

– controricorrenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PISA, depositata il 21/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 8-14.4.2004 S.B., nell’ambito di un giudizio di scioglimento di comunione ereditaria da lui promosso contro S.A., proponeva opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, avverso il provvedimento di liquidazione del compenso al c.t.u., ing. C.F., quantificato in _ 3.077,92, ai sensi del D.M. 30 maggio 2002, art. 13, oltre Euro 327,08 per spese, ed oltre Iva e Cassa previdenza.

Con decreto del 16-21.4.2005 il Presidente del Tribunale di Pisa rigettava l’opposizione, condannando l’opponente alle spese verso l’altra parte e il c.t.u, che avevano svolto entrambi attività difensiva.

Osservava il giudice che il primo motivo di doglianza – nullità della c.t.u. per mancata comunicazione al c.t.p. di S.B. della data di prosecuzione delle operazioni – era inammissibile, essendo le questioni inerenti alla validità del mezzo riservate al giudice del merito, mentre le uniche censure introducibili in sede di reclamo potevano riguardare l’entità del compenso liquidato.

Riteneva, inoltre, che quest’ultimo dovesse essere liquidato non a vacazioni, come richiesto dall’opponente, ma a scaglioni ex art. 13 D.M. citato, trattandosi di estimo, e in base all’importo stimato dal c.t.u., essendo la domanda di valore indeterminabile. Quanto alla doglianza relativa all’applicazione dei massimi, piuttosto che dei minimi o dei valori medi, della tabella di cui al D.M. 30 maggio 2002, il giudice di primo grado rilevava che il c.t.u. era stato incaricato di determinare non solo il valore commerciale, ma anche quello locativo delle unità immobiliari oggetto di divisione. In merito alle spese, che l’opponente aveva dedotto essere non documentalmente giustificate e, quindi, non liquidabili, osservava che la L. n. 319 del 1980, artt. 4 e 7, che prescrivevano l’onere per il c.t.u. di presentare una nota spese specifica e di allegare la relativa documentazione, erano stati abrogati dal D.P.R. n. 15 del 2002, art. 229, senza che ciò implicasse la non rimborsabilità delle spese stesse, le quali, pertanto, potevano essere discrezionalmente riconosciute dal giudice. E nello specifico, concludeva il Presidente del Tribunale di Pisa, il c.t.u. con successiva memoria aveva depositato le pezze d’appoggio relative alle spese sostenute, salvo quelle per i viaggi effettuati a (OMISSIS), l’importo delle quali, così come indicato dal et. u., appariva comunque congruo.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione S. B., articolando cinque motivi di annullamento, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi gli intimati S.A. e C.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. n. 15 del 2002, art. 170 e della L. n. 794 del 1942, art. 29, nonchè il vizio di omessa motivazione, lamentando che il Presidente del Tribunale, erroneamente, ha dapprima rimesso il procedimento al Collegio, non si è pronunciato sull’istanza di sospensione dell’esecutorietà del decreto di liquidazione opposto, ha suggerito al c.t.u. di munirsi di un difensore, non ha effettuato il tentativo di conciliazione, non ha chiesto al giudice della causa di merito che aveva liquidato il compenso gli atti e le informazioni necessarie ai fini del decidere, e non ha, infine, liquidato le spese, bensì sancito il rigetto dell’opposizione.

Tutte le violazioni anzidette, singolarmente e/o complessivamente considerate, si sostiene, si sono risolte in danno dell’opponente e comportano la nullità del provvedimento finale.

1.1. – Il motivo – riqualificato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (essendo denunciate violazioni processuali cui il ricorrente associa la nullità del provvedimento finale), ed esclusa l’ammissibilità della prospettazione aggiuntiva ex n. 5 norma citata, in quanto in materia ai vizi in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulate in sede di legittimità la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di Cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. nn. 27728/05,22130/04 e 7620/01) – è infondato.

1.2. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume la regola per cui la denuncia di viri dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorchè nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Cass. n. 4340/10, nello stesso senso, cfr.

Cass. nn. 6686/10,4435/08 e 16630/07).

1.3. – L’unica conseguenza pregiudizievole che il ricorrente allega consiste nell’essere stato egli esposto alla soccombenza nelle spese verso il c.t.u., effetto che non si sarebbe prodotto se il Presidente del Tribunale non avesse consigliato quest’ultimo di munirsi di un difensore.

A tacere del fatto che la censura, ove anche fosse astrattamente configurabile, difetterebbe comunque di autosufficienza, non avendo il ricorrente indicato l’atto o il verbale da cui risulti tale suggerimento dell’ufficio, va osservato che non ricorre alcuna violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, tanto meno in termini di nullità, ove si consideri che la non necessaria assistenza tecnica, che si ricava dalla L. n. 794 del 1942, art. 29, comma 3, applicabile al procedimento di opposizione per il rinvio contenuto nel comma 2 di detta norma, come non impone, così non esclude che il c.t.u. opposto sia assistito da un avvocato; e che la mera prospettazione dell’opportunità che la parte opposta si avvalga di una difesa tecnica, esprime l’esercizio legittimo ad opera del giudice di un potere di informazione a sua volta rientrante nell’ambito di quello più generale inteso al leale svolgimento del procedimento (art. 175 c.p.c., comma 1).

1.4. – Del pari destituita di pregio è la censura di omessa pronuncia sull’istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto di liquidazione del compenso, per la duplice ragione che:

a) il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. nn. 4191/06, 24808/05, 22860/04, 3927/02); b) dalla esecutività per legge del provvedimento opposto deriva che la parte soccombente non ha interesse a dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata pronuncia ad opera del giudice di merito sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado (cfr., per l’analoga fattispecie della sentenza d’appello ricorsa per cassazione, Cass. nn. 1440/00,9868/05).

2. – Con il secondo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, della L. n. 794 del 1942, art. 29 e degli artt. 91 e 100 c.p.c., anche in coordinamento fra loro, e il vizio di omessa motivazione, per aver il giudice di primo grado condannato S.B. a rifondere le spese del procedimento di opposizione anche a favore di S. A., che in quanto condividente non aveva interesse nè legittimazione a contraddire alla domanda, avendo questa ad oggetto la quantificazione di spese di massa, che ad ogni modo gravano sulla comunione.

2.1. – Il motivo è fondato.

2.1.1. – Il regolamento delle spese di lite opera in base al criterio della soccombenza, il quale, a sua volta, presuppone nella parte contro cui è pronunciata la relativa condanna un titolo di legittimazione passiva che la qualifichi come portatrice di un interesse antagonista a quello della parte vittoriosa.

La specificità del procedimento in esame risiede nella partecipazione necessaria della condividente, in quanto parte incisa dal provvedimento di liquidazione. Quest’ultimo, infatti, ha ad oggetto una spesa sostenuta nell’interesse superiore della funzione giudiziaria e non in quello particolare di una parte piuttosto che di un’altra, sicchè tutti i soggetti coinvolti nel processo sono obbligati in solido, nei rapporti esterni con il c.t.u., al relativo pagamento (cfr., ex multis, Cass. n. 23586/08), a prescindere dal provvedimento, provvisorio o finale, di addebito della spesa stessa nei rapporti interni alle parti.

Nel caso di specie, va da sè che la condividente non ha, indipendentemente dalla strategia difensiva in concreto adottata, un interesse (s’intende, qualificato) contrario all’accoglimento del reclamo, ove si consideri che quest’ultimo mira soltanto a ridurre una prestazione che grava anche su di lei.

2.1.2. – Questa Corte ha avuto modo, in fattispecie consimili (ma non identiche), di affermare il principio per cui il litisconsorte processuale cui sia stata notificata l’impugnazione, ma non proposta alcuna domanda, ha diritto a rimborso delle spese, che sono a carico dalla parte impugnante, se soccombente (cfr. Cass. nn. 2270/06, 5977/01). E che, allo stesso modo, qualora l’attore convenga in giudizio, oltre al soggetto contro cui è indirizzata la domanda, anche un terzo nei cui confronti ritiene che debba essere adottata o comunque avere effetto la pronunzia, in caso di non accoglimento della domanda legittimamente il giudice pone a suo carico le spese giudiziali sopportate (anche) da tale terzo, pur se nei confronti del medesimo non risultino proposte specifiche domande, giacchè, da un canto, la partecipazione di costui al giudizio, in primo grado, è necessitata dalla citazione notificatagli dall’attore, e, in secondo grado, trova giustificazione sotto il profilo del litisconsorzio processuale; d’altro canto, l’onere della rivalsa discende dal principio generale della soccombenza – pur mancando un diretto rapporto sostanziate e processuale tra attore e terzo -, stante la responsabilità dell’uno per avere dato luogo, con una pretesa infondata, al giudizio nel quale l’altro è rimasto coinvolto ed ha dovuto svolgere le proprie ragioni e difese (Cass. n. 3642/04).

2.1.3. – Non sembra, tuttavia, che tali precedenti si attaglino esattamente al caso di specie. Non solo e non tanto perchè, in generale, dall’opposizione prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, non può che derivare, per le altre parti che si limitino a non aderire alla domanda proposta contro il c.t.u., altro se non un effetto favorevole (lì dove, nelle fattispecie esaminate dalla giurisprudenza di questa Corte, la posizione del litisconsorte processuale è, semmai, tendenzialmente neutra), ma anche e soprattutto in considerazione del fatto che, in particolare, detto procedimento ha carattere incidentale rispetto ad un processo di divisione, nel quale non necessariamente si deve pervenire ad un regolamento delle spese, consentito solo nel caso di eccessive pretese o di inutili resistenze, cioè di ingiustificato comportamento di una parte (giurisprudenza costante: cfr., per tutte, Cass. n. 3083/06).

E allora, nei rapporti interra alle parti del processo di divisione, non è possibile ipotizzare nè legittimazione passiva, nè soccombenza in punto di spese sostenute nel limitato ed esclusivo ambito del procedimento incidentale di opposizione al decreto di liquidazione del compenso al c.t.u., ogni eventuale questione tra le stesse dovendosi dirimere con la semenza che, chiudendo il giudizio di cognizione ordinaria, opera una valutazione complessiva della condotta processuale di ciascun condividente e stabilisce, di riflesso, se e in qual misura runa parte debba rimborsare le spese all’altra.

3. – Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 151 e 170 e della L. n. 794 del 1942, art. 29, anche in coordinamento fra loro, nonchè il vizio di omessa motivazione, sostenendo che il Presidente del Tribunale, che pure ai fini della liquidazione degli onorari variabili spettanti al c.t.u. avrebbe dovuto tenere conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione resa dall’ausiliario, non ha considerato che la c.t.u. svolta era nulla, come l’opponente aveva eccepito, in quanto il c.t.u. aveva omesso di comunicare al consulente di patte attrice la data di prosecuzione delle indagini e di compiere accertamenti fondamentali, quali le ricerche delle trascrizioni e delle iscrizioni presso la Conservatoria dei RR.II. Inoltre, aveva commesso errori nell’adottare i parametri di valutazione dei beni, tanto che entrambe le parti, nel giudizio di merito, avevano chiesto la rinnovazione delle indagini e la sostituzione del c.t.u..

Tali notazioni, osserva il ricorrente, dovevano essere valutate dal giudice dell’opposizione, il quale le ha, invece, del tutto disattese.

3.1. – Il motivo è infondato, siccome in contrasto con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, richiamato dallo stesso giudice di merito.

Ed infatti, in sede di opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi al consulente tecnico sono ammissibili soltanto le censure che si riferiscano alla liquidazione del compenso mentre non possono proporsi questioni relative all’utilità e validità della consulenza tecnica, che attengono al merito della causa e vanno fatte valere nella relativa sede (v. Cass. nn. 6684/95, 1014/96 e 4425/98), Principio, questo, che l’abrogazione (pressochè integrale) della L. n. 319 del 1980, non ha posto in discussione, essendo rimasta sostanzialmente invariata la natura e la struttura del procedimento di opposizione alla liquidazione, già previsto dall’art. 11 della citata legge e disciplinato oggi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170.

3.2. – Per la stessa ragione, di nessun rilievo è la circostanza, affermata dal ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., che la consulenza tecnica svolta dai c.t.u. ing. C. sarebbe stata dichiarata nulla nel giudizio di merito.

4. – Con il quarto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione del D.M. 30 maggio 2002, artt. 2, 13 e 16, della L. n. 319 del 1980, art. 4, degli artt. 10, 12, 14 e 15 c.p.c. e del D.P.R. n. 15 del 2002, art. 51, anche in coordinamento fra loro, nonchè il vizio di omessa motivazione.

Sostiene il ricorrente che per la determinazione degli onorari a percentuale si ha riguardo, per la consulenza tecnica, al valore della controversia, e che se non è possibile applicare tale criterio gli onorari sono commisurati al tempo ritenuto necessario allo svolgimento dell’incarico e sono determinati in base alle vacazioni.

Poichè nella specie è applicabile l’art. 12 c.p.c., u.c., secondo cui il valore delle cause di divisione si determina da quello della massa attiva da dividere, e l’attore nel proporre la domanda non ha indicato alcun valore, la domanda deve ritenersi di valore indeterminabile, con conseguente applicazione del criterio di calcolo a vacazioni per liquidare il compenso al c.t.u..

In ogni caso, prosegue il ricorrente, si sarebbe dovuto applicare il criterio dell’art. 15 c.p.c., e non già quello del valore dei beni che lo stesso c.t.u. ha determinato.

Inoltre, è errata l’applicazione dei valori massimi, invece di quelli minimi o medi, non essendo ciò giustificabile, come invece ha ritenuto il giudice di prime cure, in base al fatto che il decreto di liquidazione ha applicato un’unica voce di compenso a fronte di un quesito duplice, che richiedeva di calcolare il valore non solo commerciale, ma anche locativo di ciascuna unità immobiliare. Le due attività, infatti, avrebbero dovuto essere valutate in maniera distinta, in base alle differenti tariffe applicabili per l’una e per l’altra.

4.1. – Il motivo è infondato.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire che nel sistema di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 ed ai sensi dell’art. 2 delle tabelle allegate al D.M. 30 maggio 2002, in materia di compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, al consulente tecnico in materia contabile spetta un onorario a percentuale calcolato per scaglioni, dovendosi ritenere che la possibilità – prevista dall’art. 1 delle medesime tabelle – di commisurare l’onorario con riguardo al valore del bene o al valore della controversia e, ove ciò non sia possibile, al tempo necessario per lo svolgimento dell’incarico, abbia carattere residuale, applicabile soltanto in assenza di una specifica previsione, come già avveniva nella vigenza della L. 8 luglio 1980, n. 319 (Cass. n. 17333/09).

L’art. 3 della tabella allegata al D.M. citato prevede per la valutazione di patrimoni – e quindi anche di un asse ereditario – il criterio della liquidazione dell’onorario a percentuale, di cui all’art. 2, ridotto della metà. Tale valore, a sua volta, deve essere calcolato, in base all’art. 1, con riferimento al valore dell’asse da dividere, secondo la previsione dell’art. 12 c.p.c., comma 2.

Ciò posto, si tratta di stabilire se nella specie il valore della controversia sia – come sostiene il ricorrente – indeterminabile, con conseguente applicazione del criterio delle vacazioni, ovvero soltanto indeterminato, situazione, quest’ultima, che si verifica allorchè il valore della causa, non dichiarato dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio, sia tuttavia determinabile sulla base dell’istruzione probatoria.

Quest’ultima soluzione deve ritenersi senz’antro esatta, poichè le utilità oggetto di causa sono costituite da beni patrimoniali, lì dove, per converso, sono di valore indeterminabile soltanto le cause aventi ad oggetto beni insuscettibili di valutazione economica (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. per tutte, Cass. n. 1118/85).

Nessun dubbio, pertanto, vi può essere sul fatto che ai fini in questione il giudice debba accertare il valore della causa, anche utilizzando gli accertamenti svolti dal medesimo c.t.u, la cui opera è chiamato a remunerare. (L’obiezione del ricorrente, il quale opina che in tal modo il c.t.u. potrebbe autodeterminare il parametro di calcolo del proprio compenso, non ha pregio, perchè il giudice ha in ogni caso il potere di sindacare la correttezza della stima e, se del caso, di ridurla).

4.2. – Quanto, poi, alla censura concernente l’applicazione dei valori massimi, e non di quelli minimi o medi, deve ulteriormente osservarsi che sebbene la motivazione sul punto svolta dal giudice di merito non sia convincente, poichè due essendo le valutazioni da compiere (valore commerciale e valore locativo degli immobili), due avrebbero dovuto essere le voci di tariffa applicabili, il ricorrente neppure allega che una tale doppia liquidazione sarebbe stata di importo complessivo inferiore a quello infine determinato con l’applicazione della tariffa massima ex art. 13 della tabella, sicchè il motivo pecca quanto all’interesse ad ottenere, in parte qua, un effetto demolitorio della pronuncia di merito. Ciò assorbe, inoltre, l’ulteriore questione circa l’applicabilità dell’art. 13 cit.; di cui, in realtà, il ricorrente non si duole se non sotto il profilo, infondato per quanto sopra detto, dell’applicabilità del criterio residuale delle vacazioni.

5. – Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 74, 87 e 19 disp. att. c.p.c., dell’art. 101 c.p.c., del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56 e dell’art. 2699 c.c., e segg., anche in coordinamento fra loro, nonchè il vizio di omessa motivazione.

Sostiene che il Tribunale ha errato nei prendere in considerazione documenti giustificativi di spesa prodotti dal c.t.u. non con la memoria difensiva, ma successivamente e al riparo dal contraddittorio, tanto che il ricorrente afferma di esserne venuto a conoscenza solo in seguito all’emissione del decreto emesso dal Presidente del Tribunale.

Contesta, altresì, l’affermazione del giudice di merito, il quale ha sostenuto essere stato abrogato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 229, la L. n. 319 del 1980, art. 7, che prescriveva ai periti e consulenti tecnici di presentare una nota specifica delle spese sostenute e di allegare la corrispondente documentazione. Infatti, il citato D.P.R. contiene all’art. 56 una disposizione che ricalca quella abrogata, stabilendo che gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico e allegare la corrispondente documentazione.

Lamenta, infine, che quelle che il giudice di prime cure ha definito “pezze d’appoggio” a sostegno delle spese, non sono probanti perchè prive di data certa e non attribuibili al processo in questione, e che il giudice ha altresì ritenuto come effettuate spese per fax (benchè rinunciate dallo stesso c.t.u.) e per trasferte non documentate; e che in ogni caso per effetto dell’abrogazione della L. n. 319 del 1980, art. 9, non sono rimborsabili le spese di viaggio non documentate.

5.1. – Il motivo è fondato nei termini seguenti, che assorbono ogni altra questione posta.

Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’abrogazione pressochè totale della L. n. 319 del 1980 (escluso il solo art. 4) non ha comportato il venire meno a carico degli ausiliari del magistrato dell’onere di allegare con nota specifica e di documentare le spese sostenute nell’esecuzione dell’incarico (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56, comma 1), mentre le spese di viaggio sono liquidate anche senza documentazione, ma in base alle tariffe di prima classe sui servizi di linea, esclusi quelli aerei (art. 55, comma 2 D.P.R. cit.).

5.1.1. – Nel caso di specie, il provvedimento impugnato, nel richiamare genericamente le “pezze d’appoggio” prodotte e il potere del giudice di riconoscere discrezionalmente gli esborsi rimborsabili, ha ritenuto che le spese di viaggio, benchè non documentate, fossero comunque ripetibili stante il loro importo congruo, e che del pari fosse dovuto il rimborso delle residue spese “di poco conto”, pure non basate su documentazione. In tal modo, il giudice di primo grado è incorso nella violazione dell’art. 56 D.P.R. cit., che non ha applicato in nessuna delle due previsioni richiamate.

6. – In conclusione, vanno accolti il secondo ed il quinto motivo, nei limiti anzi detti, e rigettati gli altri, per cui il provvedimento impugnato va cassato in relazione ai motivi accolti con rinvio al Tribunale di Pisa, che provvederà anche alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il quinto motivo, quest’ultimo per quanto di ragione, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Pisa che provvederà anche alle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011

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