Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30237 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. II, 20/11/2019, (ud. 13/11/2018, dep. 20/11/2019), n.30237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3445/2015 proposto da:

V.V., rappresentato e difeso da se medesimo,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE TRASTEVERE 269, presso lo

studio dell’avvocato GAETANO PATTA;

– ricorrente –

contro

M.M.G., e M.R., in proprio e quali eredi

M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3525/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/11/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Patta Gaetano con delega depositata in udienza

dall’avvocato V.V. difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata l’8/10/2014 la corte d’appello di Milano ha parzialmente accolto l’appello proposto da M.G., M.G. e R. (in corso di causa gli ultimi due anche assumendo la veste di eredi del primo, deceduto) nei confronti dell’avv. V.V. e, per l’effetto, in riforma della sentenza del tribunale di Monza – sezione distaccata di Desio – depositata il 21/06/2010, ha liquidato in Euro 800,00 le spettanze del professionista dallo stesso invocate con l’originario ricorso per decreto ingiuntivo in maggiore importo.

2. A sostegno della decisione – fondata sull’accertamento dell’avvenuto conferimento del solo incarico stragiudiziale di richiesta di risarcimento dei danni con lettera a ente ospedaliero, e ciò da parte della sola M.M.G. – la corte d’appello ha considerato non provato il conferimento del mandato a redigere citazione per l’avvio di procedimento giudiziale. In particolare:

– ha ritenuto meno attendibile la teste G.M.G., che ha deposto nel senso del conferimento dell’incarico, in quanto segretaria dell’avvocato, rispetto alla teste C.V., priva di interesse rispetto ai fatti di causa, che ha deposto nel senso del mancato conferimento dell’incarico di natura giudiziale;

– ha ritenuto poco ipotizzabili comunque una serie di circostanze addotte a favore del conferimento dell’incarico: – che la prima teste fosse stata assente durante il residuo arco temporale dei colloqui, essendo solo presente al conferimento dell’incarico giudiziale; – che la procura alle liti dovesse essere conferita per iscritto solo successivamente alla redazione dell’atto; – che fosse stato previsto che l’atto di citazione sarebbe stato poi fatto sottoscrivere dall’anziano M.G. a cura dei figli senza la presenza del difensore.

3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. V.V., articolando tre motivi illustrati da memoria. Non hanno espletato difese gli intimati M.M.G. e R., anche nella predetta qualità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce omesso esame circa fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Richiamandosi il tenore delle deposizioni delle testi G. e C. (pp. 12-15 del ricorso) si contestano le valutazioni delle risultanze istruttorie effettuate dalla corte d’appello (p. 14) e si censura non essere stato esaminato il fatto decisivo del sussistere di una volontà dei signori M. di far causa all’ospedale (p. 15).

2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1703 c.c., in tema di mandato. In particolare, si denuncia l’affermazione della corte d’appello di mancanza della prova del conferimento dell’incarico per l’attività giudiziale, richiamandosi come la relativa prova sia libera e non vincolata all’atto scritto.

3. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, per essere analoga la ragione della loro inammissibilità.

3.1. Al riguardo, va richiamato che:

– il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione;

– tale diverso vizio, che è declinato nel presente procedimento ratione temporis secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, successivo alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, è stato limitato dal legislatore al minimo costituzionale dell'”omesso esame” di fatti storici; il controllo sulla motivazione non consente dunque più mere critiche alla motivazione, in assenza di indicazione di effettivi “fatti storici” del tutto trascurati.

3.2. Ciò posto, nel caso di specie, quanto al secondo motivo fondato su presunto error in iudicando, nessuna erronea applicazione della legge – nel senso dianzi chiarito relativo alle fattispecie astratte – la parte ricorrente ha posto in luce nell’ambito del mezzo di ricorso. La corte d’appello, lungi dal violare alcuna norma in tema di forma del mandato, ha ritenuto soltanto, in via fattuale, conferito il mandato all’avvocato limitatamente a un’attività stragiudiziale, non esteso alla predisposizione di citazione.

3.3. Quanto poi al vizio di omesso esame, dedotto con il primo motivo, si censura non essere stato esaminato un fatto decisivo, indicato nella presunta volontà dei signori M. di far causa all’ospedale. Trattasi, invece, del fatto storico esaminato, ed escluso nella sua esistenza, dalla corte d’appello, che ha ritenuto “non… dimostrato l’avvenuto conferimento del mandato” (penultima pag. della sentenza impugnata), sulla base di complesse e complete valutazioni sopra riepilogate.

3.4. In altri termini, sotto la veste di censure per violazione di legge e omesso esame di fatto storico, la parte ricorrente ha sottoposto a questa corte – in luogo che errores in iudicando o pretermissioni motivazionali riferite a specifici fatti storici decisivi – istanze di riesame degli apprezzamenti di merito del materiale probatorio, non esigibili in sede di legittimità.

4. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1704 c.c. e al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, in tema di tariffe. Si lamenta l’erroneo computo delle spettanze, essendo gli assistiti tre (compreso il padre che avrebbe dovuto sottoscrivere la procura alle liti successivamente) ed essendo applicabili le tariffe vigenti al momento di cessazione dell’incarico. Nell’ambito del motivo si fa riferimento anche a talune norme processuali.

4.1. Il motivo è assorbito, nella parte in cui esso – redatto con modalità poco perspicue – deve intendersi riferito alla presunta attività ulteriore rispetto alla redazione di una mera richiesta stragiudiziale di risarcimento dei danni con lettera a ente ospedaliero, e ciò da parte della sola M.M.G.. Invero, poichè a seguito del rigetto dei precedenti motivi risulta confermato l’ambito ristretto dell’incarico, quale accertato dalla corte d’appello come conferito da una sola cliente e con l’obiettivo esclusivamente stragiudiziale di cui innanzi, sono superate le questioni relative al conferimento dell’incarico da più soggetti e alla mancata applicazione di voci di tariffa richieste.

4.2. Per il resto il motivo è inammissibile. Ammesso infatti che con il motivo, in parte, si fosse voluta contrastare l’applicazione effettuata dal giudice di merito del D.M., in tema di tariffe forensi, nella formulazione del motivo il ricorrente si sarebbe dovuto attenere al principio di diritto (per il quale v. Cass. n. 22983 del 29/10/2014) per cui è vero che il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio in iudicando, ma è anche vero che, per l’ammissibilità della censura, è necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla corte il controllo di legittimità, senza dover espletare un’ammissibile indagine sugli atti di causa. Tali dati sono del tutto carenti nel motivo.

5. In definitiva il ricorso va rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo gli intimati svolto difese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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