Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30236 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. II, 20/11/2019, (ud. 13/11/2018, dep. 20/11/2019), n.30236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1995-2015 proposto da:

M.G., rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO

DEFILIPPI;

– ricorrente –

contro

SANECO SPA, in persona del Presidente del consiglio di

amministrazione elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA AUGUTO

IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato GUIDO MARIA POTTINO,

rappresentata e difesa dagli avvocati LUCA NANNI, DOMENICO FATA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1285/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 21/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/11/2018 dal Consigliere RAFFAELE SABATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE FULVIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Tata Ferdinando con delega orale, difensore del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Pottino Guido Maria con delega orale, difensore del

resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 21/05/2014 la corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da M.G. nei confronti della Saneco s.p.a. (indicata in alcuni atti quale s.r.l.) e, per l’effetto, ha confermato la sentenza del tribunale di Parma depositata il 10/09/2010 che aveva liquidato in Euro 2951,48 le spettanze del professionista dallo stesso invocate con l’originario ricorso per decreto ingiuntivo in maggiore importo per prestazioni quali topografo.

2. A sostegno della decisione la corte d’appello ha considerato che rettamente il tribunale avesse ritenuto provata la prestazione solo quanto alla fattura n. 17 oggetto di riconoscimento da parte della Saneco s.p.a. e non anche quanto al “conguaglio” conteggiato a ore oggetto di contestazione da parte della cliente.

Ha altresì ricordato che la fattura costituisce prova della prestazione solo in presenza di riconoscimento e accettazione.

Ha poi condiviso essere i capitoli della prova per testi generici, non conformi al dettato dell’art. 244 c.p.c. e irrilevanti in quanto non concernenti gli specifici fatti relativi allo svolgimento delle 652 ore di lavoro e alla pattuizione per esse di un compenso orario.

Ha infine richiamato come per lo stesso periodo il professionista avesse richiesto e ottenuto altri compensi, senza che la duplicazione risultasse spiegata.

3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.G., articolando quattro motivi (lettera a, b, c ed e, con mancanza di un motivo sotto la lettera d), successivamente illustrati da memoria. La Saneco s.p.a. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il “difetto di motivazione” della sentenza della corte d’appello. Si denuncia il difetto assoluto o comunque l’apparenza della motivazione (p. 6 del ricorso, pur a fronte di pagine non numerate), per essersi il “giudice del merito… in via del tutto semplicistica e superficiale… limitato ad affermare che il sig. M. non ha provato lo svolgimento delle contestate 652 ore”.

2. Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “degli artt. 116,244 e 253 c.p.c.” nella parte in cui con la sentenza impugnata si sono ritenute generiche le prove testimoniali articolate, posto che da esse si sarebbe potuto giungere alla prova dello svolgimento delle contestate 652 ore di lavoro o avrebbero potuto trarsi argomenti di prova.

3. Con il terzo motivo si deducono in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 “violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 191 c.c.”, per avere la corte d’appello erroneamente non ammesso c.t.u. per “verificare la correttezza e/o la congruità degli importi” di cui all'”opinamento della parcella”. Il giudice non avrebbe motivato in ordine alla non ammissione del mezzo.

4. I tre motivi sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono inammissibili.

4.1. Al riguardo, va richiamato che:

– il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione;

– tale diverso vizio, che è declinato nel presente procedimento ratione temporis secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 successivo alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, è stato limitato dal legislatore al minimo costituzionale dell'”omesso esame” di fatti storici; il controllo sulla motivazione non consente dunque più mere critiche alla motivazione, in assenza di indicazione di effettivi “fatti storici” del tutto trascurati; l’avvenuta limitazione del controllo sulla motivazione non può essere ovviata, irritualmente, mediante la deduzione di vizi in ordine alla completezza della motivazione in riferimento alle norme del c.p.c. e relative disp. att., nè in ordine al riparto o alla valutazione in tema di prove in riferimento alle norme del predetto c.p.c. e del c.c.

4.2. Ciò posto, nel caso di specie, nessuna erronea applicazione della legge – nel senso dianzi chiarito relativo alle fattispecie astratte – la parte ricorrente ha posto in luce nell’ambito del mezzo di ricorso. In particolare, con il secondo motivo (“violazione e falsa applicazione” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “degli artt. 116,244 e 253 c.p.c.”), oltre a farsi irrituale riferimento al parametro di cui al n. 3 in riferimento a presunte violazioni di norme processuali (di norma riconducibili al n. 4), il ricorrente contesta la mancata ammissione delle prove testimoniali articolate, senza farsi peraltro carico delle obiezioni mosse dalla corte d’appello e sopra riepilogate, meramente contrapponendosi la convinzione soggettiva della parte circa la loro rilevanza. Trattasi, in sostanza, di deduzione di merito, come si dirà, senza che sia sollevato alcun problema interpretativo di norme. Analoghi rilievi possono svolgersi in ordine al terzo motivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 “violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 191 c.c.”), ove si contesta il non avere la corte d’appello ammesso c.t.u.

4.3. Quanto poi alle censure di omesso esame, nessun fatto storico il primo e il terzo mezzo indicano come negletto dal giudice d’appello, limitandosi i motivi a censurare inammissibilmente la valutazione della corte d’appello in ordine all’assolvimento della prova e alla non utilità di c.t.u.

4.4. Trattasi, in sostanza, di istanze di revisione di apprezzamenti di merito, non rivedibili in sede di legittimità, non sussistendo alcuna questione interpretativa, nè essendo predicabile in alcun modo un “omesso esame”, posto che appunto la corte ha esaminato i fatti storici sottostanti altresì le istanze istruttorie. La motivazione offerta dalla corte d’appello, poi, come si evince dal riepilogo di cui innanzi, non è affatto mancante o apparente.

4.5. Quanto sopra esime questa corte dallo svolgere ulteriori rilievi, concorrenti nel senso dell’inammissibilità dei motivi: al di là della cennata invocazione del vizio di cui al n. 3 per la deduzione di questioni processuali, le censure per vizio di motivazione (al di là della deduzione di mancanza o apparenza) appaiono prevalentemente formulate in riferimento al previgente testo dell’art. 360, comma 1, n. 5; nel primo motivo, poi, non si trascrive il brano della motivazione censurato, nel secondo motivo non si trascrivono i mezzi di prova dedotti e non ammessi, mentre nel terzo motivo non si trascrive l’istanza di ammissione di c.t.u., omissioni queste che comunque avrebbero posto questa corte di fronte all’impossibilità di svolgere la propria funzione per genericità dei motivi.

5. Con il quarto motivo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, “n. 5” il “difetto di motivazione” della sentenza, nonchè in relazione al “n. 3” la “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.” In sostanza si deduce essere stati retroattivamente utilizzati, senza motivazione, per la liquidazione delle spese processuali, i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 anche per l’attività svolta precedentemente rispetto all’entrata in vigore delle disposizioni in parola; comunque si lamenta essere assente la specifica indicazione delle singole voci liquidate.

5.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

5.2. Quanto all’inammissibilità, si richiama quanto già precedentemente esplicato, in tema di censura art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5, circa l’assoggettamento del presente procedimento ratione temporis alla predetta norma nel testo successivo alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, con cui il legislatore ha limitato la censura in ambito motivazionale al minimo costituzionale dell'”omesso esame” di fatti storici.

5.3. Da altro punto di vista, la censura è altresì inammissibile in quanto generica, posto che non riporta conteggi circa quanto sarebbe in tesi spettato a titolo di spese processuali nell’applicazione della diversa disciplina invocata.

5.4. La censura è per il resto infondata. Essa, riproponendo una visione ancorata alle previgenti discipline di liquidazione delle spese processuali (e alla correlata giurisprudenza), non tiene conto che invece i nuovi parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014 si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale delle stesse intervenga successivamente all’entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè questa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta ancora vigenti le tariffe abrogate. Ciò è stato chiarito a più riprese da questa corte di legittimità (cfr. Cass. n. 2748 del 11/02/2016, n. 21205 del 19/10/2016 e n. 30529 del 19/12/2017; e v. già Cass. S.U. n. 17405 del 12/10/2012), in base della nuova nozione di “compenso”, quale corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata (dato rispetto al quale è incongrua la doglianza della parte ricorrente che critica essere stata operata una liquidazione onnicomprensiva).

6. In definitiva il ricorso va rigettato, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 2.300 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA