Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30232 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 20/11/2019), n.30232

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29967-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 9, presso l’avvocatura

Centrale dell’istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ELISABETTA LANZETTA, SEBASTIANO CARUSO, FRANCESCA FERRAZZOLI,

CHERUBINA CIRIELLO, GIUSEPPINA GIANNICO;

– ricorrente –

contro

E.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLLE

ALBANI N. 170, presso lo studio dell’avvocato MARIANNA CONTALDO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO CAGGIULA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1405/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 13/06/2014 R.G.N. 1455/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SEBASTIANO CARUSO;

udito l’Avvocato MARIA LAVIENZI per delega Avvocato MARIANNA

CONTALDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Lecce ha respinto il gravame proposto dall’INPS avverso la sentenza di prime cure che aveva riconosciuto il diritto di E.E. alle differenze retributive per lo svolgimento, dal 2004, di mansioni superiori da riportare all’Area C posizione 1, in luogo del formale inquadramento in Area B posizione B1 e ciò sul presupposto che la ricorrente avesse curato in piena autonomia le varie fasi del settore attribuitole assumendo, nei confronti del superiore, la responsabilità dei risultati conseguiti e che le mansioni svolte, come accertate, costituissero cura in autonomia dell’intero processo come richiesto dall’Area superiore.

2. Per la cassazione della sentenza di appello l’INPS ha proposto ricorso prospettando due motivi di ricorso, resistiti con controricorso dalla lavoratrice.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’INPS censura la sentenza impugnata adducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del c.c.n.l. 2002/2005 e dell’art. 6 dell’Accordo Quadro in materia mansioni superiori del 22.10.2001, nonchè dell’art. 24 del c.c.n.l. 1998/2001 e dell’art. 36 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto in favore della ricorrente, nell’attribuzione delle differenze retributive proprie delle mansioni superiori rivendicate, anche dell’indennità di ente nella maggior misura propria dell’Area C, in luogo di quella spettante per l’Area B di formale inquadramento e ciò sul presupposto – su cui insiste l’ente – che tale voce non dovesse risentire del maggior trattamento economico consequenziale al predetto svolgimento delle mansioni superiori stesse.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 La controricorrente ha eccepito che la pronuncia di primo grado, confermata dalla sentenza della Corte d’Appello di Lecce qui impugnata, consisteva in una condanna generica al pagamento delle differenze retributive, senza alcuna determinazione del quantum debeatur e quindi della consistenza delle voci destinate a dover essere considerate.

E’ in proposito evidente che, a fronte di una domanda di condanna generica al riconoscimento di un certo diritto, la parte convenuta che intenda far accertare, per l’ipotesi di accoglimento della domanda avversaria, che il quantum debeatur vada in qualunque modo circoscritto, è tenuto non solo ad insistere il rigetto della domanda, ma altresì a sottoporre al giudice, anche in via di mera eccezione finalizzata alla delimitazione dell’eventuale accoglimento della pretesa altrui, i profili di accertamento relativi alla misura del dovuto che si ritenga opportuno comunque siano definiti nel medesimo giudizio.

Ove tale specifica eccezione sia mancata, non è evidentemente ammissibile che la corrispondente questione sia azionata come motivo di impugnazione della pronuncia di condanna generica poi assunta dal giudice adito.

1.3 D’altra parte, il motivo di ricorso per cassazione, onde risultare ammissibile deve essere munito di idonea specificità, intesa anche come esplicitazione della rilevanza concreta rispetto al caso da decidere, con carattere che, rispetto a quanto sopra detto, avrebbe imposto di far constare in esso l’avvenuta proposizione di quell’eccezione fin dal primo grado del giudizio e poi l’insistenza sul punto in appello, come viceversa non risulta dal corpo del ricorso.

2. Con il secondo motivo è prospettata la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 24 del CCNL 1998/2001, dell’art. 9 CCNL 2006/2009, nonchè del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e succ. mod. dal D.Lgs. n. 387 del 19998, art. 15 ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52; dell’art. 1362 c.c., con riferimento alla interpretazione delle declaratorie contrattuali delle aree, allegato A al CCNL 1998-2001.

In particolare l’INPS deduce la non retribuibilità dello svolgimento delle mansioni ulteriori rispetto a quelle immediatamente superiori, svolte in fatto, ancor più quando dette mansioni ulteriori rientrino in un’altra area nella vigenza dell’art. 24 del CCNL 1998-2001, con cui deve essere letto congiuntamente il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

Nella specie, infatti, alla lavoratrice appartenenti all’area B venivano riconosciute le differenze retributive in relazione allo svolgimento delle mansioni ulteriori C1.

L’INPS in proposito richiama anche la previsione di cui all’art. 9 CCNL 2006/2009, ove appunto, rispetto all’inquadramento per aree, si afferma che costituisce esercizio di mansioni superiori soltanto lo svolgimento delle attività proprie di una diversa area, per desumerne che, nel vigore della precedente contrattazione, in cui l’art. 24 del CCNL prevedeva che mansioni superiori fossero quelle di profili superiori della medesima area, non fosse possibile il riconoscimento dell’esercizio di fatto e delle conseguenti differenze retributive, se ciò comportasse l’attribuzione delle remunerazioni proprie di una diversa area.

2.1 Tuttavia, con giurisprudenza consolidata (Cass., n. 12193 del 2011, n. 18808 del 2013, 24266 del 2016, 2102 del 2019), dalla quale non vi è ragione di discostarsi, non fornendo il ricorrente elementi per mutare orientamento, questa Corte ha affermato che in materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore – e tale diritto non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.

Pertanto, deve essere disattesa la deduzione del ricorrente che sollecita una interpretazione della disciplina delle mansioni superiori di fatto (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5) che limiti il riconoscimento delle differenze retributive al solo svolgimento delle mansioni immediatamente superiori, facendo riferimento alla relativa nozione introdotta dall’art. 24 del CCNL enti pubblici non economici del 1999.

2.2 Non condivisibile è poi il richiamo argomentativo alle previsioni del CCNL 2006/2009, nel quale effettivamente si afferma che costituiscono mansioni superiori solo quelle afferenti ad una superiore Area di inquadramento.

Tale previsione si inserisce infatti in un sistema novellato, in cui la novità della previsione di intescambiabilità ed equivalenza di tutte le mansioni all’interno di una medesima area ha avuto naturalmente l’effetto di condurre a stabilire che solo le mansioni di area superiore costituissero mansioni superiori.

Il che ovviamente non esclude che, nel previgente regime, mansioni superiori potessero essere quelle interne alla medesima area, come anche quelle poste in aree diverse.

3. Il ricorso va dunque integralmente rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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