Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30228 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. I, 30/12/2011, (ud. 01/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.C., titolare della ditta “Eurografica”, elettivamente

domiciliata in Messina, al Viale S. Martino is. 79 n. 261, presso

l’avv. Martelli Corrado, che la rappresenta e difende, per procura a

margine del ricorso e che chiede di ricevere le comunicazioni presso

il fax (OMISSIS), ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 11

febbraio 2005, n. 68, art. 2;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MESSINA, in persona del sindaco p.t., in appello già

elettivamente domiciliato in Messina alla Via Jaci n. 23, presso il

difensore domiciliatario in quel grado avv. SACCA Giancarlo;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 38/04, del 10

– 21 marzo 2008;

Udita all’udienza del 1 dicembre 2011 la relazione del cons. dr.

Forte Fabrizio e sentito il P.G. dr. ZENO Immacolata, che conclude

per la inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21 marzo 2008, la Corte d’appello di Messina ha rigettato il gravame di B.C. nei confronti del locale Comune contro la decisione del Tribunale della stessa città del 3 dicembre 2002, che aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’ente locale per il pagamento di L. 107.3 95.500 in corrispettivo della fornitura ad esso in più riprese tra il 1991 e il 1992, di materiale di cancelleria dalla controparte.

La B. costituitasi a seguito dell’opposizione aveva eccepito la inammissibilità di questa per difetto di procura da considerare tamquam non esset in quanto sottoscritta con firma illeggibile del sindaco e in mancanza della autorizzazione ad agire e a stare in giudizio della giunta, e il Tribunale, rigettate tali eccezioni, ha negato l’esistenza del credito azionato, ritenendo il difetto di legittimazione dell’ente locale, dovendo rispondere delle obbligazioni assunte il funzionario che aveva ordinato il materiale, ai sensi della L. n. 144 del 1989, art. 23, comma 3, mancando la delibera di autorizzazione all’acquisto e l’impegno contabile registrato.

Negato che fosse applicabile, stante la indicata azione avente titolo nell’obbligo del funzionario, la domanda residuale dell’art. 2041 c.c., e confermata in appello tale statuizione, anche alla luce del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 191 – 194 si riaffermava in appello l’erroneità del decreto ingiuntivo e la revoca di esso, con condanna dell’appellante alle spese di causa.

Per la cassazione della indicata sentenza la B. propone ricorso notificato il 1 aprile 2009 e articolato in tre motivi, cui non replica con proprie difese in questa sede il Comune di Messina.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 182 c.p.c., comma 2, artt. 641, 642 c.p.c., degli artt. 2964 e 2966 c.c. e alla L.R. siciliana 11 dicembre 1991, n. 48, art. 1 come modificato dalla L.R. 1 settembre 1993, n. 26, e della L. 8 giugno 1990, n. 142, artt. 35 e 36. Erroneamente la Corte di merito non ha rilevato che la esibizione della autorizzazione di giunta a stare in giudizio rilasciata al sindaco era intervenuta solo dopo la scadenza del termine di opposizione al decreto ingiuntivo. Il quesito conclusivo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., chiede a questa Corte di rilevare, in difformità dai principi applicati dai giudici del merito, che la sopravvenienza dell’autorizzazione della giunta al sindaco a stare in giudizio, successiva al termine di decadenza dell’opposizione a decreto ingiuntivo, non può retroagire nel processo oltre il limite di decadenza, rendendo inammissibile l’opposizione.

1.2. Nel secondo motivo di ricorso, si lamentano violazioni dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 83, 125, 163, 164, 182 c.p.c., e delle leggi regionali della Sicilia oltre che di quella statale sopra richiamata, relativa ai poteri dei sindaci di agire e stare in giudizio. Afferma la ricorrente che la firma di chi aveva sottoscritto la procura per l’opposizione non era leggibile e quindi che l’atto conferitivo dei poteri era da qualificare nullo, non potendosi ricavare le generalità del firmatario dalla delibera giuntale di autorizzazione ad agire n. 1123 del 13 aprile 1994, successiva al mandato al difensore. Richiamata la giurisprudenza che giustifica la firma illeggibile solo allorchè il nome del sindaco firmatario emerga dalla autorizzazione ad agire della giunta, per essere questa intervenuta successivamente all’atto di opposizione del 17 marzo 1994, la ricorrente ha negato potesse ritenersi la nullità della procura sanata dall’indicato provvedimento amministrativo, concludendo il motivo di ricorso con idoneo quesito, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

1.3. Il terzo motivo di ricorso censura la sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, comma 4, convertito con modificazioni, nella L. 24 aprile 1989, n. 144, e al D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, artt. 35 e 37 al D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342, art. 5 e al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, artt. 191, 193 e 194, comma 1, lett. e, oltre che agli artt. 2041 e 2042 c.c..

Pur avendo la ricorrente prodotto la delibera del consiglio comunale di Messina, che aveva riconosciuto come debito fuori bilancio, quello oggetto della presente azione, la Corte d’appello non ha rilevato l’esistenza di tale documento, omettendo ogni motivazione su tale punto decisivo della controversia e negando l’arricchimento o l’utilità di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, dopo avere dubitato della stessa applicabilità ratione temporis di tale normativa. Sia la giurisprudenza della Cassazione che la sentenza della Corte costituzionale n. 266 del 2000 hanno invece chiarito la retroattività del D.Lgs. n. 77 del 1995, con conseguente errore della Corte d’appello su tale punto decisivo. Il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis chiede di affermare che il riconoscimento come debito fuori bilancio del credito oggetto di causa, comportava l’obbligo di pagamento per il comune, in quanto accertava anche l’utilità e l’arricchimento derivato dalla prestazione, dichiarando retroattive le norme citate del D.Lgs. n. 267 del 2000.

2. I tre motivi di ricorso sono infondati e da rigettare.

2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, dovendosi applicare il seguente principio di diritto che rende ammissibile l’opposizione al decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto dalla B. ai danni dell’ente locale: “L’autorizzazione necessaria perchè un ente pubblico possa agire o resistere in giudizio, emessa dall’organo collegiale competente e della quale l’organo rappresentante l’ente pubblico deve essere munito, attiene alla legitimatio ad processum, ossia all’efficacia e non alla validità della costituzione stessa, sicchè essa può intervenire ed essere prodotta in giudizio anche dopo che sia scaduto il termine per l’opposizione a decreto ingiuntivo, con efficacia convalidante dell’attività processuale svolta in precedenza, sempre che il giudice di merito non abbia già rilevato il difetto di legittimazione processuale, ossia la irregolarità della costituzione del rappresentante dell’ente pubblico, traendone come conseguenza l’invalidità degli atti compiuti” (cfr. Cass. ord. 24 aprile 2008 n. 10609 e sentenza 15 febbraio 2007 n. 3454).

Nello stesso senso è, per i comuni della Regione siciliana, dopo avere sottolineato la differenza della normativa regionale rispetto a quella nazionale, Cass. 23 febbraio 2 007 n. 4212, con la conseguenza che la natura di condizione e non di presupposto dell’azione dell’autorizzazione della giunta al sindaco a stare in giudizio, comporta il rigetto del primo motivo di ricorso, perchè infondato.

2.2- Il secondo motivo di ricorso è invece inammissibile in quanto presuppone che la firma del sindaco sotto la procura al difensore sia stata illeggibile, circostanza espressamente esclusa dalla Corte d’appello che, a pag. 6 della sentenza afferma: “la procura è stata rilasciata, con sottoscrizione perfettamente leggibile e regolarmente autenticata, da L.S.; pur ammesso che si ignori il fatto, notorio, che all’epoca dei fatti il L. era Sindaco di (OMISSIS), è consequenziale la deduzione che il (pur ignoto) sottoscrittore rivestisse tale qualità. Peraltro la controparte non ha contestato l’autenticità della sottoscrizione suddetta o che il Leopardi rivestisse la carica di sindaco, ma si è limitata ad eccepire l’illeggibilità della sottoscrizione e l’omessa menzione delle funzioni del sottoscrittore. Come si vede, si tratta di eccezioni meramente formali e strumentali, infondate per le considerazioni svolte”. In sostanza, il motivo di ricorso chiede di sostituire alle valutazioni che precedono della Corte di merito, quelle del ricorrente, senza in alcun modo giustificare tale pretesa che è quindi inammissibile (Cass. 2 aprile 2009 n. 8023).

2.3. Il terzo motivo di ricorso è in parte inammissibile e nel resto infondato.

Preclusa perchè censura una inesistente negazione della retroattività del D.Lgs. n. 267 del 2000 da parte della Corte d’appello, il rigetto dell’azione di reintegrazione della ricorrente nelle perdite dalla stessa subite ai sensi della normativa contenuta in tale decreto.

La Corte ha solo rilevato che nessuna prova vi era della utilità e dell’arricchimento ricevuto dall’ente locale con la fornitura dei materiali di cancelleria oggetto di causa, rilevando come, anteriormente al nuovo T.U. sugli enti locali, la normativa di cui al D.L. n. 66 del 1989, convertito nella L. n. 144 del 1989, come successivamente modificata nel tempo (su tali modifiche cfr., di recente, Cass. 3 settembre 2010 n. 19037), dando azione causale al fornitore contro il funzionario che aveva emesso l’illegittimo ordinativo, precludesse comunque l’azione di indebito arricchimento ai sensi degli artt. 2041 c.c., data l’esistenza dell’azione causale nei confronti dell’obbligato.

3. Il ricorso deve quindi rigettarsi e la mancata difesa in questa sede della parte intimata comporta che nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 1 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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