Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30228 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 22/11/2018, (ud. 29/10/2018, dep. 22/11/2018), n.30228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5950/12 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

AZIENDA AGRICOLA DUCA SOCIETA’ SEMPLICE;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 10/23/11 depositata in data 28 gennaio 2011;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.10.2018

dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Fatto

RILEVATO

che:

La Azienda Agricola Duca società semplice impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rideterminato il reddito dichiarato dalla società per l’anno d’imposta 1996, deducendo che le trasformazioni societarie da essa operate (da s.r.l. in s.a.s. e poi in società semplice) non avevano un intento speculativo e, pertanto, non avevano realizzato plusvalenze.

La Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 395 del 30/5/2002, accoglieva il ricorso.

Avverso la decisione proponeva appello principale l’Ufficio ed appello incidentale la contribuente, la quale chiedeva il rigetto della impugnazione dell’Amministrazione.

La Commissione regionale, facendo proprie le argomentazioni esposte dai giudici di primo grado, rigettava l’appello principale, osservando che la trasformazione della società in accomandita semplice in società semplice non aveva generato plusvalenza tassabile, dato che l’Azienda agricola Duca aveva sempre svolto attività agricola e le trasformazioni attuate avevano avuto come unico scopo quello di rendere meno onerosa la gestione dei rapporti sociali, “in considerazione dell’intensità dell’attività agricola (allevamento del bestiame, colture intensive, ecc.)” che si era andata sempre più snellendo sino a rimanere quella di sola coltivazione del terreno di proprietà; rilevava, inoltre, che non si era proceduto alla assegnazione dei beni conferiti all’atto della costituzione della società risalente al 1981.

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza, con due motivi.

La contribuente non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso, la difesa erariale, denunciando violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censura la sentenza nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno affermato che la trasformazione di società in accomandita semplice in società semplice non determini plusvalenza tassabile.

Sottolinea, al riguardo, che, sebbene la trasformazione da un tipo di società all’altro, in genere, viene considerata operazione fiscalmente neutra, ossia che non genera plusvalenze, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 170, la trasformazione da società in accomandita semplice a società semplice implica il passaggio da un soggetto titolare di reddito d’impresa ad un soggetto che non possiede redditi d’impresa, bensì redditi di natura fiscalmente fondiaria, con la conseguenza che per effetto della trasformazione, si realizza una plusvalenza secondo le regole contenute nel T.U.I.R., art. 54, comma 1, lett. d), vigente ratione temporis, e la loro attrazione a tassazione.

2. La censura è fondata.

2.1. Sul piano civilistico, la “trasformazione” della società, regolata dagli artt. 2498 e 2500 c.c., si sostanzia in un mutamento della natura giuridica della società e comporta la modificazione dell’atto costitutivo della società trasformata, ma non la nascita di un nuovo soggetto che si sostituisce a quello precedente.

A differenza della disciplina anteriore al provvedimento di riforma che disciplinava unicamente l’istituto della cd. trasformazione progressiva l’attuale normativa civilistica prevede la trasformazione progressiva, da società di persone in società di capitali (artt. 2500-ter e 2500-quinquies c.c.), la trasformazione involutiva (regressiva) (art. 2500-sexies c.c.), da società di capitali in società di persone, e le trasformazioni eterogenee, da società di capitali in enti associativi non societari (art. 2500-septies c.c.) e da enti associativi non societari in società di capitali (art. 2500-octies c.c.).

2.2. Sul piano fiscale, il T.U.I.R., art. 122 (ora T.U.I.R., art. 170), nel testo all’epoca in vigore, statuisce espressamente che “la trasformazione della società non costituisce realizzo, nè distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze ed il valore di avviamento”.

Ciò significa che la trasformazione è un’operazione fiscalmente neutra che presuppone il rispetto della continuità dei valori contabili e che non comporta, di conseguenza, l’emergere di componenti positivi o negativi del reddito d’impresa.

3. Si impone, tuttavia, di verificare se il richiamato T.U.I.R., art. 122 (ora T.U.I.R., art. 170) possa trovare applicazione all’ipotesi – come quella in esame – di trasformazione di una società commerciale in società semplice.

La risposta non può che essere negativa sulla base delle seguenti considerazioni.

3.1. La trasformazione di una società commerciale in società semplice (cd. “de-commercializzazione” di un ente societario), ai fini delle imposte dirette e dell’I.V.A., è equiparabile ad un trasferimento a titolo oneroso, in quanto la trasformazione comporta l’assunzione di una forma giuridica diversa, non compatibile con l’esercizio di un’impresa commerciale e, quindi, con il conseguimento di redditi d’impresa, nel senso che il patrimonio sociale viene trasferito da un soggetto che per legge può conseguire solo redditi d’impresa ad un soggetto che, invece, sempre per legge, non può essere titolare di tali redditi.

3.2. Va, infatti, considerato che il reddito prodotto da una società commerciale si considera reddito d’impresa, a prescindere dal fatto che sia o meno esercitata un’attività commerciale e, pertanto, tutti i beni appartenenti alla società commerciale si considerano “beni relativi all’impresa”.

3.3. La società semplice, invece, ai sensi dell’art. 2249 c.c., non può esercitare attività commerciale e, quindi, non può neppure essere titolare di reddito d’impresa, con la conseguenza che i beni di una società semplice non possono essere considerati come “beni relativi all’impresa”.

3.4. Ciò comporta che, laddove vi sia trasformazione di una società commerciale in una società semplice, si determina la perdita della qualità di imprenditore e la fuoriuscita dei beni sociali dal regime proprio dei beni afferenti la “sfera d’impresa”, risultando essi destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, sicchè, dopo la trasformazione, essi possono essere ceduti dalla società semplice distribuendo il risultato tra i soci in franchigia d’imposta.

3.5. L’operazione, che può essere inquadrata nella fattispecie disciplinata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, comma 1, lett. d), vigente ratione temporis (ora T.U.I.R., artt. 85, comma 2 e 86, comma 1, lett. c), genera una plusvalenza tassabile, atteso che la trasformazione societaria realizza la destinazione dei beni “plusvalenti” a finalità estranee all’impresa, e la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale dei beni al momento della trasformazione ed il costo non ammortizzato dei medesimi beni.

4. Non rileva, dunque, come erroneamente ritenuto dalla Commissione regionale, la continuità dell’impresa agricola già esercitata dalla società in accomandita semplice, poichè, come già evidenziato, i beni della società in accomandita semplice, ricadenti nel regime del reddito d’impresa, mutano regime reddituale e sono soggetti al regime cd. catastale, stante la estraneità della loro destinazione all’esercizio di impresa commerciale.

5. Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto: “La trasformazione della società commerciale in società semplice, determinando un mutamento del regime reddituale dei beni sociali e la loro destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, comporta plusvalenza tassabile, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, comma 1, lett. d), vigente ratione temporis (ora T.U.I.R., artt. 85, comma 2 e 86, comma 1, lett. c)”.

6. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia “ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi con riferimento al motivo di appello con cui l’Ufficio aveva denunciato che la Commissione provinciale aveva pronunciato oltre i limiti della domanda.

Ritrascrivendo il ricorso presentato in primo grado, la sentenza di primo grado ed i motivi di gravame, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, l’Agenzia delle Entrate spiega che la C.T.P., nonostante la contribuente con il ricorso originario si fosse limitata a contestare l’accertamento solo in punto di plusvalenze, senza svolgere alcuna doglianza con riguardo alla ripresa a tassazione dei “ricavi-fitti attivi”, pari a lire 51.600.000, da cui pure traeva origine l’avviso di accertamento, ha accolto il ricorso; nella incertezza che la C.T.P., accogliendo il ricorso della contribuente, avesse annullato l’avviso di accertamento anche in relazione ai rilievi riguardanti i ricavi fitti attivi, in sede di appello aveva formulato specifico motivo di impugnazione, sul quale la C.T.R. non si era pronunciata.

6.1. Il motivo è fondato.

6.2. Come emerge dalla sentenza di primo grado, la società contribuente ha impugnato l’atto impositivo solo con riferimento alle plusvalenze e, pertanto, i giudici di primo grado, in assenza di specifiche censure in ordine al recupero a tassazione dei fitti attivi, avrebbero dovuto specificare, sia in motivazione che nel dispositivo, che l’accoglimento del ricorso comportava l’annullamento dell’avviso di accertamento solo in relazione ad alcune riprese e non con riguardo a tutti i rilievi; con la sentenza pronunciata la Commissione provinciale, accogliendo il ricorso della contribuente, ha, invece, annullato l’intero atto impositivo, in violazione dell’art. 112 c.p.c..

A fronte dello specifico motivo di appello formulato dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, i giudici di secondo grado si sono limitati ad esaminare il rilievo concernente le plusvalenze, omettendo di pronunciarsi sull’altro motivo di gravame, incorrendo in tal modo nel vizio denunciato (Cass. n. 22759 del 27/10/2014).

7. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza va impugnata, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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