Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30228 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 20/11/2019), n.30228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2064-2014 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA n.

121, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO PANUCCIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE (ASP) DI REGGIO CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1789/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 16/01/2013 R.G.N. 567/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto dei primi nove

motivi del ricorso e per l’accoglimento dell’ultimo motivo del

ricorso;

udito l’Avvocato VITTORIO MARTELLINI per delega verbale Avvocato

ALBERTO PANUCCIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha respinto l’appello proposto da C.F. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere l’accertamento del diritto al rinnovo dell’incarico quinquennale di dirigente medico di struttura complessa, conferitogli dall’Azienda Sanitaria Provinciale con contratto del 5 dicembre 2000, e la conseguente condanna dell’Azienda alla ricostituzione del rapporto di lavoro nella medesima posizione in precedenza ricoperta o, in via subordinata, in qualità di dirigente di struttura semplice nonchè al risarcimento dei danni quantificati in misura pari alle retribuzioni ed alle indennità accessorie non percepite dalla data della dichiarata scadenza del contratto sino a quella dell’effettiva riammissione in servizio.

2. La Corte territoriale ha premesso che le parti avevano sottoscritto contratto di lavoro a tempo determinato di natura privatistica, della durata di anni cinque e rinnovabile alla scadenza, ed ha aggiunto che all’epoca il dirigente medico era dipendente a tempo indeterminata di altra Azienda, ossia dell’Azienda Ospedaliera “Bianchi Melacrino Morelli”.

Muovendo da detta premessa, incontestata nel giudizio, ha escluso la fondatezza delle domande rilevando, innanzitutto, che il ricorrente aveva fatto leva su clausole contrattuali delle quali doveva essere dichiarata la nullità, perchè in contrasto con la disciplina del rapporto a tempo determinato dei dirigenti medici dettata dal D.Lgs. n. 502 del 1992 e dal CCNL 5.12.1996, come integrato dal CCNL 5.8.1997.

In particolare ha rilevato che il contratto a termine si risolve automaticamente alla scadenza ed il suo rinnovo costituisce una mera facoltà, sicchè non poteva essere imposto all’azienda un onere di motivazione nè tantomeno poteva essere prevista la destinazione del dirigente ad altra funzione perchè, in tal modo, si finiva per trasformare il rapporto in un contratto a tempo indeterminato, in assenza delle procedure e dei presupposti richiesti dalla legge.

Ha aggiunto che in relazione alla dirigenza medica occorre tenere distinto il contratto di lavoro, che può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato, dal conferimento dell’incarico, necessariamente temporaneo, e pertanto il dirigente assunto a tempo determinato non può invocare la disciplina di legge e di contratto prevista per gli incarichi da attribuire a dirigenti medici legati al Servizio Sanitario Nazionale da rapporto a tempo indeterminato.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.F. sulla base di dieci motivi, ai quali l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria non ha opposto difese, rimanendo intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15 ter come modificato dal D.Lgs. n. 229 del 1999, e dell’art. 1418 c.c.” e sostiene, in sintesi, che la disciplina dettata dal richiamato art. 15 ter è applicabile a tutti gli incarichi di direzione di struttura complessa, a prescindere dalla natura a tempo determinato o indeterminato del rapporto di lavoro, perchè la norma, nel prevedere la possibilità del rinnovo dell’incarico stesso nonchè la destinazione ad altra funzione del dirigente non confermato, ha la finalità di assicurare al sanitario una sistemazione lavorativa alternativa adeguata e si giustifica in considerazione dell’obbligo di esclusività imposto al dirigente medico, al quale è precluso l’esercizio di qualsivoglia attività professionale.

2. La seconda censura addebita alla sentenza impugnata la “violazione o falsa applicazione delle norme dei contratti collettivi ed accordi nazionali di lavoro c.c.n.l. 8 giugno 2000 dell’area Dirigenza medica e veterinaria 1998-2001, art. 13, comma 4, lett. b ed art. 29, comma 3, corrispondenti all’art. 16 c.c.n.l. 5/12/1996 area Dirigenza medica e veterinaria ed accordo integrativo 5.8.1997”. Ha errato, infatti, la Corte territoriale nel ritenere affette da nullità le pattuizioni contrattuali individuali posto che, al contrario, la disciplina dettata dalle parti collettive si riferisce unicamente alla sostituzione del dirigente assente e non anche al conferimento dell’incarico di direzione di una struttura complessa, in relazione al quale il legislatore ha previsto espressamente la rinnovabilità, subordinata alla sola valutazione positiva dell’attività prestata.

3. La terza critica, ricondotta all’art. 360 c.p.c., n. 4, denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 112 e 416 c.p.c. nonchè dei principi costituzionali del diritto di difesa e del contraddittorio. Il ricorrente premette che la ASP di Reggio Calabria, rimasta contumace nel giudizio d’appello, in primo grado non aveva proposto domanda riconvenzionale nè eccezione di nullità delle clausole contrattuali sicchè non poteva il Tribunale disapplicare il regolamento negoziale, nella parte in cui prevedeva la rinnovabilità dell’incarico o la destinazione ad altra funzione. La Corte territoriale, inoltre, avrebbe dovuto provocare il contraddittorio sulla questione rilevata d’ufficio per non incorrere nella violazione, oltre che dell’art. 112 c.p.c., del diritto di difesa della parte, la quale, nella specie, avrebbe potuto far valere le ragioni, illustrate nei primi due motivi, di insussistenza della ritenuta nullità.

4. Con il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, C.F. si duole, oltre che della violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 ter della disciplina dettata dal CCNL 1998-2001, degli artt. 1173, 1218 e 1223 c.c., dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Richiama il regolamento contrattuale e ribadisce che lo stesso poneva a carico dell’azienda un obbligo di motivazione del provvedimento, di rinnovo o di mancato rinnovo, da adottare una volta scaduto il termine originario. La Corte territoriale non poteva ritenere le clausole contrattuali tamquam non esset e pertanto avrebbe dovuto valorizzare il comportamento tenuto dall’Azienda la quale dalla scadenza del primo quinquennio (26 dicembre 2005) e fino all’adozione della Delib. Commissario Straordinario 5 dicembre 2007, aveva adottato atti, non esaminati dal giudice di merito, che presupponevano necessariamente il rinnovo dell’incarico.

5. La violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, comma 3, della disciplina contrattuale (artt. 31, 32, 33 e 34 CCNL Dirigenza medica 1998-2001), degli artt. 1117,1223 e 1453 c.c. è denunciata con il quinto motivo con il quale si assume che la ASP alla scadenza del quinquennio avrebbe dovuto attivare il procedimento di valutazione, affidato dalle parti collettive alla Commissione di verifica, mai costituita dall’Azienda, e destinare ad altro incarico il dirigente medico solo in caso di valutazione negativa. Essendo incontestato il mancato rispetto della procedura, che avrebbe consentito di accertare l’esistenza dei presupposti per la rinnovazione del contratto, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere provato l’inadempimento e, quindi, la responsabilità contrattuale della resistente.

6. La sesta censura torna a denunciare, sotto altro profilo, la violazione dell’art. 112 c.p.c., oltre che degli artt. 421 e 345 codice di rito. Il ricorrente evidenzia che nel corso del giudizio di appello erano stati allegati alle note illustrative del 28 settembre 2011 atti deliberativi adottati dall’Azienda in corso di causa riguardanti la rinnovazione di incarichi di dirigenza di strutture complesse, aventi la medesima natura di quello conferito all’appellante. La Corte avrebbe dovuto provvedere sulla richiesta di ammissione della prova documentale.

7. Sugli stessi atti deliberativi si fonda il settimo motivo, con il quale C.F., denunciando la violazione degli artt. 1175,1223 e 1423 c.c. nonchè il vizio motivazionale, si duole del mancato esame di documenti dai quali emergeva che l’ASP, dopo la costituzione del Collegio Tecnico, avvenuta con Delib. 20 febbraio 2009, n. 124 aveva provveduto a rinnovare formalmente incarichi di direzione di struttura complessa in favore di dirigenti che, come il ricorrente, alla scadenza del quinquennio avevano continuato a svolgere senza soluzione di continuità l’attività lavorativa. Assume che la produzione documentale aveva valore decisivo per il giudizio in quanto idonea a dimostrare la rinnovabilità dell’incarico, l’inadempimento dell’Azienda nonchè la violazione dei principi di correttezza, di buona fede e di imparzialità ai quali si deve attenere la Pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost..

8. L’ottava censura, formulata sempre ex art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione degli artt. 1223,1423 e 1226 c.c. perchè dall’inadempimento dell’azienda non poteva che discendere il diritto del ricorrente al risarcimento dei danni patrimoniali, pari alle retribuzioni ed alle indennità non percepite, e non patrimoniali da liquidare secondo equità.

9. Con il nono motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 1175 c.c. nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, insiste nel sostenere che l’ASP aveva assunto obblighi contrattuali, non rispettati, facendo sorgere una legittima aspettativa in capo al dirigente medico sicchè, una volta esclusa, per le ragioni illustrate nei punti che precedono, la nullità delle clausole doveva necessariamente essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno.

10. Infine con la decima censura si addebita alla Corte territoriale di avere violato l’art. 96 c.p.c. perchè, esclusa un’ipotesi di responsabilità aggravata, non poteva essere emessa pronuncia di condanna alle spese in favore della parte rimasta contumace.

11. In ragione della loro connessione logico-giuridica devono essere trattati congiuntamente il primo, il secondo, il quarto, il quinto, il settimo, l’ottavo ed il nono motivo di ricorso che si incentrano tutti sull’asserita applicabilità ai dirigenti medici assunti con contratto a tempo determinato della medesima disciplina dettata dal legislatore e dalle parti collettive per il conferimento ed il rinnovo degli incarichi assegnati ai dirigenti a tempo indeterminato.

I motivi sono infondati.

11.1. Il contratto individuale del quale qui si discute, sottoscritto dalle parti il 5 dicembre 2000, è stato stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 septies che, nel testo applicabile ratione temporis e per quel che rileva in questa sede, prevedeva che “i direttori generali possono conferire incarichi per l’espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico mediante la stipula di contratti a tempo determinato e con rapporto di lavoro esclusivo, entro il limite del due per cento della dotazione organica della dirigenza, a laureati di particolare e comprovata qualificazione professionale che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali apicali o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro e che non godano del trattamento di quiescenza. I contratti hanno durata non inferiore a due anni e non superiore a cinque anni, con facoltà di rinnovo…. 3. Il trattamento economico è determinato sulla base dei criteri stabiliti nei contratti collettivi della dirigenza del Servizio Sanitario Nazionale. 4. Per il periodo di durata del contratto di cui al comma 1 i dipendenti di pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni con riconoscimento dell’anzianità di servizio.”.

11.2. IL CCNL 8.6.2000 per la dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale all’art. 13, nel fissare i requisiti del contratto individuale, richiama ai commi 1 e 2 le diverse modalità di assunzione, a tempo indeterminato o a tempo determinato, dei dirigenti medici (L’assunzione dei dirigenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha come presupposto l’espletamento delle procedure concorsuali e selettive previste dai D.P.R. n. 483 del 1997 e D.P.R. n. 484 del 1997. L’assunzione dei dirigenti con rapporto di lavoro a tempo determinato ha come presupposto l’espletamento delle procedure selettive richiamate dall’art. 16 del CCNL del 5 dicembre 1996 come integrato dal CCNL del 5 agosto 1997 nonchè quelle individuate dal D.Lgs. n. 502 del 1992, dall’art. 15 septies) ed al comma 3 stabilisce che nel contratto devono essere indicati, tra l’altro, “data di inizio del rapporto di lavoro e data finale nei contratti a tempo determinato” (lett. b) nonchè “incarico conferito e relativa tipologia tra quelle indicate nell’art. 27, obiettivi generali da conseguire, durata dell’incarico stesso che è sempre a termine…” (lett.d).

11.3. L’art. 62 dello stesso CCNL, inoltre, modifica parzialmente l’art. 16 del CCNL 5 agosto 1997, che disciplina le assunzioni a tempo determinato, prevedendo, al comma 5, che “i casi previsti dall’art. 16 disciplinato dal CCNL 5 agosto 1997 in cui le aziende per l’area medico veterinaria possono ricorrere ad assunzioni a tempo determinato sono integrati da quello indicato nel D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 septies, comma 1”.

La disposizione contrattuale alla quale la clausola rinvia, nel fissare i principi che le aziende devono rispettare quanto al trattamento economico e giuridico degli assunti a tempo determinato, prevede, tra l’altro, al comma 4 che “il rapporto di lavoro si risolve automaticamente, senza diritto al preavviso, alla scadenza indicata nel contratto individuale ovvero anche prima di tale data con il rientro in servizio del Dirigente sostituito. In nessun caso il rapporto di lavoro a tempo determinato può trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.” ed ai commi da 7 a 9 detta la disciplina della proroga e del rinnovo dell’incarico, fissandone le condizioni e sanzionando con la nullità le “assunzioni successive a termine intese ad eludere disposizioni di legge o del presente contratto”.

12. Dal complesso delle disposizioni normative e contrattuali sopra richiamate emerge con evidenza che non può essere in alcun modo confuso il termine apposto all’incarico conferito al dirigente medico legato all’azienda sanitaria da contratto a tempo indeterminato, con il termine finale del contratto del dirigente assunto a tempo determinato, perchè nel primo caso lo spirare del termine comporta la cessazione dell’incarico ma non del rapporto, mentre nel secondo è lo stesso rapporto che si risolve automaticamente alla scadenza (negli stessi termini quanto alla dirigenza non medica del S.S.N. Cass. n. 20840/2019) ed il dirigente non vanta alcun diritto soggettivo alla rinnovazione, che, seppure consentita nei limiti previsti dalla legge e dal CCNL, rientra comunque nella facoltà dell’amministrazione, tenuta a valutare la persistenza delle condizioni che legittimano il ricorso alla tipologia contrattuale.

12.1. Questa Corte ha da tempo posto in evidenza che nell’impiego pubblico contrattualizzato esiste una scissione, ignota al diritto privato, fra l’acquisto della qualifica di dirigente ed il successivo conferimento delle funzioni dirigenziali (Cass. n. 2233/2007; Cass. n. 18198/2013; Cass. n. 8077/2014; Cass. nn. 19520 e 32877 del 2018; Cass. n. 20840/2019 cit.). All’esito del superamento della procedura concorsuale si costituisce il rapporto fondamentale, che è a tempo indeterminato, e sullo stesso si innesta, poi, l’incarico temporaneo in quanto, a seguito della contrattualizzazione, “la qualifica dirigenziale non esprime una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del dipendente (che tale qualifica ha acquisito mediante contratto di lavoro stipulato all’esito della procedura concorsuale) a svolgerle concretamente per effetto del conferimento, a termine, di un incarico dirigenziale” (Cass. n. 8674/2018).

12.2. Anche la disciplina della dirigenza medica è modulata sulla distinzione fra accesso alla dirigenza sanitaria, che implica lo svolgimento delle procedure concorsuali di cui al D.P.R. n. 483 del 1997, all’esito delle quali si instaura il rapporto a tempo indeterminato, e conferimento dell’incarico dirigenziale, che è a termine ed è disciplinato, oltre che dal D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 15 e 15 ter dalle disposizioni contrattuali (rilevano in questa sede gli artt. da 27 a 34 del CCNL 8.6.2000 e gli artt. da 25 a 32 del CCNL 3.11.2005). Queste ultime, nel prevedere i criteri di attribuzione dell’incarico e nel subordinarne il rinnovo alla previa valutazione positiva del dirigente, così come nello stabilire le conseguenze della valutazione negativa, presuppongono quella che, si è detto, è la caratteristica del rapporto dirigenziale, ossia l’innestarsi del conferimento a termine dell’incarico su un rapporto a tempo indeterminato, che, se non risolto, prosegue anche una volta venuto a scadenza o revocato l’incarico conferito al dirigente. Ciò giustifica la disciplina, che ricalca e sviluppa la previsione di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 ter delle conseguenze della valutazione negativa (art. 31 CCNL 2005), la quale, ove il rapporto fondamentale non venga risolto, comporta l’affidamento di un incarico di minore valore economico ed ulteriori decurtazioni del trattamento stipendiale.

13. Le richiamate disposizioni contrattuali non possono essere invocate dagli assunti a tempo determinato, ai quali non si applicano neppure, quanto al conferimento degli incarichi, il D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 15 e 15 ter proprio perchè il loro rapporto è connotato da temporaneità e si risolve automaticamente alla scadenza, a prescindere da ogni valutazione sull’operato del dirigente.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso che il C., assunto a tempo determinato; potesse pretendere allo spirare del termine il rinnovo – dell’incarico o il conferimento di altra funzione dirigenziale ed ha rilevato che il ricorrente non poteva fare leva sul contenuto del contratto individuale perchè questo, nella parte in cui subordinava il mancato rinnovo al provvedimento motivato del Direttore Generale, da assumere previa valutazione dell’operato del dirigente, si poneva in contrasto con i principi informatori della disciplina, legale e contrattuale, del rapporto a termine, al pari della clausola che prevedeva, nell’ipotesi di mancato rinnovo, la destinazione ad altra funzione all’interno dell’Azienda Sanitaria. E’ evidente, infatti, che il regolamento contrattuale, all’art. 2 (il cui contenuto è trascritto nella sentenza impugnata) nel richiamare il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, comma 3, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 229 del 1999, operava un’estensione al rapporto a tempo determinato di una disciplina dettata per i dirigenti medici assunti a tempo indeterminato, estensione non consentita, per quanto si è già detto sull’ontologica diversità fra i due tipi di rapporto.

Altrettanto correttamente il giudice d’appello ha evidenziato che la nullità della clausola contrattuale, derivante dalla violazione di norme imperative, poteva e doveva essere rilevata d’ufficio e sul punto la statuizione è conforme al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui “il giudice ha l’obbligo di rilevare sempre una causa di nullità negoziale” e ” dopo averla rilevata, ha la facoltà di dichiarare nel provvedimento decisorio sul merito la nullità del negozio (salvo i casi di nullità speciali o di protezione rilevati e indicati alla parte interessata senza che questa manifesti interesse alla dichiarazione), e rigettare la domanda – di adempimento, risoluzione, annullamento, rescissione -,specificando in motivazione che la ratio decidendi della pronuncia di rigetto è costituita dalla nullità del negozio, con una decisione che ha attitudine a divenire cosa giudicata in ordine alla nullità negoziale” (Cass. S.U. 26242/2014 con la quale si è anche precisato che “in appello e in Cassazione, in caso di mancata rilevazione officiosa della nullità in primo grado, il giudice ha sempre facoltà di rilevare d’ufficio la nullità”).

14. Nessun rilievo può poi spiegare la circostanza dell’avvenuta prosecuzione del rapporto, in via di mero fatto, dal 26 dicembre 2005, data di scadenza dell’incarico, alla Delib. 5 dicembre 2007 con la quale l’Azienda aveva fatto tardivamente valere il termine, già spirato, apposto all’originario contratto.

E’ da escludere che si possa configurare un rinnovo tacito del contratto perchè nell’impiego pubblico contrattualizzato il reclutamento del personale può avvenire solo nel rispetto delle procedure e,dei requisiti previsti dalla legge, non ravvisabile nella fattispecie perchè sia il rinnovo dell’incarico D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 15 septies sia la proroga del contratto a tempo determinato presuppongono una manifestazione espressa della volontà dell’amministrazione, debbono essere formalizzati e sono subordinati alla permanenza delle condizioni che legittimano il ricorso alla particolare tipologia contrattuale.

E’ poi noto che il D.Lgs. n. 165 del 2001, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, ha sempre escluso che il rapporto con le pubbliche amministrazioni possa validamente instaurarsi a fronte di “violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori”.

Vanno, pertanto, rigettati, sulla base delle considerazioni sopra esposte, il primo, il secondo, il quarto, il quinto, il settimo, l’ottavo ed il nono motivo di ricorso.

15. La terza e la sesta censura, che denunciano errores in procedendo, sono inammissibili perchè formulati senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

Occorre al riguardo rammentare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012). La parte, quindi, non è dispensata dall’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010).

E’ necessario, inoltre, che il ricorrente assolva al distinto onere previsto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5 richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le tante, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28.9.2016 n. 19048).

A tanto il ricorrente non ha provveduto perchè, pur denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio del contraddittorio, nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale non ha riportato nel ricorso, quanto meno nelle parti essenziali, il contenuto degli atti processuali rilevanti (memoria difensiva depositata in primo grado dalla ASL, sentenza del Tribunale che aveva rigettato la domanda “disapplicando” il regolamento contrattuale, note difensive del 28.9.2011), non ha prodotto gli atti unitamente al ricorso, nè ha fornito indicazioni in merito alla loro allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte.

16. E’, invece, fondato il decimo motivo.

La condanna alle spese processuali, a norma dell’art. 91 c.p.c., ha il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di un suo diritto, sicchè essa non può essere pronunziata in favore del contumace vittorioso, poichè questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (Cass. 17432/2011; Cass. n. 16174/2018; Cass. n. 16786/2018).

17. In via conclusiva la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente al solo motivo accolto e, decidendo la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, C.F. deve essere esonerato dal pagamento in favore della Azienda Sanitaria delle spese del giudizio di appello.

Stante l’accoglimento solo in minima parte del ricorso, devono essere integralmente compensate le spese del giudizio di legittimità, nel quale l’Azienda non ha svolto difese.

Non sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il decimo motivo e rigetta per il resto il ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito dichiara che C.F. non è tenuto al pagamento delle spese di appello in favore della parte contumace.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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