Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30225 del 15/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30225 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: CURCIO LAURA

ORDINANZA
sul ricorso 3759-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI, 134, presso lo
studio dellavvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta
e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
2390

MAURO ANTONIO, FAPPIANO ANTONIO, CERRUTI ROSANNA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE 66,
presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA D’ALESSIO,
rappresentati e difesi dall’avvocato RAFFAELE DANIELE,
giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 15/12/2017

- controricorrenti

avverso la sentenza n. 8340/2010 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 01/02/2011, R. G. N. 9063/2006.

Rgn. 3759/2012
Rilevato

Che in particolare la corte territoriale ha ritenuto la genericità della causale per
“esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario
conseguenti a processi di riorganizzazione , ivi ricornprendendo un più funzionale
riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da canc=p1t=fur~le
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innovazioni tecnologiche,
ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti
o servizi , nonché all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17,18 e 23
ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 200 “.Secondo la Corte territoriale nel
contratto del lavoratore non vi sarebbe riferimento ad alcuna circostanza concreta ,
mentre solo nell’accordo sindacale 23.10.2001 si fa espresso riferimento ai contratti a
termine.
Che per la corte di merito vi era stato comunque un mancato assolvimento della
prova, non essendo i capitoli di prGva testimoniale articolati da Poste spa idonei a
raggiungere detta prova, attesa la loro genericità, non essendo stati indicati il numero
degli addetti al recapito previsto in pianta organica e quello dei dipendenti in servizio,
la percentuale da coprire con la mobilità interregionale, il numero dei contratti a
termine stipulati nel periodo in considerazione.
Che la corte romana ha escluso il diritto al risarcimento del danno essendo trascorsi
tre anni dalla cassazione del rapporto senza che vi fosse stata alcuna richiesta .
Che Postt italiane spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, a
cui hanno opposto difese i lavoratori con controricorso.
Che in data 27 agosto 2012 sono stati depositati i verbali di conciliazione intervenuti
tra Poste Italiane spa e i contro ricorrenti Rosanna Cerutti e Antonio Mauro.

CONSIDERATO
Che va preliminarmente rilevato che la società ricorrente Poste Italiane spa e i contro
ricorrenti Mauro e Cerutti nelle more del presente giudizio hanno raggiunto una
transazione in sede sindacale , come risulta dal verbale di conciliazione sottoscritto
dalle stesse in data 24.7.2012;
Che pertanto al venir meno di ogni interesse concreto ed attuale alla decisione della
causa consegue la declaratoria di cessazione della materia del contendere per le
suddette posizioni processuali.

Che la Corte d’Appello di Roma ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di
Roma che, accogliendo l’eccezione di Poste italiane spa, aveva respinto la domanda
degli attuali contro ricorrenti ritenendo risolto per mutuo consenso il rapporto di
i
lavoro intercorso tra le parti per disinteresse manifestato alla prosecuzione dello I tc.7. t
accertato l’illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati con i tre lavoratori nel
2002, per ì periodi rispettivamente indicati in ricorso.

Che le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate essendo stata
raggiunta la conciliazione successivamente alla notifica del ricorso e al deposito del
contro ricorso.
Che quanto alla posizione del Fappiano i motivi di ricorso hanno riguardato :

2) la violazione e falsa applicazione degli ‘art.1372,1175, 1375 c.c. in relazione
all’art.360 c.1 n.3 c.p.c. per non aver considerato la sentenza il lungo lasso di tempo,
di oltre tre anni, trascorso dalla fine dello svolgimento della prestazione alla scadenza
del termine e la promozione del tentativo di conciliazione e dunque per non aver
considerato il comportamento opposto ad una presunta volontà di prosecuzione del
rapporto;
3) la violazione e falsa applicazione , in relazione all’art.360 c.1.n.3 c.p.c. , degli artt.
i e 2 del dlgs n.368/2001, dell’art.12 delle preleggi, dell’art. 1362 e ss e dell’art.1375
c.c. per non avere la corte territoriale considerato che con la nuova disciplina di cui ai
dlgs n.368/2001 è necessaria e sufficiente la dimostrazione della sussistenza in fatto
delle esigenze aziendali indicate nella lettera di assunzione
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caso in esame sarebbe specificata, in quanto negli accordi sindacali richiamati si
esplicita l’impiego di tali contratti in un contesto aziendale interessato dal fenomeno
riorganizzativo e si disciplina compiutamente il processo di riallocazione;
4)Ia violazione e falsa applicazione dell’art.4 comma 2 dlgs n.368/2001, degli art.116
e 116 253, 421 c.p.c in relazione all’art.360 c.1 n.3 c.p.c., per aver la corte
territoriale posto a carico del datore di lavoro l’ onere di provare le ragioni
giustificatrici del termine, laddove invece la nuova normativa richiede tale prova solo
in relazione alla proroga, essendo invece onere del lavoratore offrire la prova della
pretestuosità dell’apposizione del termine. Inoltre la società ricorrente lamenta
“l’erronea motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio”,
per non avere la corte territoriale ritenuto l’ammissibilità del capitolo di prova di cui
alla memoria di costituzione dove si descriveva appunto il nesso causale tra gli
squilibri nella distribuzione del personale sul territorio dovuto ai processi
riorganizzativi e le temporanee carenze di organico , che avevano investito anche la
stessa unità produttiva cui era stato addetto il Fappiano.
5)violazione e falsa applicazione la violazione e falsa applicazione dell’art.32 della
legge 4.11.2010 n. 183 , per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto
l’inapplicabilità di tale legge , nonostante il comma 7 del citato art.32 stabilisca che le
disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi , ivi compresi
quelli pendenti alla data di entrata in vigore di detta legge.
Che i primi due motivi di ricorso sono infondati. Quanto al primo nessuna
contraddittorietà appare sussistere in merito alla motivazione adottata dalla corte di
merito circa la valutazione di assenza di danno patrimoniale e tuttavia di
insussistenza dell’ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, trattandosi di due
rationes decidendi distinte, incidendo la seconda solo sugli effetti risarcitori e non su
2

1)Ia contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad una circostanza rilevante
ai fini del decidere in relazione agli artt.1172, 1175 ,2697 ,1427 c.c.100 c.p.c, per
avere la corte ritenuto correttamente di non dover riconoscere alcun risarcimento del
danno economico per il lungo tempo trascorso , ma poi aver ritenuto tale fatto
irrilevante ai fini dell’individuazione della volontà risolutiva del rapporto;

Che egualmente infondati sono il terzo ed il quarto motivo che, essendo connessi ,
possono essere esaminati congiuntamente. La corte territoriale ha motivato
l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro del Fappiano facendo
riferimento a due rationes decidendi , perché ha osservato non solo che l’apposizione
di tale termine al contratto è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo che devono risultare specificate , sia pure per
relationem, per iscritto nel contratto a pena di inefficacia, ma anche che , in ogni
caso, nella fattispecie in esame era mancata la prova sul punto di una specifica
causale negoziale (cfr. tra le tante, Cass.27/4/2010 n. 10033, Cass. 19/03/2016 n.
5451 ).
Che spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, ove e adeguatamente
motivata e priva di vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la
sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al
processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate nel contratto di
assunzione, inclusi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nella
causale del contratto.
Che nel caso in esame , diversamente da quanto sostenuto dalla società ricorrente, la
corte territoriale ha correttamente applicato il suddetto principio allorquando ha
affermato che nella fattispecie , aldilà della genericità della causale , non risultava
essere stato assolto l’onere probatorio, atteso che le allegazioni di Poste spa nulla
spiegavano in concreto in ordine al nesso causale delle ragioni di cui alla causale con
le mansioni per il cui espletamento il Fappiano era stato assunto. Ha in particolare
ritenuto la corte di merito che , in ogni caso, era mancata la prova sul punto di una
specifica causale negoziale, attesa l’inidoneità dei mezzi istruttori dedotti a fornire
tale prova, sia con riferimento alla prova testimoniale che a quella documentale, ossia
gli accordi collettivi trascritti in ricorso.
Che è fondato il quinto motivo di ricorso. Deve invero ritenersi applicabile nel caso in
esame la sopravvenuta normativa di cui all’art.32 commi 5, 6 e 7 della legge
n.183/2010, come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del
2011, trattandosi di giudizio pendente all’epoca di entrata in vigore di norme di
natura retroattiva. Detta normativa, peraltro , si applica anche in sede di legittimità
(cfr. Cass. 29/02/ 2012 n.3056 ). Ed infatti le disposizioni emanate dopo la

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quelli comunque ripristinatori della accertata nullità del termine. Quanto alla
lamentata violazione delle norme interpretative della volontà dei contraenti, questa
corte si è espressa più volte in punto di risoluzione per mutuo consenso ritenendo che
ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso
(che costituendo eccezione in senso stretto, va provata da colui che la eccepisce , cfr
Cass. 7 maggio 2009 n.10526, Cass. 1°febbraio 2010 n. 2279), non è di per sé
sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento e
dopo la scadenza del contratto a termine , o anche il semplice ritardo nell’esercizio
dei suoi diritti, ma è necessario che sia fornita la prova di altre significative
circostanze che denotano una chiara e certa volontà delle parti contraenti di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo ((cfr. da ultimo Cass. n. 14422\2015,
Cass. 9 aprile 2015 n. 7156; Cass. 12 gennaio 2015 n.231). Simili circostanze non
sono state evidenziate dalla società ricorrente, che si è limitata a ricordare
l’accettazione del TFR e l’attesa di un periodo di oltre tre anni prima della messa in
mora.

Che pertanto rigettati i primi quattro
motivi di ricorso e accolto il quinto
relativamente all’applicazione dello jus superveniens con riguardo alle conseguenze
economiche dell’accertata illegittimità del termine apposto al contratto, la sentenza
deve essere su tale punto cassata e rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa
composizione, che provvederà a liquidare l’indennità risarcitoria prevista dall’art. 32
comma 5 della legge n. 183 del 2010, oltre che a regolare le spese del presente
giudizio di legittimità.
P.Q.M
dichiara cessata la materia del contendere nei confronti di Antonio Mauro e Cerruti
Rosanna e Poste spa con compensazione delle spese tra le parti; in relazione a
Fappiano Antonio e Poste spa accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri ,
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma , in diversa
composizione, anche per le spese .
Così deciso nella Adunanza camerale del 24 maggio 2017
Il Presidente
Vincenzo Di Cerbo

unzionario Giudiziario
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/ CORTE SUPREMA DI CASSAZDhe

pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive sono applicabili al rapporto,
non essendo richiesto necessariamente un errore nell’applicazione della legge, posto
che oggetto del giudizio di legittimità non è l’operato del giudice ma la conformità
della decisione adottata all’ordinamento giuridico (cfr. in termini Cass. s.u.
27/10/2016 n. 22691).

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