Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30224 del 15/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 30224 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

SENTENZA

sul ricorso 1977-2015 proposto da:
CONFORAMA ITALIA S.P.A. P.IVA 13401220150, in persona
del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio
dell’avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati RUGGERO PONZONE e
2017

GIOVANNA PACCHIANA PARRAVICINI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1431

contro
RAMPAZZO CRISTINA C.F. RMPCST67T63G224X, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo

Data pubblicazione: 15/12/2017

studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato SAVINA BOMBOI, giusta
delega in atti;
– controrícorrente –

avve.rso la sentenza n, 539/2014 della CORTE U’ARRELLQ
VENEZIA, E..M_)_nat ,li il 21/10/2014, R. G. N.

650/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/04/2017 dal Consigliere Dott. ALFONSINA
DE FELICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MASSIMO DI CELMO per delega verbale
GERARDO VESCI;
udito l’Avvocato BRUNO COSSU.

di

R.G.1977-2015

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza in data 21/10/2014,
confermando la sentenza del Tribunale di Padova n.476/2013, ha

del licenziamento disciplinare intimato nei confronti della cassiera
Cristina Rampazzo, ritenuta responsabile di aver sottratto 250 euro
per ragioni personali, adducendo, in un biglietto autografo, la ragione
di tale ammanco in “euro 250 pratica”, senza che nessuna pratica
fosse in sospeso. La Corte ha escluso che una siffatta violazione
presentasse una gravità tale da giustificare la sanzione estintiva.
Riscontrava la Corte territoriale come dall’insieme delle circostanze
emerse nel giudizio di merito non potesse ritenersi venuto meno il
rapporto di fiducia tra la datrice e la dipendente, essendo stata la
somma restituita prontamente, e lo sarebbe stato anche in difetto di
contestazione, posto che una volta emerso, l’ammanco le sarebbe
stato sicuramente imputato proprio per la presenza, in cassa, della
nota scritta dalla lavoratrice di suo pugno.
Avverso la sentenza interpone ricorso in Cassazione Conforanna
Italia s.p.a., affidando le sue ragioni a sette censure, al quale resiste
Cristina Rampazzo con tempestivo controricorso, entrambi gli atti
illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 del codice di rito.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Nel primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 e 2727 e ss. cod. civ. e degli artt. 112,
115, 116 cod. proc. civ., nonché omesso esame circa il fatto decisivo
per il giudizio oggetto di controversia tra le parti consistente nella
asserita intenzione della Rampazzo di restituire la somma

rigettato il ricorso di Conforama Italia s.p.a., dichiarando l’illegittimità

indebitamente prelevata dal fondo cassa per motivi personali e non
già di appropriarsene in via definitiva.
La ricorrente deduce che la motivazione adottata dalla Corte
territoriale sarebbe viziata perché fondata su presunzioni prive dei
caratteri legali di gravità, precisione, concordanza, e perché

onerata non aveva richiesto la prova, come ad esempio la circostanza
riguardante la situazione familiare da cui aveva tratto origine il gesto
della dipendente. La doglianza si appunta infine sul significato
scriminante attribuito dalla Corte d’Appello al biglietto riposto in cassa
al posto della somma di denaro sottratta, contestando che alla
circostanza non potesse che attribuirsi l’opposto significato di un
artificio messo in atto consapevolmente, proprio al fine di coprire
l’ammanco.
Il primo motivo è inammissibile.
Innanzitutto va rilevato che, per com’è prospettata, la censura
presenta una mescolanza non scindibile di vizio motivazionale e di
violazione di legge, tale da richiedere, un intervento di questa Corte
volto a enucleare le parti concernenti le separate censure (In termini,
Cass. n.3554/2017);
In particolare poi, in merito all’utilizzo del ragionamento
presuntivo da parte del Giudice d’Appello, rileva questa Corte che
esso, qualora adeguatamente motivato dal Giudice del merito – come
è nel caso in esame – costituisce accertamento di fatto, precluso in
sede di legittimità.
Infatti, “…spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di
fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a
fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai
presupposti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove
adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità,
dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in

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scaturirebbe dall’esame di fatti non dimostrati e di cui la parte

ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può
limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso
dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e
contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando, peraltro
escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario

Cass. n.8023/2009; prec. Cass.n.15737/2003).
Egualmente, la prima censura è inammissibile sotto il profilo del
prospettato vizio di motivazione ex art. 360, co.1, n.5 cod. proc. civ.
poiché, in seguito alla riforma dell’art. 360, n.5, introdotta dall’art.
54, co.1, lett. d) I. n.83/2012, conv. con modif. in I. n. 134/2012, è
denunciabile in Cassazione soltanto l’omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti
(Cass. sez. Un. n.8053/2014).
Seppure per fatto decisivo la ricorrente avesse inteso – ma dal
ricorso non è dato evincerlo con la dovuta chiarezza – la mancata
valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo nell’atto della
sottrazione, la censura sarebbe da considerarsi infondata, poiché
anche tale circostanza, è stata ampiamente vagliata all’esito di un
approfondito iter probatorio, a seguito del quale il Giudice del merito
si è risolto ad affermare (p.7) che “…la valutazione dell’elemento
soggettivo non depone per una gravità della condotta tale da
giustificare il licenziamento…”.
Ancora, riguardo al primo motivo di doglianza, nella parte in cui la
ricorrente deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non
avere il Giudice d’Appello accolto l’eccezione di decadenza
dell’onerato, in merito ad aspetti probatori non dimostrati, questa
Corte ritiene di poter affermare che, lungi dal configurare il vizio
dedotto, il fatto che la decisione gravata rivaluti proprio tali aspetti
all’interno del suo tessuto argomentativo, equivale all’implicito rigetto

3

possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo” (Così

dell’eccezione in base alla cui presunta omessa pronuncia parte
ricorrente ha prospettato la censura.
2. Nella seconda doglianza, la ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 646 cod. pen., sulla valutazione per cui la
condotta della lavoratrice non integrerebbe gli estremi del reato di

la Corte d’Appello creduto di

ravvisare l’intenzione della

controricorrente di restituire la somma.
Il motivo è infondato. Pur deducendo la completa sovrapponibilità
tra la responsabilità disciplinare e quella penale – il che sarebbe già di
per sé contestabile – la censura non si rivela comunque capace di
aggredire la parte motiva della sentenza che ha ritenuto provata
l’assenza dell’elemento costitutivo della fattispecie delittuosa
invocata, consistente nella specifica intenzione dolosa, da parte di
Cristina Rampazzo, di appropriarsi definitivamente del denaro
sottratto.
3. Nella terza censura il vizio di violazione di legge si appunta
sull’erronea interpretazione, da parte della Corte d’Appello, delle
norme del contratto collettivo del settore del commercio e, in
particolare, di quelle disposizioni (artt. 220, co.1 e 2; 225 e 229) che
segnano la linea di confine tra gli obblighi del dipendente alla
conservazione del patrimonio aziendale e l’abuso di fiducia, che,
traducendosi in comportamenti contrastanti con gli artt. 1362 e 2119
cod. civ., produce conseguenze sulla conservazione del rapporto di
lavoro.
La

censura

è

inammissibile,

poiché

appuntandosi

sull’apprezzamento e sul convincimento del giudice sui fatti di causa,
rivelatosi difforme da quello auspicato dalla ricorrente, mira a un
riesame del merito, non consentito in sede di legittimità, ed è altresì
inammissibile per promiscuità dei motivi.

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appropriazione indebita per mancanza di dolo, avendo erroneamente

Questa Corte ha, infatti, deciso che “Nel ricorso per cassazione, i
motivi d’impugnazione che prospettino una pluralità di questioni
precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente
violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una
negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un

le parti concernenti le separate censure” (Cass. n. 21611/2013; Cass.
n.18021/2016; Cass. n.3554/2017).
4.

Nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione

dell’art.2697 cod. civ.è riferita alla circostanza secondo cui la Corte
d’Appello avrebbe considerato provata l’esclusione dell’appropriazione
indebita per avere, la dipendente, restituito la somma sottratta il
giorno stesso, nonostante la decadenza dalla relativa prova.
Il motivo è infondato. L’iter logico-argomentativo della sentenza è
coerente e analitico sulla circostanza dedotta dalla difesa di parte
ricorrente, e non autorizza a una diversa conclusione, avendo, la
Corte territoriale, ritenuto provato che la controricorrente avesse
sottoscritto di suo pugno il biglietto esaminato e riconosciuto
l’ammanco nell’immediatezza dei fatti, e valorizzato come l’episodio
fosse avvenuto all’interno di un contesto lavorativo di completa
irreprensibilità delle condotte della dipendente nei confronti della
datrice, lungo tutta la durata del rapporto di lavoro.
5. Nel quinto motivo la violazione dei principi sull’onere probatorio
è dedotta con riferimento alla motivazione della sottrazione, che
sarebbe avvenuta per necessità familiari, mai chiarite né provate in
corso di causa, e che la sentenza gravata ha richiamato
genericamente, posto che il bisogno rappresentato, qualora
ritualmente introdotto nel giudizio di merito, avrebbe conferito all’atto
un significato concreto tale da condizionare la valutazione della
condotta della dipendente.

intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi

Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza e di
specificità non avendo, la parte ricorrente, dimostrato, in quali
espressi termini, le circostanze familiari contestate, ricostruite e
vagliate – di contro – dalla Corte territoriale per essere poste a
fondamento della decisione gravata (p. 10-11), sarebbero state

6. Il sesto motivo si appunta sulla nozione di proporzionalità della
sanzione, contestando la violazione e falsa applicazione delle norme
contrattuali e legislative che compongono l’intero corpus normativo
che disciplina il potere disciplinare del datore (artt. 2119, 2104, 2105
e 2106 cod. civ., art. 7 I. n.300/1970, nonché gli artt. 220, 225 e 229
c.c.n.l. settore Terziario), dal quale il giudice territoriale avrebbe
erroneamente fatto discendere il giudizio di non proporzionalità della
risposta sanzionatoria alla condotta posta in essere dalla lavoratrice
alla luce delle circostanze del caso concreto.
La sesta censura presenta lo specifico profilo d’inammissibilità,
inerente la promiscuità dei motivi, nel senso richiamato a proposito
della prima e della terza censura. Il motivo è, comunque,
chiaramente inammissibile, poiché, tendente a ottenere un riesame
del merito, precluso in sede di legittimità.
7. Il settimo e ultimo motivo di censura attiene alla violazione e
falsa applicazione degli artt. 2118 cod. civ. e 3 I. n.604/1966, nonché
all’ome .sso esame di un punto decisivo per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti (art. 360, n.5), per avere, la Corte territoriale,
conferito scarso rilievo alla richiesta, formulata, in via subordinata
dalla ricorrente, di derubricare la ragione del licenziamento da giusta
causa a giustificato motivo soggettivo.
In base alla giurisprudenza di questa Corte sull’inammissibilità di
motivi promiscui richiamata a proposito delle precedenti censure, il
settimo motivo presenta scarsa chiarezza per delineare in modo poco
netto il confine tra il vizio motivazionale e la violazione di legge.

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espunte dal giudizio di merito.

Quanto, poi, all’esclusione della causale giustificativa prospettata
in subordine dalla ricorrente, la censura è infondata, poiché non
aggredisce la sentenza sul punto del rigetto della domandata
conversione della causale, essendo specificamente motivato dalla
Corte territoriale, che la comprovata condotta oggetto di

richiesto dall’art. 3 della I. n.604/1966.
Essendo, pertanto, le censure proposte in parte inammissibili, e in
parte infondate, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la
soccombenza. Si dà atto dell’esistenza dei presupposti per la
condanna del ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di •
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1 bis, dell’art. 13 del d.P.R. n.115/2002.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio
di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi e in Euro 4.000 per
competenze professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15 per cento, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.115/2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello
stesso art. 13.

Così deciso nell’Udienza del 4/04/2017

contestazione, mancava del requisito del notevole inadempimento,

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