Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30223 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. I, 30/12/2011, (ud. 28/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.C. (c.f. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA A. DORIA 48, presso l’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che li

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

08/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/11/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato RODA, con delega, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio che ha concluso per l’accoglimento del primo per

quanto di ragione; l’accoglimento del secondo motivo; assorbimento

del terzo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.C. più gli altri sette ricorrenti di cui in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi avverso il provvedimento della Corte d’appello di Roma depositato l’8.4.08 con cui la PDCM veniva condannata ex L. n. 89 del 2001 al pagamento in favore di ciascuno di essi di un indennizzo di Euro 4800,00 per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi innanzi al Tar Lazio.

La PDCM non ha resistito con controricorso.

La Corte in camera di consiglio ha optato per la motivazione semplificata.

Diritto

OSSERVA

Con il primo motivo di ricorso si deduce l’insufficiente liquidazione dell’indennizzo con discostamento dai parametri CEDU. Con il secondo motivo di ricorso si censura la decisione per avere riconosciuto gli interessi legali dalla data del decreto anzichè da quella della domanda.

Con il terzo motivo si lamenta che la liquidazione delle competenze sia avvenuta in violazione dei minimi tariffari in ragione della pluralità dei ricorsi riuniti.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

La Corte d’appello ha liquidato Euro 4800,00 per un periodo di irragionevole durata di anni sei, sulla base di Euro 800,00 per anno di ritardo.

Tale limitato discostamento dai parametri Cedu appare giustificato in ragione della valutazione discrezionale che comunque compete al giudice di merito in ordine alla determinazione dell’indennizzo essendo i parametri in questione degli indicatori di massima dai quali è sempre possibile discostarsi in misura ragionevole in relazione al caso concreto.

Quanto al secondo motivo di ricorso, questa Corte ha affermato il principio che gli interessi spettano all’avente diritto, anche in difetto di sua specifica richiesta, con decorrenza dalla data della domanda di equa riparazione del danno derivante dalla non ragionevole durata del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, sulla somma liquidata a tale titolo, e che gli stessi vanno determinati al tasso legale, cui fanno riferimento gli artt. 1282 e 1284 cod. civ., in difetto di diversa disposizione di legge o accordo scritto della parti, dovendo il giudice italiano applicare in proposito la normativa interna e non ravvisandosi contrasti fra detta normativa e specifiche norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che nulla dispone al riguardo. (Cass 24756/05).

Il principio dunque da applicare al caso di specie è che gli interessi decorrono dalla domanda al tasso legale.

Il terzo motivo risulta assorbito dovendo questa Corte, a seguito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, provvedere alla liquidazione delle spese dell’intero giudizio.

Il ricorso va in conclusione accolto quanto al primo motivo con conseguente cassazione del decreto impugnato in relazione alla censura accolta.

Sussistendo le condizioni di cui all’art 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito per cui, ferma restando la condanna della PDCM al pagamento dell’equo indennizzo stabilito dal giudice di merito, la stessa va altresì condannata al pagamento degli interessi legali dalla domanda al saldo nonchè delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

Si osserva peraltro, che quanto alle spese del giudizio di merito non può essere seguito il criterio propugnato dalla difesa dei ricorrenti secondo il quale, essendo stati proposti distinti ricorsi ex L. n. 89 del 2001, riuniti dalla Corte d’appello solo in esito alla discussione in camera di consiglio, spetterebbero gli onorari e i diritti distintamente per ogni procedimento fino al momento della riunione.

Giova premettere, quanto alla vicenda del processo presupposto, che i ricorrenti sono stati parti di una medesima procedura avanti ai TAR del Lazio, avendo proposto un unica domanda concernente la rivalutazione e gli interessi su somme tardivamente erogate a seguito dell’inquadramento definitivo nelle qualifiche funzionali.

Ciononostante, pur essendo la domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di tale procedura basata sullo stesso presupposto giuridico e fattuale, hanno proposto nello stesso ristretto arco temporale tre distinti ricorsi alla Corte d’appello competente con il patrocinio del medesimo difensore.

Tale condotta deve ritenersi configurare un abuso del processo.

La giurisprudenza della Corte ha già avuto modo di affrontare il tema dell’utilizzo dello strumento processuale con modalità tali da arrecare non solo un danno at debitore senza necessità o anche solo apprezzabile vantaggio per il creditore ma anche da interferire con il funzionamento dell’apparato giudiziario ed ha ritenuto una tale condotta lesiva sia del canone generate di buona fede oggettiva e correttezza, in quanto contrastante con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., sia contraria ai principi del giusto processo in quanto la inutile moltiplicazione del giudizi produce un effetto inflattivo confliggente con l’obiettivo costituzionalizzato della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. (Sent.

Sezioni Unite, 15 novembre 2007, n. 23726).

I principi, pur enunciati in tema di rapporti negoziali, possono trovare applicazione anche in fattispecie quale in esame laddove l’evento causativo del danno e quindi giustificativo della pretesa sia identico come unico sia il soggetto che ne deve rispondere e plurimi soli i danneggiati i quali, dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto cosi dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle posizioni ed avere sostanzialmente tenuto la stessa condotta in fase di richiesta dell’indennizzo agendo contemporaneamente con identico patrocinio legale e proponendo domande connesse per l’oggetto e per il titolo, instaurano singolarmente procedimenti diversificati pur destinati inevitabilmente (come puntualmente avvenuto nella fattispecie) alla riunione. (Cass 10634/10) Una tale condotta, che è priva di alcuna apprezzabile motivazione e incongrua rispetto alla rilevate modalità di gestione sostanzialmente unitaria delle comuni pretese, contrasta innanzitutto con l’inderogabile dovere di solidarietà sociale che osta all’esercizio di un diritto con modalità tali da arrecare un danno ad altri soggetti che non sia inevitabile conseguenza di un interesse degno di tutela dell’agente, danno che nella fattispecie graverebbe sullo Stato debitore a causa dell’aumento degli oneri processuali: ma contrasta altresì e soprattutto con il principio costituzionalizzato del giusto processo inteso come processo di ragionevole durata (SS.UU. n. 23726/07, sopra citata) posto che la proliferazione oggettivamente non necessaria dei procedimenti incide negativamente sull’organizzazione giudiziaria a causa dell’inflazione delle attività che comporta con la conseguenza di un generate allungamento del tempi processuali. (Cass 10634/10) Il riscontrato abuso delle strumento processuale non può tuttavia conseguire la sanzione dell’inammissibilità del ricorsi, posto che non è l’accesso in sè allo strumento che è illegittimo ma le modalità con cui è avvenuto, ma comporta l’eliminazione per quanto possibile degli effetti distorsivi dell’abuso e quindi, nella fattispecie, la valutazione dell’onere delle spese come se unico fosse stato il procedimento fin dall’origine. (Cass 10634/10).

Anche in ragione di quanto sopra sussistono, infine, giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità in ragione di metà, che liquida nella misura così già ridotta in Euro 600,00.

PQM

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione alla decorrenza degli interessi dalla domanda Decidendo nel merito condanna l’Amministrazione al pagamento degli interessi legali dalla domanda al saldo sulla somma di Euro 4800,00 liquidata dalla Corte d’appello a ciascuna delle parti ricorrenti. Condanna altresì la PDCM al pagamento della metà delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 600,00 di cui Euro 50,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge,compensando l’altra metà, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito liquidate in Euro 1300,00 per onorari, Euro 800,00 per diritti ed Euro 100,00 per spese oltre spese generali, Iva e cpa;

spese tutte da distrarsi in favore dell’avvocato Ferdinando Emilio Abate antistatario quanto al presente giudizio e degli avvocati Ferdinando Emilio Abate e Giovanbattista Ferriolo, antistatari quanto al giudizio di merito.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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