Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30222 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/11/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 20/11/2019), n.30222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17355-2017 proposto da:

G.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 63,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA AIRO’ FARULLA, rappresentato

e difeso dagli avvocati RAIMONDO ALAIMO e ASSUNTA MARIA SILVIA

ALAIMO;

– ricorrente –

contro

IMPRESA P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI MULONE;

– controricorrente –

e contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA

D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO e EMANUELE DE ROSE;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1074/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 05/01/2017, R. G. N. 1611/2014.

Fatto

RILEVATO CHE:

1. il Tribunale di Agrigento, con sentenza n. 415 del 2014, in parziale accoglimento del ricorso proposto da G.A.L., condannava P.G., titolare dell’omonima impresa individuale, al pagamento della somma di Euro 4.780,85, oltre agli accessori, a titolo di differenze retributive, mensilità accessorie e TFR in relazione al rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti dal giugno 2002 al febbraio 2006;

2. la Corte di appello di Palermo, con pronuncia n. 1074 del 2016, pronunciando sul gravame proposto da P.G., in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduceva ad Euro 1.085,29 la statuizione di condanna a carico del predetto P. ed in favore di G.A.L.;

a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha così argomentato:

– non era dimostrata la deduzione del lavoratore di aver ricevuto una retribuzione inferiore a quella risultante dalle buste paga debitamente quietanzate; al riguardo, erano maggiormente attendibili le testimonianze in base alle quali la consegna della retribuzione avvenisse nell’ufficio del titolare, con i lavoratori chiamati uno per volta;

– la deduzione secondo cui il rilascio di quietanza fosse avvenuto sotto la minaccia del licenziamento rappresentava questione nuova e comunque sfornita di prova;

– residuava, comunque, in applicazione del CCNL di categoria, un credito in favore del lavoratore nella minore misura per cui si pronunciava condanna;

3. avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore affidato ad un unico motivo;

4. ha resistito, con controricorso, il datore di lavoro;

5. è rimasto intimato l’INPS.

Diritto

RILEVATO CHE:

1. con un unico motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – è dedotta erronea motivazione per errata valutazione delle prove assunte e decisive per il giudizio; si imputa alla sentenza di aver fatto cattivo governo de mezzi di prova ed inoltre di aver giudicato nuova la questione relativa al rilascio di quietanza sotto minaccia di licenziamento;

1.1. il motivo è, in radice, inammissibile;

1.2. quanto al profilo che concerne la valutazione del materiale probatorio, per costante giurisprudenza di legittimità, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – anche nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012 – non ha mai conferito alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, spettando al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (in termini, Cass. n. 5205 del 2010; Cass. n. 4766 del 2006. Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. n. 4500 del 2007; Cass. n. 27168 del 2006);

1.3. corollario di tale principio, nella vigenza del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie di causa, è che il ricorrente che deduca il vizio di motivazione, sotto il profilo dell’erronea valutazione dei mezzi di prova, può solo evidenziare il “fatto storico”, oggetto del mezzo di prova, non valutato e decisivo, tale cioè che se esaminato avrebbe invalidato, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi sarebbe venuta a trovarsi priva di base; il tutto, poi, nel rispetto degli oneri di specificità ex art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;

1.4. le censure di cui al ricorso non sono sviluppate nei termini che precedono e mirano ad ottenere una non consentita rivalutazione del compendio probatorio;

2. la censura che afferisce alla statuizione di “novità” della questione relativa alla minaccia datoriale finalizzata alla sottoscrizione delle buste paga per ricevuta delle somme in esse indicate difetta di specificità;

2.1. per validamente censurare detta argomentazione contenuta nella sentenza della Corte di appello, la parte ricorrente avrebbe dovuto, secondo la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, procedere alla trascrizione degli atti difensivi (ricorso introduttivo del giudizio e comparsa di costituzione in appello) in cui, come assume, aveva proposto la questione e, quindi, indicare la localizzazione dei relativi atti processuali, con ulteriore onere di deposito degli stessi (id est: dei medesimi atti processuali) ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4; l’inosservanza delle indicate prescrizioni impedisce alla Corte ogni valutazione al riguardo;

3. le spese, liquidate in favore della parte controricorrente, seguono la soccombenza; nulla deve provvedersi in relazione all’INPS che, rimasto intimato, non ha svolto alcuna attività difensiva;

4. occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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