Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3022 del 08/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 3022 Anno 2018
Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: FANTICINI GIOVANNI

Ud. 19/09/2017

ORDINANZA
CC

sul ricorso 18807-2015 proposto da:
MUNGO VINCENZO, MUNGO MARCELLO, MUNGO MARIA LUISA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PASUBIO,

15,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO MUNGO, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO
TARDELLA giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrenti nonchè contro

2017
1742

MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580 in persona del
Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

Data pubblicazione: 08/02/2018

- resistente con atto di costituzione avverso la sentenza n. 563/2015 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 30/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 19/09/2017 dal Consigliere Dott.

GIOVANNI FANTICINI;

2

RILEVATO CHE:

Vincenzo, Maria Luisa e Marcello Mungo convenivano in

giudizio innanzi al Tribunale di Catanzaro il Ministero dell’Economia e
delle Finanze, domandando il pagamento della somma di Euro
28.025,70, oltre accessori;
dopo aver premesso che tra le parti erano stati stipulati due

contratti di locazione (il 9 febbraio 1988 e il 29 giugno 1992) relativi
a diversi immobili ubicati in Catanzaro, gli attori affermavano che il
predetto importo era dovuto a titolo di canoni insoluti, di
adeguamenti ISTAT non corrisposti, di oneri accessori al godimento
dei cespiti e di risarcimenti di danni arrecati ai locali;

l’Amministrazione convenuta resisteva chiedendo il rigetto

delle istanze svolte nei suoi confronti;

il Tribunale di Catanzaro ritenne che la parte non avesse

specificato il contratto in relazione al quale i canoni erano insoluti e
l’ammontare specifico di quelli non pagati (tanto che la mancata
contestazione dell’Amministrazione era irrilevante, mentre era
incomprensibile la richiesta attorea di Euro 4.642,34), che difettava la
prova della richiesta di aggiornamento Istat e i periodi di riferimento,
che erano attinenti all’ordinaria manutenzione le spese afferenti al
ripristino dell’immobile dopo l’uso (per contratto poste a carico della
proprietaria);

pertanto, con la sentenza n. 1208 del 2 luglio 2013,

accoglieva parzialmente la domanda condannando il Ministero
convenuto al pagamento della somma di Euro 92,96, dovute per la
rimozione dell’impianto telematico, la sostituzione del frontalino del
citofono e l’eliminazione del materiale depositato in un piccolo
chiostro, oltre a interessi e rivalutazione monetaria;

la pronuncia di primo grado, fatta oggetto di impugnazione

degli attori, veniva confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro
sulle seguenti considerazioni: a) la mancata contestazione

3

dell’Amministrazione per i canoni richiesti era irrilevante in mancanza
di idonea specificazione dei fatti costitutivi a cui correttamente il
Tribunale aveva ritenuto di non poter sopperire d’ufficio, né in appello
era possibile superare le preclusioni di primo grado; b) gli
aggiornamenti Istat erano stati negati in mancanza di prova di averli

settembre 2002 non era indicata negli atti di primo grado ed era
successiva alla risoluzione del rapporto (1998); c) alla luce degli
accordi contrattuali i pretesi danni restavano a carico dei proprietari,
mentre nessun riconoscimento era contenuto nella nota dell’Agenzia
delle Entrate che rimetteva tutto al competente Dipartimento del
Ministero;

Vincenzo, Maria Luisa e Marcello Mungo impugnano la

sentenza n. 563 del 30 aprile 2015 della Corte territoriale proponendo
ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

il Ministero si è costituito solo per l’eventuale partecipazione

alla discussione orale.
CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3,
cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 347, comma 3,
cod. prov. civ., per avere la Corte d’appello adottato la propria
decisione senza la preventiva e necessaria acquisizione del fascicolo
d’ufficio del primo grado, pur disposta ma non evasa, contenente tra l’altro – i verbali delle udienze (anche di assunzione delle prove
testimoniali), le ordinanze di ingiunzione emesse in corso di causa e
l’elaborato peritale del consulente tecnico d’ufficio. A detta della
parte, in tali verbali erano evidenziati i riconoscimenti di debito del
Ministero, tant’è che il Tribunale aveva emesso ordinanze ingiuntive
per canoni e danni. La mancanza del fascicolo di ufficio non avrebbe
consentito alla Corte una corretta valutazione dei fatti costitutivi

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richiesti e tale assunto non era stato censurato; la nota del 30

corroborati dalla C.T.U. (che aveva riconosciuto danni per euro
17.532,93 oltre IVA).
2. Questa Corte ha più volte statuito che «L’acquisizione del
fascicolo d’ufficio di primo grado nel processo d’appello ha una
funzione meramente sussidiaria, sicché, in mancanza, il procedimento

omissione può costituire motivo di ricorso per cassazione, salvo che il
ricorrente deduca che da detto fascicolo il giudice avrebbe potuto o
dovuto trarre elementi decisivi su uno o più punti controversi della
causa, non rilevabili

aliunde,

che è suo onere indicare

specificatamente» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1678 del 29/01/2016,
Rv. 638540-01; analogamente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3181 del
14/02/2006, Rv. 590313-01).
È onere della parte ricorrente, dunque, indicare con precisione
quali elementi decisivi del giudizio, non rilevabili aliunde, risultino
trascurati in conseguenza del mancato esame del fascicolo di primo
grado.
Nel ricorso si afferma che «nei verbali di causa … emergono
innanzitutto le dettagliate deduzioni a verbale di udienza (cfr. il
verbale dell’udienza del 17.2.2005 e, soprattutto, del 20.10.2005) in
cui si evidenziano al Giudicante i chiari riconoscimenti di debito (docc.
10, 11, 12 e 14 del fascicolo di parte attrici di primo grado) in merito
alle somme non contestate sia per i canoni di locazione mai
corrisposti che per la quantificazione dei danni subiti dagli immobili a
seguito della locazione».
Col proprio ricorso la parte ricorrente, senza cogliere la prima
ratio decidendi del provvedimento impugnato (e cioè, come meglio si
dirà nel prosieguo, la valutazione di genericità della domanda
formulata), non afferma (né dimostra) di aver effettuato, nel corso
del processo, una precisazione della domanda o un’emendati° libelli
autorizzata ex art. 420 cod. proc. civ. (peraltro, ciò è stato escluso

5

di secondo grado, e la relativa sentenza, non sono viziati, né tale

dalla Corte territoriale): se l’originaria esposizione del petitum e della
causa petendi è stata lacunosa (come ritenuto dal giudice del merito),
soltanto la sua integrazione nel corso del processo (se eseguita con le
modalità e le forme consentite dal codice di rito) avrebbe potuto
“sanare” tale difetto, di talché l’acquisizione di verbali dai quali – a

avrebbe comunque assunto un ruolo decisivo per inficiare la decisione
impugnata.
In riferimento all’ulteriore considerazione dei ricorrenti – secondo
cui «in esito a tali circostanziate deduzioni a verbale» e «in esito alle
puntuali deduzioni a verbale di udienza del 20.4.2006» sono state
emesse le ordinanze di ingiunzione del 28 novembre 2005 e del 5
aprile 2007 – si deve confermare il giudizio di irrilevanza (e, quindi, di
non decisività) formulato dalla Corte d’appello poiché, come
correttamente osservato, tali provvedimenti sono caratterizzati da
provvisorietà e sono suscettibili di revoca in sede di decisione (art.
423 cod. proc. civ.): conseguentemente, si deve escludere la
possibilità di attribuire alle menzionate ordinanze l’efficacia di
dimostrare inconfutabilmente la specificità della domanda attorea (e,
invero, esse non sono idonee nemmeno a provarne la fondatezza).
Quanto alla mancata acquisizione della prova testimoniale e della
consulenza tecnica d’ufficio sui pregiudizi riscontrati al momento del
rilascio del cespite, il ricorso si limita ad affermare (apoditticamente)
la loro decisività, in proposito si osserva che la parte non ha colto la
ratio decidendi della sentenza impugnata, dalla quale si evince la
superfluità dell’esame delle deposizioni e delle conclusioni del perito
sull’ammontare dei danni arrecati ai locali. Infatti, pur se tale
questione sarà più diffusamente trattata esaminando il quarto motivo
di ricorso, sin d’ora può constatarsi che la Corte territoriale ha fatto
riferimento alla «analitica ricostruzione operata dal Tribunale in punto
di qualificazione dei danni nel novero di quelli ricompresi nella

6

dire dei ricorrenti – emergono «chiari riconoscimenti di debito» non

ordinaria alea gravante sulla parte proprietaria», argomentazione che
non risulta censurata con l’atto di appello e nemmeno col ricorso per
cassazione.
3.

Con il secondo motivo la parte ricorrente, richiamando l’art.

360, n. 3, cod. proc. civ., censura la violazione e falsa applicazione

proc. civ. in quanto erroneamente sarebbe stata affermata, nella
decisione impugnata (così come in quella di primo grado), la
genericità della domanda avanzata in ragione della mancata
allegazione e prova dei suoi elementi costitutivi; in particolare,
sostengono i ricorrenti che l’atto introduttivo aveva esplicitamente
indicato le fonti negoziali del loro credito (i contratti di locazione
stipulati col Ministero), richiamato «tutta la corrispondenza intercorsa
(docc. 8 e 13 del fascicolo di parte attrice di primo grado) nella quale
chiaramente era stato evidenziato innanzitutto il mancato pagamento
dei “canoni di locazione rivalutati ed afferenti il primo contratto per il
periodo di giorni 91 dal 10.10.1998 al 8.11.1998″» e che le causali
dell’obbligazione erano state «ulteriormente specificate con le
deduzioni a verbale di udienza, sin dall’originaria instaurazione del
giudizio»; dalla medesima documentazione si poteva altresì evincere
la prova documentale del credito, peraltro non contestato
(parzialmente) dal convenuto, condotta processuale a cui i giudici di
merito avevano mancato di attribuire il dovuto rilievo.
4.

La Corte territoriale – nel riportare le statuizioni della

pronuncia appellata secondo cui «non risultava specificato quale dei
due contratti stipulati non fosse oggetto di corretto adempimento e
quali canoni fossero rimasti impagati» e «nessuna integrazione era
stata operata dall’attore in corso di giudizio, né si rinveniva nell’atto
introduttivo il richiamo a documenti all’uopo ritenuti utili» – ha
confermato la valutazione di genericità della domanda inizialmente
svolta dagli odierni ricorrenti in ordine al pagamento di canoni

7

degli artt. 2697, 1571, 1587 cod. civ. e 115, 426, 633 e 634 cod.

insoluti, tanto che – difettando «la specifica indicazione del numero
delle mensilità non corrisposte, dell’immobile oggetto di locazione, del
contratto specifico regolante il rapporto in contestazione e l’importo
della connessa obbligazione» – al giudice di prime cure era stato di
fatto attribuito il compito di «operare – in via integrativa ed ex officio
la individuazione dei dati necessari per l’accoglimento della

domanda».
A tale argomentazione la parte ricorrente ribatte che l’atto
introduttivo conteneva l’indicazione dei due contratti stipulati col
Ministero e richiamava la corrispondenza depositata, all’interno della
quale potevano rinvenirsi documenti contenenti una precisa
individuazione degli elementi costitutivi della richiesta, nonché la
prova della sua fondatezza.
I ricorrenti sovrappongono erroneamente il piano dell’allegazione
con quello della prova arrivando ad affermare che «non vi era stata
alcuna necessità di “integrazione officiosa dell’originaria richiesta”
proprio perché il credito … era fondato su prova scritta e non vi era
stata alcuna contestazione ad opera della controparte», ma la
questione in diritto attiene, innanzitutto, alle modalità di esposizione
del petitum e della causa petendi,

posto che la dimostrazione

processuale deve riferirsi ai fatti tempestivamente allegati con la
domanda introduttiva: in particolare, occorre chiarire se, per
individuare il quadro delle allegazioni rilevanti, è possibile far
riferimento anche ai documenti prodotti con l’atto introduttivo
(qualificati come «elementi specificanti» dall’odierna parte ricorrente)
oppure no.
Secondo alcune decisioni di legittimità, «la nullità dell’atto di
citazione per petitum omesso od assolutamente incerto, ai sensi
dell’art. 164, quarto comma, cod. proc. civ., postula una valutazione
caso per caso, dovendosi tener conto, a tal fine, del contenuto
complessivo dell’atto di citazione, dei documenti ad esso allegati,

8

nonché, in relazione allo scopo

,

requisito di consentire alla

controparte di apprestare adeguate e puntuali difese, della natura
dell’oggetto e delle relazioni in cui, con esso, si trovi la controparte»
(Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1681 del 29/01/2015, Rv. 634607-01;
Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17023 del 12/11/2003, Rv. 568105-01).

l’ammissibilità di allegazioni di fatto che rimandino per relationem alle
produzioni documentali.
Il diverso orientamento evidenzia che l’individuazione degli
elementi costitutivi della domanda nei documenti richiamati
pregiudicherebbe – quantomeno nel rito ordinario – le esigenze
difensive del convenuto, il quale deve poter approntare la sua difesa
immediatamente, senza attendere il successivo deposito dei
documenti allegati all’atto di citazione.
In ogni caso, la controparte sarebbe costretta a dover ricavare
l’allegazione mediante l’interpretazione dei documenti, il cui deposito,
però, soddisfa esigenze probatorie e non di integrazione della
domanda.
Costituiscono espressione di tale ultimo orientamento le pronunce
Cass., Sez. 1, Sentenza n. 29241 del 12/12/2008, Rv. 606057-01
(che, con riguardo ad una domanda di equo indennizzo ai sensi della
Legge n. 89 del 2001, ha così statuito: «La domanda … riguardando
un diritto di credito, … necessariamente eterodeterminato, richiede,
stante l’esigenza del convenuto di apprestare le proprie difese, la
puntuale osservanza dell’art. 164, comma quarto, cod. proc. civ., con
l’esatta individuazione del petitum e della causa petendi attraverso la
corretta ed esaustiva esposizione dei fatti, a tale scopo non potendosi
tenere conto della documentazione allegata dall’attore all’atto di
citazione, poiché la relativa produzione, a norma dell’art. 165 cod.
proc. civ., avviene successivamente, al momento della sua
costituzione con finalità meramente probatorie») e Cass., Sez. U,

9

Si rinvengono, poi, altre pronunce che escludono radicalmente

Sentenza n. 2435 dell’1/12/2008 («In termini opposti rispetto a
quanto invocato dalla ricorrente, infatti, deve ribadirsi – in
conformità, del resto, ad una giurisprudenza più che consolidata di
questa Corte regolatrice – che il giudice ha il potere-dovere di
esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la

scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue
pretese, derivandone altrimenti per la controparte la impossibilità di
controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle
risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (cfr. Cass.
16 agosto 1990, n. 8304). Poiché nel vigente ordinamento
processuale, caratterizzato dall’iniziativa della parte e dall’obbligo del
giudice di rendere la propria pronunzia nei limiti delle domande delle
parti, al giudice è inibito trarre dai documenti comunque esistenti in
atti determinate deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della
decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o comunque – sollecitate dalla parte interessata (cfr. Cass. 12 febbraio
1994, n. 1419; Cass. 7 febbraio 1995, n. 1385. Nel senso che perché
il giudice possa e debba esaminare documenti versati in atti lo stesso
deve accertare, oltre la ritualità della produzione, cioè verificare che
la produzione stessa sia avvenuta nel rispetto delle regole del
contraddittorio, anche la esistenza di una domanda, o di una
eccezione, espressamente basata su quei documenti, Cass. 22
novembre 2000, n. 15103, specie in motivazione).».
Inoltre – considerato che «l’onere di contestazione concerne le
sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i
documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di
eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’art. 214 c.p.c. o
di proporre – ove occorra – querela di falso» (Cass., Sez. 6-L,
Ordinanza n. 6606 del 06/04/2016, Rv. 639300-01; analogamente,
Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 21/06/2016, Rv. 640254-01:

10

parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri

«L’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i
documenti prodotti») – si deve necessariamente concludere che

le

affermazioni del diritto preteso devono essere specificamente
enunciate nell’atto, al quale le produzioni documentali
forniscono un mero supporto probatorio, senza assurgere a

Aderendo a quest’ultimo orientamento, si deve escludere in radice
che la mancata indicazione degli elementi costitutivi della domanda
genericamente formulata possa essere integrata da una sua
specificazione effettuata mediante uno dei documenti prodotti dalla
parte attrice.
Ad ogni buon conto, anche in una valutazione «caso per caso»
(come richiedono Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1681 del 29/01/2015,
Rv. 634607-01, e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17023 del 12/11/2003,
Rv. 568105-01), nella fattispecie in esame il generico rimando alla
«corrispondenza intercorsa» non è di per sé sufficiente a consentire
alla controparte di apprestare adeguate e puntuali difese: in
proposito, si osserva che l’odierna parte ricorrente non riporta con
precisione le espressioni impiegate per effettuare il rinvio alla
documentazione prodotta limitandosi il ricorso ad affermare che era
stata «richiamata tutta la corrispondenza intercorsa»; anche a voler
trascurare l’inosservanza del principio di autosufficienza, si evidenzia
che un generico richiamo dei documenti non può in alcun modo
svolgere una funzione integrativa del petitum e della causa

petendí

con l’effetto (inammissibile) di demandare alla

controparte (e anche al giudice) di scoprire, tra le varie
produzioni, quali sono quelle che l’attore ha pensato di porre a
fondamento della propria domanda (senza però esplicitarlo
nell’atto introduttivo).
Come già esposto con riguardo al primo motivo, il ricorso non dà
atto di successive emendationes libelli, né confuta l’affermazione della

11

funzione integrativa di una domanda carente di specificità.

Corte di merito secondo cui «nessuna integrazione era stata operata
dall’attore in corso di giudizio», limitandosi la parte ad asserire
apoditticamente che ciò è avvenuto ed è stato ritenuto sufficiente per
l’emissione di ordinanze di ingiunzione (circostanza che, come detto,
è ex se irrilevante).

pretesa non contestazione della sussistenza e dell’entità del credito
da parte del Ministero convenuto, nonché alla sua prova.
Oltre ad essere carenti per mancanza di autosufficienza del ricorso
(Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 12840 del 22/05/2017, Rv. 64438301, specifica quali sono gli oneri del ricorrente che deduca la
violazione del principio di non contestazione, non certo soddisfatti
dall’odierna parte ricorrente), le censure non colgono nel segno:
difatti, la Corte territoriale non ha affatto violato l’art. 115 cod. proc.
civ. ma ha ritenuto – correttamente – che la regola non possa
operare in presenza di generiche asserzioni di parte attrice (Cass.,
Sez. 3, Sentenza n. 21075 del 19/10/2016, Rv. 642939-01: «L’onere
di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con
l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del
tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e
dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne
consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del

thema

decidendum opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti
in causa, sicché, a fronte di una generica deduzione da parte del
ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere
altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri
probatori gravanti sulla controparte.»).
Quanto alle prove documentali offerte, di cui si denuncia un
omesso o erroneo esame, si osserva che l’errore di valutazione in cui
sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della

12

Le ulteriori censure contenute nel secondo motivo attengono alla

fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende
provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità.
In conclusione, per quanto esposto, il motivo è infondato.
5.

Con il terzo motivo Vincenzo, Maria Luisa e Marcello Mungo

lamentano violazione e falsa applicazione ex art. 360, n. 3, cod. proc.

d’appello considerato non provata la richiesta di aggiornamento dei
canoni di locazione nel corso del rapporto contrattuale, omettendo
così di esaminare i documenti (anche interruttivi della prescrizione)
prodotti.
6.

Nel respingere la domanda attorea, la sentenza impugnata ha

aderito alle statuizioni di questa stessa Sezione, secondo cui «la
richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore si pone
come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza
che il locatore stesso può pretendere il canone aggiornato solo dal
momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto
ad ottenere il pagamento degli arretrati, e ciò sia in caso di locazione
di immobili ad uso non abitativo, giusta disposto dell’art. 32 della
legge cosiddetto sull’equo canone, sia in caso di locazioni ad uso
abitativo, ex art. 24 stessa legge (v. Cass. n. 14673 del 2003)»
(Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11675 del 26/05/2014, Rv. 631068-01).
I ricorrenti lamentano un’erronea valutazione delle risultanze
istruttorie da parte della Corte territoriale, non essendo stato
considerato che il Ministero convenuto aveva regolarmente
corrisposto il canone aggiornato per un certo periodo (circostanza da
cui si sarebbe dovuta evincere la prova, quantomeno presuntiva,
della richiesta formulata nel corso del rapporto), né adeguatamente
esaminate le missive con cui tale domanda era stata rivolta al
conduttore.
Il motivo è inammissibile perché la parte ricorrente mira a un
riesame dei fatti di causa e delle risultanze probatorie già apprezzati

13

civ. dell’art. 32 della Legge n. 392 del 1978, per avere la Corte

dal giudice di merito e, così, a realizzare una surrettizia
trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito,
terzo grado di merito (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del
04/04/2017, Rv. 643690-01).
7.

Con il quarto motivo si denuncia, richiamando l’art. 360, n. 3,

con riguardo al rigetto della domanda di risarcimento dei danni
arrecati agli immobili locati; i ricorrenti affermano che era stato
pretermesso, dalla Corte di merito, l’esame delle prove documentali anche di quelle aventi natura confessoria – dalle quali poteva ritrarsi
la prova dell’an e del quantum del pregiudizio.
8.

Il motivo è inammissibile.

Nel rigettare l’appello, la Corte catanzarese rileva che «a fronte
della analitica ricostruzione operata dal Tribunale in punto di
qualificazione dei danni nel novero di quelli ricompresi nella ordinaria
alea gravante sulla parte proprietaria, nulla di specifico è stato
contestato».
La parte ricorrente avrebbe dovuto, quindi, dapprima riportare le
argomentazioni sul punto addotte dal giudice di primo grado (alle
quali la sentenza di appello fa riferimento) e, poi, dimostrare di aver
svolto con l’appello specifiche censure, non esaminate dal giudice del
gravame.
Al contrario, pure nel ricorso per cassazione i ricorrenti si limitano
ad affermare che «gli interventi minimi ritenuti necessari dal CTU per
il ripristino dello stato dei luoghi non sembrano pertanto rientrare
“nell’ordinario deterioramento connesso all’uso” come erroneamente
ritenuto dal Collegio di appello» senza svolgere un iter argomentativo
diretto a confutare la fondatezza giuridica della decisione.
L’unica deduzione a sostegno delle proprie censure è costituita da
una pretesa confessione della controparte sull’obbligazione
risarcitoria, asseritamente ignorata dal giudice di appello; in realtà,

14

cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1590, 2043 e 2735 cod. civ.,

quest’ultimo ha preso in esame la documentazione indicata dagli
appellanti e, con giudizio di merito sottratto al sindacato di
legittimità, ha ritenuto che «dalla lettura dei documenti [nel
prosieguo delta motivazione esaminati in dettaglio] non è dato
rilevare la sussistenza di specifici accordi – intervenuti tra le parti –

determinazione in tal senso veniva ad esser rimessa al competente
Dipartimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze».
9. In mancanza di attività difensive svolte dal Ministero intimato,
non si provvede alla liquidazione delle spese. Sussistono, invece, i
presupposti ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115

del 2002, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso

articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione
Civile, il 19 settembre 2017.

Il Presidente

(Maria Margherita Chiarini)

aventi ad oggetto eventuali obbligazioni risarcitorie», posto che «ogni

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