Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30215 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. I, 30/12/2011, (ud. 21/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.I. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SALARIA, 290, presso l’avvocato LIGI FRANCO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDETTI GIORGIO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.R.M.B. (C.F. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso

l’avvocato PARASCANDOLO SILVIA, rappresentata e difesa dall’avvocato

SCACCHETTI MARIA GRAZIA, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 847/2007 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 11/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/11/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GUIDETTI GIORGIO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato SCACCHETTI M. GRAZIA che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- Con sentenza non definitiva del 27 marzo 2007 il tribunale di Parma ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto il 15 settembre 1979 da P.I. e C.R.M.B., rimettendo poi la causa in istruttoria con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio sulle questioni accessorie.

Con sentenza depositata il 11/7/2007 la corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del tribunale rigettando l’appello proposto da P..

Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi contro la sentenza di appello. Ha resistito con controricorso l’intimata. Parte ricorrente ha depositato memoria nei termini di cui all’art. 378 c.p.c..

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 7, e formula il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “il mancato tentativo di conciliazione nel caso che il convenuto si oppone al divorzio e giustifichi la sua mancata comparizione produce nullità della procedura?”.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione indicando quale fatto controverso la giustificazione dell’assenza del convenuto in sede di udienza di comparizione.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 180, 183, 184 c.p.c. e della L. n. 263 del 2005 e relativo vizio di motivazione formulando il seguente quesito:

“nel caso di specie occorreva applicare la vecchia legge? E, in caso positivo, sono stati pregiudicati diritti di difesa della parte convenuta?” 3.- I primi due motivi – esaminabili congiuntamente -sono infondati.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, formatasi sul testo previgente della L. n. 898 del 1970, in tema di divorzio, il tentativo di conciliazione da parte del presidente del tribunale, pur configurandosi come un atto necessario per l’indagine sull’irreversibilità della frattura spirituale e materiale del rapporto tra i coniugi, non costituisce, tuttavia, un presupposto indefettibile del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; sicchè la mancata comparizione di una delle parti non comporta la fissazione obbligatoria di una nuova udienza presidenziale, la quale, invece, può essere omessa quando non se ne ravveda la necessità e l’opportunità, come quando – ancorchè l’impedimento a comparire sia giustificato e sia dipeso da ragioni di salute – risulti la volontà della parte non comparsa, costituitasi a mezzo di difensore, di conseguire la cessazione degli effetti civili del matrimonio, e quindi si appalesi l’inutilità del tentativo di conciliazione (Sez. 1, Sentenza n. 23070 del 16/11/2005).

D’altra parte, in tema di divorzio, una volta instaurato regolarmente il contraddittorio tra le parti, in caso di mancata comparizione di uno dei coniugi all’udienza presidenziale, spetta all’insindacabile discrezionalità del presidente valutare l’opportunità di provvedere alla fissazione di una nuova udienza per il tentativo di conciliazione, tenendo conto delle ragioni della mancata presentazione del ricorrente, e l’esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 8386 del 31/03/2008).

La Corte di merito ha correttamente applicato tali principi giurisprudenziali, non mancando di evidenziare che l’odierno ricorrente aveva preso l’appuntamento per una visita medica non urgente dopo avere ricevuto la notificazione del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione. Con congrua e logica motivazione, poi, la Corte di appello ha escluso la sussistenza di un impedimento assoluto a comparire, peraltro comunicato non tempestivamente ma solo all’udienza, e ha attribuito alla preferenza manifestata dal convenuto per la visita medica non urgente natura indiziaria circa il disinteresse nei confronti della procedura.

Quanto al terzo motivo, secondo la giurisprudenza di questa Corte il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

In altri termini, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Sez. 3, ordinanza n. 19769 del 17/07/2008) E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge perchè, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. U, Sentenza n. 26020 del 30/10/2008). Del tutto generico e, dunque, inammissibile, per converso, è il quesito conclusivo del terzo motivo. Non sussistono, infine, le condizioni per l’applicazione dell’art. 385 c.p.c., invocata da parte resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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