Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30209 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 22/11/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 22/11/2018), n.30209

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7527-2017 R.G. proposto da:

D.M.F., in giudizio di persona ex art. 82 c.p.c. e con il

ministero dell’avv. Massimiliano ROSSI, per procura speciale in

calce al ricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

legale del predetto difensore, sito in Roma, alla via Germanico, n.

12;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22206/2016 della Corte di cassazione,

depositata il 03/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/10/2018 dal Consigliere Luciotti Lucio.

Fatto

RILEVATO

che:

– l’avv. D.M. propone ricorso per revocazione, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, sulla base di un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe indicata, con cui questa Corte ha rigettato il ricorso proposto dal predetto contribuente avverso la sfavorevole sentenza di appello pronunciata nel giudizio di impugnazione di una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi dell’anno 2004 per mancato pagamento dell’IRAP dichiarata e non versata;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memoria, questa Corte nella camera di consiglio non partecipata del 26/02/2018 disponeva il rinvio della causa a nuovo ruolo per incompatibilità dei componenti del collegio che avevano composto quello che aveva pronunciato la sentenza impugnata per revocazione;

– sulla rinnovata proposta avanzata ex art. 380 bis c.p.c., risulta ritualmente costituito il contraddittorio all’esito del quale il ricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il ricorrente lamenta che nella sentenza impugnata per revocazione questa Corte, “in ordine alla ricorrenza dei presupposti impositivi dell’Irap” nei confronti di esso ricorrente, di professione avvocato, aveva erroneamente attribuito rilevanza alla “collaborazione fornita dai procuratori legali, ancorchè sotto le direttive del D.M.” ritenendo trattarsi “di “elemento suscettibile di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità necessarie” (S.U. n. 9451/2016 cit.), idoneo ad integrare un apporto significativo, concorrendo con quel che è il proprium della specifica professionalità” (sentenza, pag. 4);

– sostiene, in pratica, il ricorrente che sul motivo con cui aveva contestato che i “compensi a terzi per prestazioni” costituissero “elemento integrativo della fattispecie “autonoma organizzazione”” (terzo motivo di appello, a pag. 4 del ricorso, nonchè primo e secondo mezzo di cassazione) la CTR, prima, e questa Corte, poi, erano incorsi in errore per “il senso (…) erroneamente attribuito alle “direttive del D.M.”” e per “avere scambiato i “terzi”, esterni senza alcun vincolo funzionale (…), con il requisito dell’autonoma organizzazione di cui alla sentenza 9451/2016 delle Sezioni Unite di questa Corte come richiamata da Cass. 17341/2016″ (ricorso, pag. 10);

– il motivo è inammissibile;

– al riguardo, richiamando quanto affermato da Cass. n. 20635 del 2017, va ricordato che l’errore revocatorio, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronta tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi; in particolare questa Corte (Cass. n. 17443 del 2008) ha chiarito che “l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali”; Cass. n. 10466 del 2011 ha quindi precisato che “In tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perchè in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso”; deve, quindi, escludersi che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sè insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (Cass. 5221/2009), in quanto “la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare; non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione” (Cass. n. 14608 del 2007 e n. 20635 del 2017 cit.; v. anche Cass., Sez. U., n. 8984 del 2018 e n. 30994 del 2017, nonchè Cass. n. 9835 del 2012, n. 8615 del 2017, n. 440 e n. 3760 del 2018);

– nel caso di specie il ricorso si pone in insanabile contrasto con tali principi avendo il ricorrente censurato le valutazioni espresse da questa Corte in relazione ai motivi di ricorso per cassazione esaminati nella sentenza oggetto di revocazione, in ordine alla rilevanza, ai fini della sussistenza dei requisiti per la sottoposizione all’IRAP, della collaborazione fornita al contribuente dai procuratori legali di cui lo stesso si era avvalso nell’espletamento della sua attività professionale; deve infatti escludersi, diversamente da quanto sostiene il ricorrente (ricorso, pag. 8) che “la qualificazione da attribuire al procuratore legale volta a volta delegato” o “il senso (…) attribuito alle “direttive del D.M.”” costituiscano errore di percezione degli elementi emergenti dagli atti processuali, specie se si considera che su tali questioni la sentenza oggetto di revocazione ha preso specifica posizione, valutando come requisito di autonoma organizzazione sia l’elevata entità delle somme pagate dal professionista per prestazioni di terzi (per un importo di Euro 75.594,00 indicato nel quadro RE della dichiarazione reddituale), che “la collaborazione fornita dai procuratori legali, ancorchè sotto (e, quindi, a prescindere dalle) direttive del D.M.” (sentenza, par. 6);

– conclusivamente, poichè neppure le argomentazioni svolte nelle memorie depositate dal ricorrente, in cui si ribadisce quanto già affermato nel ricorso, convincono della bontà della tesi in esso sostenuta, deve dichiararsi il ricorso inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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