Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30205 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 22/11/2018, (ud. 23/10/2018, dep. 22/11/2018), n.30205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20242-2017 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANIELLO MUSTO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II DI NAPOLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2661/3/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 23/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2018 dal Consigliere Dott. GORI PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 2661/3/17 depositata in data 23 marzo 2017 la Commissione tributaria regionale della Campania (in seguito, la CTR), accoglieva parzialmente l’appello proposto da C.M. (in seguito, il contribuente) avverso la sentenza n. 2789/2/16 della Commissione tributaria provinciale di Napoli (in seguito, la CTP) che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2010;

– La CTR osservava, tra l’altro, che era infondata la pregiudiziale eccezione di invalidità dell’atto impositivo impugnato per violazione del principio del contraddittorio endo-procedimentale, non sussistendo un obbligo generalizzato in questo senso per l’Ente impositore e trattandosi di un accertamento c.d. “a tavolino”; che del pari infondata doveva considerarsi la pregiudiziale eccezione di invalidità dell’atto impositivo impugnato per difetto di sottoscrizione, essendo comunque la delega di firma richiamata nell’atto stesso pienamente valida; nel merito, che dovevano ridursi le pretese erariali, detraendosi dai maggiori imponibili accertati le spese vive sostenute dal professionista avvocato, in quanto comprovate e comunque non contestate;

– Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo quattro motivi;

– L’Agenzia fiscale è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo ed il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 35, – il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale, poichè la CTR ha negato la generalità del principio del contraddittorio endoprocedimentale e, quindi, ne deduce la sua violazione nel caso concreto; il contribuente censura anche il fatto che la CTR non ha considerato come dalla violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale derivasse la carenza della motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.

– Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono infondate. Va ribadito che: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Cass. Sez. Un. 9 dicembre 2015, n. 24823). Inoltre, “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endo-procedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”” (Cass. Sez. Un., ult. cit.);

– La sentenza impugnata è pienamente e consapevolmente conforme al principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale, pacifico che nel caso di specie si verta in un’ipotesi di accertamento “a tavolino”. Peraltro, il giudice tributario di appello ha implicitamente, anche operato la c.d. “prova di resistenza” in relazione all’IVA, rilevando che al contribuente sono state chiesti informazioni e chiarimenti, cui il contribuente medesimo non ha inteso dare riscontro;

– Il secondo motivo risulta comunque anche inammissibile per carenza di autosufficienza, non desumendosi dal ricorso se la censura costituisse motivo di impugnazione dell’avviso di accertamento inserito nel ricorso introduttivo della lite, e se poi tale censura sia stata riproposta con il gravame;

– Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio motivazionale, poichè la CTR ha rigettato l’eccezione relativa al difetto di sottoscrizione dell’atto impositivo, con particolare riguardo alla delega rilasciata al funzionario sottoscrittore;

Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 -, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla rideterminazione dei crediti erariali effettuata dalla CTR, con particolare riguardo allo scomputo dai maggiori imponibili accertati delle spese di produzione del reddito da lavoro autonomo;

– Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono inammissibili. Va ribadito che: “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110); inoltre, “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – da rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892);

– Orbene, la CTR si è chiaramente espressa sulla questione della regolarità della sottoscrizione dell’avviso di accertamento impugnato, con particolare e specifico riguardo alla prova e validità della delega conferito al funzionario sottoscrittore, così comunque assolvendo al “minimo costituzionale” del relativo obbligo motivazionale. Il giudice tributario di appello inoltre ha puntualmente argomentato relativamente alla questione delle spese per la produzione del reddito di lavoro autonomo del contribuente, nel merito effettuandone la rideterminazione del crediti erariali e perciò annullando in parte qua l’atto impositivo impugnato. Le censure in esame richiedono quindi a questa Corte una “revisione” di questi punti decisionali di merito che sicuramente non le è consentita;

In conclusione, il ricorso va rigettato. Al rigetto non segue il regolamento delle spese di lite, in assenza di costituzione in giudizio dell’Agenzia intimata, ma il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

La Corte da atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228 art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, testo unico spese di giustizia.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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