Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30202 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 22/11/2018, (ud. 23/10/2018, dep. 22/11/2018), n.30202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18204-2017 proposto da:

POLIMAR SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE XXI APRILE 15, presso lo

studio dell’avvocato ANTONELLA MINIERI che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 106/5/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata il 24/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2018 dal Consigliere Dott. GORI PIERPAOLO.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 106/5/17 depositata in data 24 gennaio 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio (in seguito, la CTR) respingeva l’appello proposto dalla Polimar srl (in seguito, la contribuente) avverso la sentenza n. 19828/1/15 della Commissione tributaria provinciale di Roma (in seguito, la CTP), la quale a sua volta aveva disatteso il ricorso della contribuente contro l’avviso di accertamento per II. DD. ed IVA 2008;

– La CTR osservava, in particolare, che la sentenza appellata meritava piena conferma, avendo correttamente ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sull’Ente impositore ed al contrario non assolto quello, di certezza/inerenza dei costi ai fini della deducibilità dalla base imponibile delle II.DD./detraibilità dell’IVA, gravante sulla contribuente;

– Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi;

– Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 4 – la ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi e controversi ed il vizio logico della motivazione della sentenza impugnata, poichè la CTR ha affermato il mancato assolvimento del suo onere di provare la certezza/inerenza dei costi, derivanti da un appalto commesso al sig. M.L.F., senza tener adeguatamente in conto, tra l’altro, della sentenza assolutoria intervenuta nel parallelo processo penale, per emissione/utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, nei confronti del legale rappresentante della medesima società contribuente e del M.;

– Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente denuncia il vizio motivazionale, in relazione alla valorizzazione degli sfavorevoli precedenti penali/fiscali del M., soggetto emittente le fatture in contestazione;

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5 – la ricorrente si duole della violazione di norme di diritto disciplinanti la detrazione (dei costi) e relativo onere probatorio e, ancora, l’omesso esame di fatti decisivi controversi, poichè la CTR ha mal valutato il contesto probatorio processuale, con particolare riguardo all’effettività oggettiva delle operazioni fatturate in contestazione;

– Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondate. Va innanzitutto ribadito che: “Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5 il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. 22 dicembre 2016 n. 26774);

– Inoltre, “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un., 3 novembre 2016 n.22232); infatti, “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053);

– A ciò si aggiunge, sul piano della valutazione delle prove, che “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – da rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. 10 giugno 2016 n. 11892); ciò comporta che “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. 7 aprile 2017 n.9097);

-“In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (Cass. 30 dicembre 2015 n. 26110);

– Orbene, in piena adesione ed applicazione di tali principi di diritto al caso di specie, si deve affermare innanzitutto che la deduzione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile, stante la preclusione di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, vertendosi in un’ipotesi evidente di “doppia conforme” pronuncia di merito e non avendo la società contribuente assolto all’onere processuale di cui al primo principio di diritto citato;

– In secondo luogo, il dedotto vizio motivazionale assoluto (motivazione apparente/illogica) è infondato, posto che il giudice tributario di appello ha sicuramente assolto al proprio obbligo di illustrazione delle ragioni della sua decisione, con particolare riguardo alla indeducibilità dei costi/indetraibilità dell’IVA relativi alle fatture emesse dal M.;

– In terzo luogo, il dedotto vizio di violazione di legge (secondo motivo), è inammissibile chiedendosi a questa Corte un tipo di sindacato che non le è consentito, rispetto ad un giudizio di merito che, rispetto all’essenza delle contestazioni dell’Agenzia, risulta essere puntuale in fatto e corretto in diritto. La CTR infatti ha, chiaramente, osservato che, ferma l’indeducibilità/indetraibilità IVA di costi non certi/non inerenti, ed altresì fermo che la prova di certezza/inerenza spetta al contribuente in conformità della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 9 maggio 2017 n. 11241), nel caso concreto, a causa della genericità della fattura in contestazione, l’assenza di prova delle prestazioni fatturate, le qualità soggettive dell’emittente (qualificato evasore totale e riscontratine i precedenti penali), non potevasi riconoscere come assolto detto onere probatorio da parte della società contribuente;

– Quanto poi alla pure dedotta, in tutte e tre le censure, mancata valutazione della sentenza penale assolutoria del M. e del legale rappresentante della società contribuente dai reati di emissione/utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, vanno al proposito ribaditi i consolidati principi di diritto secondo cui “Nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva” (Cass. 13 febbraio 2015 n. 2938) e che “In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (Cass, 23 maggio 2012 n. 8129);

– Infine, va anche considerato che, non potendo spiegare in ogni caso il giudicato assolutorio nel penale efficacia vincolante ai fini dell’accertamento in ambito fiscale l’omesso esame della sentenza assolutoria non potrebbe comunque mai integrare omesso esame di fatto decisivo per il giudizio secondo l’impugnazione proposta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tenuto anche conto del fatto che riguarda un soggetto diverso dal contribuente e che il ricorrente non individua in concreto alcun profilo di decisività;

– In conclusione, il ricorso va rigettato e al rigetto segue secondo soccombenza il regolamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, oltre che il raddoppio del contributo unificato;

– Non ricorrono i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. da responsabilità processuale aggravata chiesta dall’Amministrazione Finanziaria, per difetto dell’elemento soggettivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

rigetta l’istanza di condanna ex art.96 c.p.c.;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 4.100,00 oltre Spese prenotate a debito.

La Corte dà atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis testo unico spese di giustizia.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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