Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3020 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/02/2010, (ud. 04/11/2009, dep. 10/02/2010), n.3020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26901/2006 proposto da:

O.N., già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C.

MIRABELLO, presso lo studio dell’avvocato NATALE MICHELA,

rappresentata e difesa dall’avvocato FORTINO Giuseppe, giusta mandato

a margine del ricorso e da ultimo domiciliata d’ufficio presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

C.R.I.A.S. – CASSA REGIONALE PER IL CREDITO ALLE IMPRESE ARTIGIANE

SICILIANE, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MUSCARA’

Salvo, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 60/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 26/07/2006 R.G.N. 1624/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/11/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato MUSCARA’ SALVO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Catania, Nunzia Orifici esponeva di essere stata assunta con contratto di formazione e lavoro dalla Cassa Regionale per il Credito alle Imprese Artigiane Siciliane (C.R.I.A.S.) e, dopo la cessazione di tale rapporto, di essere stata nuovamente assunta dalla Cassa, questa volta con contratto di lavoro a tempo indeterminato; di essere stata iscritta già durante il primo rapporto di lavoro, al Fondo Pensioni C.R.I.A.S., istituito nel (OMISSIS), dal quale però era stata cancellata in base al provvedimento del Consiglio di amministrazione del 12 maggio 1997, emesso a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993 n. 124, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e della riforma del sistema pensionistico, provvedimento con cui era stato demandato al presidente del consiglio di amministrazione della Cassa di procedere alla costituzione di un nuovo fondo pensione per i dipendenti già assunti con contratto di formazione e lavoro.

Non avendo la datrice di lavoro a tanto provveduto, la ricorrente ne chiedeva la condanna ad adempiere all’impegno assunto, anche con l’eventuale conseguente declaratoria dell’obbligo di provvedere all’iscrizione di essa ricorrente ad un Fondo pensione complementare, da individuarsi fra quello costituiti da intermediati abilitati ai sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993; chiedeva inoltre la condanna della convenuta al risarcimento dei danni conseguenti al riferito inadempimento, quantificabili negli importi corrispondenti ai mancati versamenti sul fondo pensione e/o nella perdita di iscrizione al fondo medesimo, con decorrenza dalla data di assunzione alla concreta attuazione della tutela previdenziale complementare, oltre alle somme successive sino all’effettiva regolarizzazione contributiva, e agli interessi legali e rivalutazione monetaria.

Nella resistenza della Cassa, la domanda era rigettata dall’adito Tribunale con sentenza, poi confermata dalla Corte di appello della stessa sede con la pronuncia ora impugnata.

Nel disattendere l’impugnazione della lavoratrice, il giudice del gravame riteneva l’insussistenza dell’obbligo posto a fondamento delle pretese dedotte in giudizio, poichè la delibera richiamata integrava solo una dichiarazione d’intenti ed il presidente della Cassa non poteva, comunque, manifestare una volontà volta alla costituzione di un fondo pensione, che per la disciplina introdotta dalla L. n. 124 del 1993, era devoluta soltanto al contratto collettivo e ai regolamenti aziendali. Il predetto obbligo neppure poteva ritenersi fondato sul contratto individuale di assunzione, facendo questo riferimento al fondo complementare esistente all’epoca del contratto ed essendo la clausola, peraltro incompatibile con i principi ispiratori della nuova disciplina, modificata dalla delibera, adottata dal consiglio di amministrazione della Cassa, di cancellazione del fondo pensioni dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro; a tale cancellazione i dipendenti interessati avevano prestato adesione, riscuotendo le somme attribuite dall’azienda bancaria a titolo di restituzione degli importi accumulati in favore di ciascuno presso il fondo pensioni soppresso.

Aggiungeva infine il giudice del gravame che alcun obbligo in proposito era configurabile a termini dell’art. 35 del regolamento organico della Cassa – ove era stabilito “al trattamento di quiescenza la CRIAS provvede mediante apposito fondo pensione per il personale” – in quanto la tutela previdenziale complementare dei dipendenti di quella banca non poteva ritenersi all’epoca disciplinata dal regolamento organico, per la disciplina introdotta dalla citata normativa del 1993, operando il regolamento come fonte di previdenza integrativa, salvo che i rapporti di lavoro non fossero disciplinati da contratti o accordi collettivi anche aziendali, come nella specie in cui il rapporto di lavoro era regolato dal ccnl dell’Assicredito.

Per la cassazione della sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso, sulla base di due motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso, poi illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia, oltre a vizio di motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1372 cod. civ.. Critica la sentenza impugnata per avere qualificato la Delib. Consiglio Amministrazione della Cassa 12 maggio 1997 una mera dichiarazione d’intenti, senza alcuna rilevanza all’esterno, così tralasciando altre circostanze decisive, e precisamente le determinazioni in essa assunte, concernenti la cancellazione dei lavoratori dal fondo pensioni della CRIAS, la restituzione a costoro delle somme in precedenza trattenute, da valutare invece nel contesto della complessiva risoluzione adottata, che prevedeva anche la costituzione di un fondo di previdenza complementare. La sentenza impugnata non ha spiegato perchè solo alcune fra le determinazioni prese dal consiglio di amministrazione avevano valore vincolante per la Cassa, mentre per la costituzione del fondo si trattava di dichiarazione d’intenti, priva di efficacia obbligatoria. La Corte di merito ha inoltre erroneamente applicato i canoni legali in tema di interpretazione del contratto, ed ha omesso di considerare il comportamento dell’obbligato nella concreta attuazione degli impegni presi con la delibera.

Al termine dell’illustrazione del motivo e con riferimento alla censura ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, è enunciato il seguente quesito: “dare atto che la ponderazione complessiva del comportamento delle parti costituisce parametro necessario ai fini della interpretazione del rapporto obbligatorio e che nel desumere le obbligazioni derivanti dal negozio deve concedersi rilievo al comportamento delle parti obbligate nella attuazione degli impegni assunti”.

La censura concernente la violazione delle norme di diritto è inammissibile, per l’inidoneità del quesito formulato.

Questo fa riferimento al comportamento complessivo delle parti, il quale è però un criterio ermeneutico nella specie non utilizzabile, in considerazione della natura della delibera in esame, che è negozio giuridico unilaterale collegiale.

Come è noto, infatti, le norme sull’interpretazione dei contratti dettate dall’art. 1362 cod. civ., e segg., si applicano agli atti unilaterali con il limite della compatibilità, e non si può nei negozi unilaterali, ai fini dell’interpretazione, avere riguardo alla comune intenzione delle parti, che non esiste, ma deve indagarsi l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, senza che possa farsi ricorso, per determinarlo, alla valutazione del comportamento dei destinatari dell’atto stesso (v. fra le più recenti Cass. 20 gennaio 2009 n. 1387, Cass. 29 gennaio 2009 n. 2399, Cass. 24 giugno 2009 n. 14864).

Riguardo alla censura riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, se pure si può convenire sull’osservanza della prescrizione dettata dall’art. 366 bis citato codice, pur in mancanza di una sintesi del fatto controverso al termine della esposizione del motivo, in quanto il fatto controverso, ad avviso della ricorrente decisivo per il giudizio, appare delineato nel corso dell’esposizione del motivo, si deve rilevare sotto un diverso profilo l’inammissibilità della censura.

Invero, le doglianze si riferiscono, secondo quanto evidenziato da parte ricorrente, alla valutazione degli “effetti spiegati dalle determinazioni del consiglio di amministrazione, all’adesione prestata dalle parti rispetto alle statuizioni dell’organo collegiale, all’aspettativa ingenerata nei dipendenti” (v. pag. 5 del ricorso), e poi ancora alla cancellazione dei lavoratori dal fondo pensioni, accettata dai dipendenti interessati insieme con le somme a loro erogate come restituzione di quanto in precedenza da essi versato per gli accantonamenti in detto fondo, e alla esecuzione ad opera della Cassa delle medesime determinazioni, salvo che per la costituzione del fondo per i dipendenti in precedenza assunti con contratto di formazione lavoro.

Ma secondo quanto già innanzi evidenziato, criterio interpretativo del negozio unilaterale non è il comportamento dei soggetti nella cui sfera ha avuto effetto il negozio unilaterale nè quello posto in essere successivamente dal suo autore, dovendo invece l’interpretazione dell’atto unilaterale essere fondata sul suo contesto letterale, come appunto ha fatto la sentenza impugnata, e quindi detti comportamenti restano privi di decisività ai fini della risoluzione della questione dell’interpretazione della delibera, per la parte qui in esame.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1987 e 1988 cod. civ., nonchè vizio di motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, e lamenta che la Corte territoriale non ha tenuto conto dell’efficacia obbligatoria della promessa unilaterale, in cui a parere della ricorrente va inquadrata la richiamata delibera, relativamente al mandato attribuito al presidente della Cassa di procedere alla costituzione di un nuovo fondo pensioni per i dipendenti in precedenza assunti con contratto di formazione lavoro.

Anche questo motivo si conclude con un quesito che è così formulato: “dare atto che una manifestazione di volontà diretta ai dipendenti e portata a conoscenza degli stessi anche per fatti concludenti costituisce fonte di obbligazione per il datore di lavoro e, comunque, atto ricettizio di riconoscimento del debito”.

Neppure questo quesito di diritto risulta adeguato, in quanto si esaurisce in una enunciazione di carattere generale in ordine ad una imprecisata manifestazione di volontà diretta ai dipendenti, non riferibile alla fattispecie in esame, in cui si discute dell’interpretazione della delibera del consiglio di amministrazione, per la parte qui in contestazione rivolta al presidente della Cassa.

Inoltre, l’enunciazione contenuta nel quesito ha come presupposto un accertamento di fatto diverso da quello contenuto nella sentenza impugnata che, relativamente al mandato conferito al presidente della CRIAS, odierna resistente, ha affermato trattarsi di mera dichiarazione d’intenti, come tale non comportante assunzione dell’obbligo di una prestazione.

E’ questo un apprezzamento congruamente motivato dalla Corte di merito, la quale anzi ha rilevato, con statuizione non sottoposta a censura, come, in base alla disciplina innovativa introdotta dal citato D.Lgs. n. 124 del 1993, fonti istitutive delle forme di previdenza integrativa erano soltanto i contratti collettivi ed i regolamenti aziendali, con conseguente impossibilità per il presidente della Cassa di manifestare una volontà volta alla costituzione di un fondo pensioni per i dipendenti di quella azienda bancaria.

Del resto, va considerato che la ricognizione di debito, in cui ad avviso della ricorrente il giudice del merito avrebbe dovuto inquadrare la delibera in esame, non costituisce, così come pure la promessa di pagamento, fonte autonoma di obbligazione, ma spiega soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, ed anche quando è titolata, cioè contenente il riferimento al rapporto giuridico che sta alla sua base, produce il mero effetto dell’astrazione processuale dalla causa debendi, dispensando la parte che la invoca dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale che si presume fino a prova contraria, e deve essere, oltre che esistente, valido (v. Cass. 9 maggio 2007 n. 10574, Cass. 8 agosto 2007 n. 17423); la delibera in relazione al mandato al presidente della CRIAS per la costituzione del nuovo fondo pensioni non avrebbe dunque potuto avere effetto vincolante per la medesima Cassa, una volta che per la disciplina dettata dal citato D.Lgs. n. 124 del 1993, il nuovo fondo pensioni poteva essere istituito in base al contratto collettivo o al regolamento aziendale.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 31,00 per esborsi e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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