Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 302 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 302 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 17986-2012 proposto da:
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

I.N.P.S.
SOCIALE,

C.F.

80078750587,

in

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
rucwit4dkg, h
della S.C.C.I. S.P.A.
proprio e quale l man atari
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.
2013
3327

05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
dg-heiP Bcc.74 -RA14Centrale
presso
l’Avvocatura
DELLA FR ZZA
dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati
SGROI ANTONINO, D’ALOISIO CARLA, MARITATO LELIO,
giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 09/01/2014

– ricorrenti contro
CASSA RISPARMIO FERMO S.P.A. C.F. 001125404,48, in
persona del legale rappresentante pro tempore, già
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

PIETRO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato CARBONE LEONARDO, giusta delega in atti e
da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

controricorrente

avverso la sentenza n. 480/2011 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 07/07/2011 R.G.N. 908/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/11/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
CURZIO;
udito l’Avvocato DE ROSE EMANUELE per delega SGROI
ANTONINO;
uditi gli Avvocati EMILIANI SIMONE PIETRO e CARBONE
LEONARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

28 presso lo studio dell’avvocato EMILIANI SIMONE

Ragioni della decisione

L’INPS chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Ancona,

Tribunale di Ancona aveva accolto l’opposizione della Cassa di Risparmio di Fermo
alla cartella esattoriale 008-2000-00437462 notificata il 15 marzo 2001.
La cartella si basava su di un verbale ispettivo del marzo 1991 con il quale era stato
contestato alla Cassa di risparmio il mancato pagamento della contribuzione
previdenziale per quaranta dipendenti assunti con contratti di formazione lavoro, per
i quali, secondo l’INPS, non sarebbe stata svolta la necessaria attività formativa.
Il ricorso consta di un unico motivo.
La Cassa di risparmio si è difesa con controricorso ed ha depositato una memoria per
l’udienza.
Il motivo di ricorso è così rubricato: “violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del
decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito nella legge 19 dicembre 1984, n.
863. Vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.)”.
Nella esposizione del motivo, 13stituto ricorrente precisa che “la questione che la
Corte è chiamata a risolvere afferisce all’assolvimento o meno dell’obbligo formativo
da parte dell’Istituto di credito nei confronti trenta dei lavoratori assunti con contratto
di formazione lavoro”.
In sede di giudizio di legittimità l’istituto, quindi, restringe l’area della discussione a
trenta lavoratori, rispetto ai quaranta originari, così modificando la posizione tenuta
nei gradi di merito.
Ciò premesso il ricorrente riepiloga le motivazioni della sentenza di appello e
procede ad una ricostruzione del fatto sulla base della sua lettura degli atti e delle
Ricorso n. 17986.12
Udienza 20 novembre 2013

pubblicata il 7 luglio 2011 che ha respinto l’appello contro la decisione con la quale il

dichiarazioni testimoniali, in particolare soffermandosi su quelle dei testi Cocci,
Pietrucci, Iommi, Eustachi, Clementi, Marziali, Salucci, Ercoli e Gambacorta.
Assume quindi che la ricostruzione dei fatti emergenti da questa valutazione delle
prove contrasta con la valutazione della prova operata dalla Corte d’appello, che a

una delle deposizioni testimoniali (quella di Ercoli) rispetto alle altre di diverso segno
“senza spiegare il perché di questa scelta e ponendo nel nulla tutte le altre conformi
dichiarazioni”.
Il motivo è inammissibile perché pone una questione di valutazione della prova,
senza peraltro denunciare il vizio che il codice di rito prevede a tal fine e cioè la
violazione degli articoli di legge sulla valutazione della prova (art. 360, n. 4, in
relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.).
Infatti, il motivo è articolato come violazione di norme di diritto (individuate nella
disciplina del contratto di formazione lavoro) e come vizio di motivazione, indicato
in modo generico senza precisare (né in rubrica, né nella esposizione) e tanto meno
argomentare, quale tipo di vizio motivazionale sussisterebbe (omissione,
insufficienza o contraddittorietà) e perché.
Peraltro il percorso argomentativo della sentenza è estremamente lineare ed assolve
l’onere di specificazione delle ragioni della decisione.
La Corte di merito, infatti, in piena consonanza con la decisione di primo grado,
nonché con altre decisioni emesse dalla medesima Corte e dal medesimo Tribunale,
individuato nella violazione, o meno, degli obblighi di formazione il punto
controverso della causa, ha ricostruito la giurisprudenza di legittimità in ordine ai
possibili scostamenti tra obblighi di formazione previsti dal programma e concreta
gestione dello stesso.
Fissati i principi di diritto che regolano la materia in modo pienamente conforme alla
giurisprudenza di questa Corte, ha poi valutato i fatti accertati, spiegando perché la
Ricorso n. 17986.12
Udienza 20 novembre 2013
Pietro Curzio, este
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suo dire non avrebbe fatto un uso ragionevole dei poteri istruttori avendo privilegiato

semplice non coincidenza temporale della più brevi attività didattiche svolte non ha
inciso sull’idoneità della formazione , anche per le attività formative integrative
svolte mediante gli affidamenti a colleghi esperti (richiamando sul punto
testimonianze diverse da quella che a dire del ricorrente sarebbe stata posta ad

della ragioni per cui nella specie non assume rilievo negativo la circostanza che ai
corsi seguiti dai neo-assunti con contratti di formazione lavoro abbiano partecipato
anche lavoratori già in servizio.
L’insieme della motivazione fornita dalla Corte d’appello è articolata e coerente,
mentre le diverse valutazioni prospettate dall’istituto ricorrente si collocano al di là
dell’ambito del giudizio di legittimità.
Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della parte che perde
il giudizio e vengono liquidate secondo i parametri previsti dal D.M. Giustizia, 20
luglio 2012, n. 140 (cfr. Cass. Sez. un. 17405 e 17406 del 2012).

PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento alla
controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 10.125,00
(diecimilacentoventicinque) euro per compensi professionali, più 100,00 (cento) euro
per spese borsuali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 novembre 2013.

esclusivo fondamento della decisione). Ha inoltre fornito una congrua spiegazione

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