Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30197 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. I, 20/11/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 20/11/2019), n.30197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2159/2015 proposto da:

COMUNE DI MOTTA VISCONTI, in persona del Sindaco in carica

elettivamente domiciliato in Roma, via Prevesa, 11 presso lo studio

dell’avvocato Antonio Sigillò che lo rappresenta e difende in

unione all’avvocato Alberto Fossati per procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.P., S.A.N., S.G.,

S.M.A. e S.A.C. elettivamente domiciliati in Roma, Via

Cosseria, 2 presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Placidi e

rappresentati e difesi dall’avvocato Roberto Ollari giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza n. 3723/2014 della Corte di appello di Milano

pubblicata il 22/10/2014;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 27/09/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, con l’ordinanza in epigrafe indicata, decidendo sull’opposizione proposta D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 29 da S.P., S.A.N., S.G., S.M.A. e S.A.C. avverso la stima arbitrale D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 21 dell’indennità definitiva di esproprio, determinata in Euro 69.300,00, dei terreni in loro proprietà, siti nel Comune di Motta Visconti (Mi) ed in catasto al f. (OMISSIS), ne ha accertato la legittimità nella misura di complessivi Euro 194.480,00, di cui Euro 108.000,00 per il valore venale del bene ed Euro 68.800,00 per indennità di esproprio parziale oltre maggiorazione del 10% prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2 ritenuta l’originaria destinazione dell’area di riferimento, secondo previsioni del Piano di Fabbricazione del 1976, a “zona C1 residenziale di completamento”.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicata ordinanza il Comune di Motta Visconti con sette motivi a cui resistono con controricorso gli intimati. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’erronea pronuncia sulla determinazione dell’indennità di esproprio per violazione del giudicato su questione pregiudiziale di carattere tecnico-giuridico (D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 3 e art. 40 in relazione all’art. 324 c.p.c.).

Il Comune aveva eccepito dinanzi alla Corte di appello l’inammissibilità delle domande proposte perchè relative a questioni su cui si era formato il giudicato in forza della sentenza n. 30/2009 della Corte di appello di Milano che aveva statuito sulla natura non edificabile dell’area, sulla insussistenza di un’espropriazione parziale e quindi sulla infondatezza della pretesa degli opponenti di riconoscimento di danno indiretto.

Solo erroneamente la Corte di merito con l’impugnata ordinanza aveva ritenuto che la deduzione dell’ente comunale avesse riguardo ad un giudicato formatosi sul criterio di stima da applicare al caso concreto.

Il giudicato era stato dedotto invece quanto alla questione della natura edificabile dell’area che doveva ritenersi il presupposto, come tale, non solo dell’accertamento e della quantificazione del diritto all’indennità da reiterazione del vincolo richiesta nel precedente giudizio, in cui ogni possibilità di iniziativa edificatoria sui terreni era stata negata, ma anche, nell’ambito del distinto e nuovo giudizio, della stessa domanda dell’indennità di esproprio quivi coltivata.

Per l’effetto la Corte territoriale aveva falsamente applicato il D.P.R. n. 327 cit., artt. 37 e 40 sulla determinazione della natura edificabile e sul criterio di quantificazione per le aree non edificabili.

2. Con il secondo motivo si fa valere la nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4 dell’ordinanza impugnata per non aver pronunciato in corrispondenza delle domande e delle eccezioni in violazione dell’art. 112 c.p.c. e per omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5 di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Travisando la questione di fatto e ritenendo che il giudicato non si formi sulle sentenze che pronunciano sul criterio di stima, la Corte avrebbe altresì omesso di pronunciare sull’eccezione svolta e trascurato del tutto l’esame del fatto decisivo per il giudizio integrato dalla natura non edificabilità dell’area come definitivamente accertata tra le parti.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 3 e art. 9, comma 3.

La Corte di appello in adesione alle conclusioni del c.t.u. nominato aveva ritenuto che corretta fosse stata la stima del nominato tecnico che aveva preso a riferimento al momento del decreto di esproprio la situazione di fatto antecedente l’imposizione del primo vincolo preordinato all’esproprio e disposto il 29.4.1994 e, quindi, quella stabilita dal programma di fabbricazione del 1976 che identificava detti terreni come area residenziale di completamento a natura edificatoria.

La giurisprudenza di legittimità citata nell’impugnata ordinanza ove correttamente intesa avrebbe invece affermato che per le aree sprovviste di destinazione urbanistica per l’avvenuta decadenza del vincolo di inedificabilità per decorrenza del termine previsto dalla L. n. 1187 del 1968, art. 2 non rivive la condizione urbanistica preesistente.

I terreni degli attori classificati nel programma di fabbricazione del 1976 come zona C1-residenziale di completamento successivamente erano stati classificati dal PRG del 29.4.1994 come area “destinata a parcheggio” e trascorsi cinque anni senza che il Comune avesse provveduto a nessuna iniziativa, il vincolo era decaduto D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 9, comma 3, e l’area dal 29.4.99 era divenuta “area bianca”, priva di disciplina urbanistica e tale era la sua condizione quando nel 2006 era stata adottata la variante al PRG che reiterava il vincolo a parcheggio.

Il vincolo preordinato all’esproprio, reiterato nel tempo, aveva inserito il terreno in un’area di interesse pubblico. Nell’avvicendarsi delle destinazioni nel corso del tempo, da residenziale nel 1976, a parcheggio nel 1994, a “bianca” nel 1999 e di nuovo a parcheggio nel 2006, non poteva ritenersi che l’area avesse mantenuto la natura edificabile.

Quanto alle possibilità legali di edificazione la Corte aveva fatto riferimento ad una fonte che attribuiva una destinazione non più valutabile ed aveva violato l’art. 9, comma 3 D.P.R. cit., non considerando che dopo la decadenza del vincolo nel centro abitato sono ammessi solo interventi conservativi sui fabbricati esistenti.

La motivazione sarebbe stata altresì contraddittoria poichè richiamava la giurisprudenza che sulle “aree bianche” stabilisce che non rivive la condizione preesistente per poi fare applicazione di quest’ultima ai fini della indennità di esproprio.

4. Con il quarto motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 in relazione all’art. 324 c.p.c.

Anche la statuizione sul danno indiretto della Corte di appello si sarebbe posta in contrasto con il giudicato formatosi sulla sentenza n. 30/09 che aveva deciso sulle identiche questioni pregiudiziali.

La Corte di appello di Milano con la precedente sentenza aveva escluso il danno indiretto per insussistenza dell’intimo collegamento tra l’area espropriata e quella residua, tale da conferire all’intero immobile una unità economico-funzionale.

5. Con il quinto motivo si denuncia dai ricorrenti la nullità dell’ordinanza ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. e per non aver pronunciato su fatto decisivo per la decisione nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il tutto in relazione all’indennizzo indiretto ed alle eccezioni svolte dalla difesa del Comune.

6. Con il sesto motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 sulla determinazione dell’indennizzo per danno indiretto; tra gli immobili da edificare sulle aree ablate e le residue non vi sarebbe stato un collegamento tale da integrare il vincolo strumentale ed obiettivo.

7. Con il settimo si denuncia l’erroneità dell’impugnato provvedimento nella parte in cui aveva ritenuto l’inammissibilità della domanda riconvenzionale formulata dal Comune con violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29 e dell’art. 356 c.p.c. e l’erronea pronuncia sulla ritenuta esistenza dei requisiti dell’edificabilità di fatto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 3, all’art. 9, comma 3, al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9 ed all’art. 324 c.p.c.).

Il giudizio di opposizione è giudizio di accertamento pieno ed il carattere vincolante della stima amministrativa viene meno sia per l’opponente che per l’opposto e la Corte avrebbe errato, in violazione anche dell’art. 36 c.p.c., nel ritenere inammissibile la riconvenzionale del Comune perchè estranea all’oggetto del giudizio.

La natura non edificabile dell’area espropriata era stata esclusa dalla sentenza passata in giudicato che rilevando come i terreni ablati fossero posti nel centro abitato, dove erano possibili solo interventi di manutenzione e restauro, nella insussistenza di fabbricati aveva escluso l’edificabilità nei segnati termini.

8. Il primo motivo è infondato.

Resta fermo in via principale il rilievo che il giudicato esterno può dirsi formato là dove nei rapporti tra un precedente accertamento e quello su cui il giudice del merito sia chiamato a pronunciare si registri identità di domande per gli elementi di struttura integrati da causa petendi e petitum.

Affinchè il giudicato sostanziale formatosi in un giudizio operi all’interno di altro instaurato successivamente, è necessario che tra la precedente causa e quella in atto vi sia, oltre che identità di parti e di “petitum”, anche di “causa petendi”, ai fini della cui individuazione rilevano non tanto le ragioni giuridiche enunciate dalla parte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l’insieme delle circostanze di fatto che la parte stessa pone a base della propria richiesta, essendo compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa (Cass. 25/06/2018 n. 16688; vd. anche: Cass. 24/03/2014 n. 6830; Cass. 27/01/2006 n. 1760).

Tra un giudizio diretto all’accertamento dell’indennità da reiterazione del vincolo da esproprio e del danno indiretto da esproprio parziale e quello finalizzato all’accertamento della giusta indennità di esproprio ex art. 42 Cost. ed al correlato danno sull’esproprio parziale non vi è identità di causa petendi e di petitum e tanto vale ad escludere che il primo accertamento possa produrre i suoi effetti quale giudicato con rilievo esterno sul secondo ancora pendente.

Il presente giudizio, come ritenuto dalla Corte di appello di Milano, non è pertanto condizionato quanto alla sua stessa proponibilità dal diverso giudicato formatosi sulla sentenza n. 30 del 2009 della medesima Corte di merito.

Ciò posto, rileva ancora questa Corte di legittimità.

La qualità edificatoria di un’area non è una connotazione indelebile ed immutabile, destinata a protrarsi in modo indefinito nel tempo, ma è una caratteristica condizionata alla situazione dei luoghi, specie quando l’area si trovi inclusa in un insediamento urbano. I mutamenti della situazione dei luoghi, come sono rilevanti agli effetti dell’acquisto del carattere edificatorio di un suolo, così incidono sulla conservazione dello stesso carattere, nel senso di limitarlo ed anche di escluderlo (in termini, già Cass. 21/06/1974 n. 1828).

All’indicato principio, destinato a dare conto della natura dell’accertamento in punto di edificabilità di un’area, si accompagna il rilievo che nella complessa fattispecie dell’indennità espropriativa non è possibile separare profili di fatto e di diritto là dove, come questa Corte di legittimità ha avuto altre volte occasione di chiarire, il giudicato sulla determinazione dell’indennità di occupazione non si estende alle singole circostanze di fatto o ai relativi accertamenti che hanno condotto alla liquidazione della somma da depositare (cfr. Cass. 20 giugno 2008 n. 16816; in termini par. 6.1. SU 03/11/2011 n. 22728).

Come ancora rilevato nella giurisprudenza di legittimità non è concepibile la formazione di un giudicato autonomo, come accade per la pronunzia sulla legge applicabile al rapporto controverso, nè, ancora, l’acquiescenza allo stesso, quando il ricorrente sollevi questioni sulla legge applicabile ed anche quando contesti la quantificazione in concreto dell’indennità di esproprio in relazione al profilo della congruità del prezzo di mercato attribuito all’immobile espropriato e quindi quando la censura investa soltanto la qualità edificatoria/agricola del terreno.

Il bene della vita alla cui attribuzione tende l’opponente alla stima è l’indennità liquidata nella misura di legge e non l’indicato criterio legale, non potendosi d’altra parte considerarsi “nuova” la relativa questione, atteso che il giudice, nella ricerca dei criteri legali, non incontra, nei limiti della domanda, alcun vincolo derivante dalle deduzioni delle parti e che, ancora, nella complessa fattispecie dell’indennità espropriativa non è possibile separare i profili di fatto da quelli di diritto (Cass. n. 23866 del 2014 in motivazione, che richiama: Cass., Sez. un., 23 luglio 2013, n. 17868; Cass., 8 maggio 2012, n. 8442; Cass., 17 ottobre 2011, n. 21386).

La Corte di appello si è attenuta agli indicati principi non esponendosi alle censure portate in ricorso che sono come tali infondate.

9. L’esclusione della dedotta violazione del giudicato assorbe nella sua valenza il secondo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo sull’omessa pronuncia o violazione della regola di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in punto di non edificabilità dell’area espropriata come accertata nel distinto e precedente giudizio, avendo la Corte territoriale scrutinato e disatteso la premessa aderendo alla tesi contraria a quella propugnata: si tratta invero di mere argomentazioni disattese lungo il percorso della motivazione osservato e non di omesse pronunce ai sensi dell’art. 112 c.p.c. o ancora di omissioni rilevati in punto di motivazione.

10. Anche il settimo motivo è assorbito nel rilievo che attraverso la riconvenzionale, come indicato in ricorso (p. 28), la parte ripropone le ragioni sulla bontà della stima operata nella sentenza della Corte di appello n. 30/09, apprezzamento che avrebbe dovuto determinare, secondo la riconvenzionale proposta, la terna arbitrale ex art. 21 a quantificare in minore misura l’indennità di esproprio.

11. Quanto al tema introdotto dal terzo motivo sulla edificabilità delle aree bianche e la liquidazione della indennità esproprio, vale il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità per il quale, l’avvenuta decadenza del vincolo preordinato all’esproprio rende l’area (e non la zona) priva di regolamentazione urbanistica, sicchè, in tale ipotesi, non è consentito farne rivivere la condizione preesistente, ma opera la disciplina prevista per le cd. aree bianche di cui alla L. n. 10 del 1977, art. 4, u.c., la quale, peraltro, non comporta un automatico riconoscimento della natura edificabile dell’area occupata, dovendo essere apprezzata la ricorrenza di tale carattere in base al criterio dell’edificabilità di fatto, che impone un metodo di valutazione incentrato sulla verifica della funzionalità dell’area in termini di naturale ed armonico completamento di quelle, ad essa contigue, che siano destinate all’edificazione in base alle scelte legislative ed a quelle pianificatorie dei comuni (Cass. 14/06/2016 n. 12268; Cass. 30/04/2014 n. 9488).

Ed infatti ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione delle aree prive di pianificazione urbanistica, la stima non può risolversi in un mero esercizio qualificatorio dell’astratta natura dell’area, ma deve corrispondere all’effettivo valore di mercato di questa secondo le sue caratteristiche concrete espresse in termini monetari, desunte da taluni fatti-indice obiettivi quali, tra gli altri, la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio raggiunto dalle zone adiacenti, l’esistenza di servizi pubblici essenziali, la presenza di opere di urbanizzazione primaria, il collegamento con i centri urbani già organizzati, sicchè, in detta situazione, trova applicazione il criterio suppletivo in carenza di strumenti urbanistici e complementare agli effetti della determinazione del concreto valore dell’area dell’edificabilità di fatto, dovendo darsi rilievo all’attività edilizia legittimamente realizzabile in assenza di pianificazione urbanistica, a quella libera ed a quella consentita previo rilascio del permesso di costruire (Cass. 15/04/2019 n. 10502).

La Corte di appello nella individuazione della situazione di fatto antecedente l’imposizione del primo vincolo preordinato all’esproprio del 29.04.1994 ha ragionato in applicazione delle previsioni del Programma di Fabbricazione del 1976 muovendo dai principi sopra indicati (p. 6 ordinanza) ritenendo quindi congruamente la identificazione dei terreni oggetto di giudizio nell’area residenziale di completamento con natura edificatoria (C1).

12. Il ricorso conclusivamente infondato va rigettato ed il ricorrente condannato a rifondere a S.P., S.A.N., S.G., S.M.A. e S.A.C. le spese di lite che liquida in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a S.P., S.A.N., S.G., S.M.A. e S.A.C. le spese di lite che liquida in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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