Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30196 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 22/11/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 22/11/2018), n.30196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CORRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18643-2017 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FUMO ARTONI;

– ricorrente –

contro

G.G., in persona del suo procuratore generale

GE.MA.GI., C.L.E., elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dagli avvocati MAURO LANI, ALESSANDRO GRIGOLETTO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1695/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO

depositata il 20/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. CORRENTI VINCENZO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

P.C. propone ricorso per cassazione contro G.G. e C.L.E., che resistono con controricorso, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 20.4.2017, che ha respinto l’appello a sentenza del Tribunale di Varese che aveva rigettato la sua domanda di acquisto per usucapione ed accolto la riconvenzionale dei convenuti di condanna al rilascio quale occupante senza titolo a seguito di divisione.

La Corte di appello ha condiviso le valutazioni del primo giudice rilevando l’adesione alla domanda di divisione e l’implicito riconoscimento per comportamento concludente della comproprietà (Cass. 10.3.2015 n. 4730).

La ricorrente denunzia 1) violazione degli artt. 1165 e 2943 c.c.; 2) omesso esame di fatto decisivo per avere la Corte di appello affermato che nel giudizio di divisione non era stata fatta valere alcuna eccezione di usucapione; 3) omesso esame di fatto decisivo perchè la sentenza ha affermato che il possesso della quota ereditaria avrebbe patito l’interruzione per effetto del riconoscimento della comproprietà; 4) omesso esame di fatto decisivo sulla asserita adesione alla domanda di divisione; 5) violazione degli artt. 1065,1164,1165 c.c..

Come proposto dal relatore il ricorso è manifestamente infondato trattandosi di valutazione delle prove in tema di usucapione.

Il collegio condivide la richiesta.

Le censure, generiche e promiscue, ripropongono questioni già oggetto di esame sulle quali la sentenza ha dato sufficiente risposta ed invocano una rivalutazione del materiale probatorio inammissibile in questa sede.

Per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n. 11000, Cass. n. 18392/2006, Cass. n. 362/2017), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. N. 25498/2014, Cass. n. 10894/2013, Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).

Non è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione, ove, come nel caso, sia congruamente logica e giuridicamente corretta (Cass. n. 356/2017).

Il sindacato di legittimità sulla motivazione presuppone una violazione dell’art. 132 c.p.c., ipotesi rinvenibile quando la sentenza è del tutto priva di motivazione, non consente di individuare l’iter logico seguito nella decisione, con evidente violazione delle norme sui requisiti minimi della decisione.

La domanda di usucapione è stata correttamente respinta per la mancata prova degli elementi necessari al suo accoglimento ed il ricorso non offre elementi per la riforma della sentenza.

In particolare, rispetto ai motivi proposti va osservato che il primo ed il quinto sono generici ed assertivi.

Quanto ai rimanenti, ai sensi dell’art. 360, n. 5, come riformulato al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, del conv. in L. n. 134 del 2012, è inammissibile il motivo di ricorso per l’omesso esame di fatto decisivo ove il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione.

Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5 deve essere interpretato, alla luce dei canoni di cui all’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione con riferimento alla mancanza assoluta dei motivi, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, alla motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di motivazione (Cass. 14324/15, S.U.8053/14).

Non vi è omesso esame, per cui le censure sono inammissibili (Cass. 8053/2014).

Vanno condivise le argomentazioni dei contro-ricorrenti sulla mancata prova dell’usucapione ed è consolidato il principio che il coerede può usucapire senza interversione solo prima della divisione (Cass. 4.5.2018 n. 10734).

Donde il rigetto del ricorso con condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese liquidate in euro 3700 di cui 200 per esborsi, oltre accessori, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex dpr 115/2002 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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