Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30196 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. I, 20/11/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 20/11/2019), n.30196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22644/2014 proposto da:

P.G., P.M.G., P.L.,

PR.Le., P.E. elettivamente domiciliati in Roma, via

Mecenate, 27 presso lo studio dell’avvocato Andreina Di Torrice e

rappresentati e difesi dall’avvocato Gaetano Fatato per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI MESSINA, in persona del Sindaco in carica elettivamente

domiciliato in Roma, Via Sardegna, 50 presso lo studio dell’avvocato

Alessandro Ricci e rappresentato e difeso dall’avvocato Renato Caudo

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e nei confronti di:

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI MESSINA, (PREFETTURA DI MESSINA)

in persona del Prefetto p.t. elettivamente domiciliato ex lege in

Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso gli uffici dell’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

e

I.C.O.M. – Impresa Costruzioni M. S.r.l., in persona del legale

rappresentante p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 94/2013 della Corte di appello di Messina

pubblicata il 26/06/2013;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 27/09/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Messina, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato la domanda di accertamento della giusta indennità di esproprio proposta da P.G., P.M.G., P.L., PR.Le., P.E., per le aree edificabili in loro proprietà ricadenti nel comparto secondo dell’isolato (OMISSIS) del P.R.G. della città di Messina (mapp.le (OMISSIS)), dedotte dai primi come individuate da atti pubblici notarili e denunce di successione, ritenendo non raggiunta prova “esaustiva” della effettiva titolarità in capo agli attori della titolarità di un’area edificabile corrispondente ad un appartamento ricadente nella particella (OMISSIS), avente la superficie di mq. 212 posto al secondo piano di un fabbricato sito in (OMISSIS), non più esistente perchè distrutto dal sisma del 1908, e dai primi indicato come ricompreso in un immobile inserito nel comparto oggetto di procedura ablativa giusta decreto prefettizio del 14.02.2002.

La Corte di merito aveva ritenuto che nell’elenco dei proprietari degli immobili ricadenti nel mappale (OMISSIS) da espropriare, redatto dall’ufficio speciale degli espropri e risalente al giugno 1914, in cui avrebbe dovuto essere ricompreso, al secondo piano, l’appartamento degli attori, non erano menzionati i danti causa degli istanti, come verificato dal nominato c.t.u.

Dal verbale sullo stato di consistenza del bene risalente al 1914 non erano poi indicati nè i danti causa degli attori nè un secondo piano dell’edificio oggetto di esproprio, che risultava peraltro solo danneggiato ma non distrutto dal sisma, diversamente da quanto indicato in uno degli atti notarili allegato dagli attori. Tanto avveniva anche relativamente ai contenuti del rapporto del Genio Civile del 1923, dell’atto ricognitivo del Prefetto del gennaio 1950 e degli atti del catasto.

Nessuna certezza di corrispondenza quindi vi era tra l’immobile descritto dagli istanti come di loro proprietà e quello oggetto di procedura ablatoria.

2. Ricorrono per la cassazione dell’indicata sentenza P.G., P.M.G., P.L., PR.Le., P.E. con tre motivi cui esiste con controricorso il Comune di Messina.

L’Avvocatura Generale dello Stato per l’Ufficio territoriale del Governo di Messina ha formato un “Atto di costituzione” al dichiarato fine di partecipare “all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la nullità dell’impugnata sentenza per violazione di norme sostanziali e processuali integrative della regola del giusto processo sub specie del rispetto del contraddittorio e per contraddittorietà della motivazione tale da risultare inesistente o meramente apparente (artt. 111 Cost.; artt. 101,194 e 156 c.p.c.; art. 132 c.p.c. e art. 90 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4).

Il nominato c.t.u. aveva provveduto a depositare la propria relazione senza dare comunicazione alle parti circa le nuove acquisizioni documentali compiute ed i risultati delle nuove indagini nonostante il Presidente della Corte di appello avesse previsto, nel formulato quesito, che il nominato tecnico, dopo l’acquisizione da parte dei uffici pubblici di nuova documentazione, dovesse “sottoporre alle parti il risultato della sua ricerca prima di procedere alla stesura della relazione”.

Il nominato consulente di ufficio inoltre aveva depositato, pur non richiesto, una relazione integrativa in cui argomentava circa la “non cogenza” della condotta omessa, concludendo nel senso che la documentazione suppletiva nulla avrebbe aggiunto nella definizione della causa.

Di contro a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, il nominato tecnico aveva tenuto conto delle indagini e dei documenti da lui direttamente acquisiti presso il catasto nonchè della documentazione fotografica da lui formata e di quella integrativa prodotta da una delle parti, la ICOM.

All’esito il c.t.u. aveva escluso l’esistenza del secondo piano dell’edificio su cui insisteva la proprietà degli attori e tanto pur a fronte dell’inequivocabile, e contrario, contenuto degli atti pubblici, che quali titoli della proprietà erano stati prodotti dagli attori.

Per siffatto modus procedendi gli attori non sarebbero stati posti in condizione di esaminare la documentazione e di interloquire sulla stessa, la consulenza sarebbe stata nulla e da rinnovarsi o comunque non avrebbe dovuto tener conto dei documenti acquisiti e delle indagini svolte invece valutati dalla Corte territoriale che aveva rigettato l’eccezione di nullità rendendo per siffatto passaggio nulla la sentenza per invincibile contraddittorietà della motivazione.

2. Con il secondo motivo si denuncia di nullità la sentenza impugnata (art. 111 Cost.; art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) per avere recepito in pieno, e senza alcuna aggiunta o esclusione, le conclusioni del c.t.u..

I giudici di appello sarebbero incorsi nel vizio di omessa motivazione o di motivazione apparente per non aver risposto ai puntuali rilievi mossi dalla parte alla relazione tecnica di ufficio sulla individuazione dei danti causa degli attori e dell’immobile per cui era domanda.

3. Con il terzo motivo si fa valere la violazione dell’art. 115 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte di merito avrebbe omesso di valutare gli atti di compravendita prodotti dagli attori anche per dimostrare la consistenza delle altre unità immobiliari ricomprese nel comparto su cui insisteva la loro proprietà e di cui pure le parti avevano discusso e tanto in violazione della regola che vuole che il giudice decida iuxta alligata et probata.

4. Il Comune di Messina ha fatto valere l’intervenuta formazione del giudicato interno e quindi l’insussistenza della violazione dedotta a sostegno del primo motivo.

Avendo la Corte di merito rigettato l’eccezione di nullità ivi proposta dalla difesa degli attori nel rilievo che la violazione del contraddittorio non fosse stata definita per puntuale richiamo agli atti – solo genericamente richiamati e rispetto ai quali gli attori si assumevano lesi – e non essendo stata siffatta ragione oggetto di ricorso in cassazione, sulla stessa si sarebbe formato il giudicato interno.

In ogni caso, correttamente, la Corte di merito aveva ritenuto che la c.t.u. avesse fondato le sue conclusioni sui documenti degli attori.

Nel resto i motivi proposti avrebbero introdotto inammissibili censure di merito.

Sui motivi di ricorso.

5. Il primo motivo di ricorso si presta ad una valutazione di infondatezza alla quale non sono estranei, anche, profili di inammissibilità.

5.1. La Corte di appello, a mezzo dell’impugnata sentenza, ha invero escluso la nullità della c.t.u. per violazione del principio del contraddittorio in difetto di una concreta lesione che non è stata rinvenuta in ragione della genericità della denuncia con cui gli attori hanno contestato, in quella sede, l’acquisizione e l’utilizzazione di “tutta” la documentazione prodotta da una delle parti, da parte del consulente di ufficio che sulla prima avrebbe fondato le raggiunte conclusioni.

In ordine a tali contenuti i ricorrenti, con critica che manca per ciò stesso di specificità ed autosufficienza, non allegano puntualmente di avere fatto valere, di contro alle affermazioni sul carattere generico della censura contenute nell’impugnata sentenza, dinnanzi ai giudici di merito una contestazione puntuale delle acquisizioni documentali operate dal c.t.u.

Nè delle contestate acquisizioni documentali i ricorrenti allegano l’autonomia e novità dell’acquisizione dinanzi alla Corte di merito a fronte della valutazione da quest’ultima espressa che la c.t.u. aveva fondato le raggiunte conclusioni proprio, ed invece, sulla documentazione prodotta dagli attori.

5.2. I successivi passaggi della motivazione con cui la Corte di merito previo scrutinio della verifica tecnica rinviene della stessa il fondamento nei diversi documenti allegati dagli attori – in tal modo escludendo l’incidenza sulla prima della consulenza di parte e della documentazione “suppletiva” della Icom, convenuta – assorbono, comunque nel loro rilievo, l’iniziale censura di nullità per violazione del principio del contraddittorio.

Ed infatti il proposto ricorso dopo aver denunciato l’indicata lesione finisce per condurre, esso stesso, un esame diretto dei contenuti della relazione di ufficio di cui valorizza il riferimento alla documentazione che si vuole irritualmente acquisita in quanto sottratta al controllo di tutte le parti.

In tal modo i ricorrenti sortiscono l’inammissibile esito, in sede di legittimità, di proporre una lettura alternativa, rispetto a quella contenuta nell’impugnata sentenza, di quel dato.

Il principio della limitazione oggettiva della nullità dell’atto, contenuto nell’art. 159 c.p.c., comma 2, applicabile in presenza di un atto finale che costituisce la risultante di una serie di atti distinti, l’uno dall’altro, là dove l’affermazione o la esclusione del suddetto nesso di dipendenza tra il segmento sottratto al contraddittorio delle parti forma oggetto di un apprezzamento riservato al giudice di merito, in quanto intimamente connesso con la valutazione delle risultanze della relazione peritale, esso resta sindacabile in sede di legittimità nei limiti del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 o, ancora, della mancanza di motivazione per assenza radicale o contrasto invincibile tra le sue affermazioni che non consentano di determinare la ratio decidendi (sulla prima parte, arg. ex Cass. 27/07/2011 n. 16441).

Il principio indicato puntualmente ricomprende quanto è nella fattispecie in esame avvenuto, in cui, nullità inficianti valutazioni di produzioni documentali in quanto non assoggettate al contraddittorio tra le parti da parte del nominato c.t.u., hanno, nei loro esiti, trovato composizione nelle motivazioni rese dal giudice del merito.

Nè il ricorso dialoga con la sentenza impugnata nella parte in cui facendo valere l’acritica adesione della Corte territoriale alle conclusioni del nominato tecnico fa menzione di atti (rapporto del Genio Civile del 1923; atto ricognitivo prefettizio del 1950; atti del catasto; Piano di divisione in comparti dell’isolato (OMISSIS)) che sono solo in parte quelli sui quali i giudici di merito fondano le raggiunte conclusioni. La Corte di appello infatti argomenta anche e, partitamente, dagli atti di vendita prodotti dagli attori di cui scrutina i singoli contenuti (p. 9), profili motivatori che rimangono come tali estranei alla portata critica.

5.3. Resta ancora fermo il principio a sostegno dell’infondatezza del proposto motivo per il quale il consulente, nell’assolvimento del suo incarico, è chiamato non solo ad un’attività valutativa, ma anche alla preliminare acquisizione delle fonti del suo convincimento.

Il consulente d’ufficio può pertanto acquisire documenti pubblicamente consultabili o provenienti da terzi o dalle parti nei limiti in cui siano necessari sul piano tecnico ad avere riscontro della correttezza delle affermazioni e produzioni documentali delle parti stesse o, ancora, quando emerga l’indispensabilità dell’accertamento di una situazione di comune interesse, indicandone la fonte di acquisizione e sottoponendoli al vaglio del contraddittorio, esigenza, quest’ultima, che viene soddisfatta sia mediante la possibilità della partecipazione al contraddittorio tecnico attraverso il consulente di parte, sia, a posteriori, con la possibilità di dimostrazione di elementi rilevanti in senso difforme (Cass. 14/11/2017 n. 26893; Cass. 09/02/1999 n. 1100).

L’indicata accezione del contraddittorio destinato a spiegarsi in rapporto alle operazioni poste in essere dal nominato consulente ridimensiona la portata della denunciata nullità processuale destinata a confluire negli ulteriori momenti secondo cui si dispiega il giudizio ed il correlato accertamento.

6. Quanto ai restanti motivi gli stessi sono infondati e finanche inammissibili perchè ancora diretti ad una rivisitazione del merito come tale preclusa a questa Corte di legittimità o ancora perchè estranei al perimetro di configurabilità del vizio di motivazione nei termini di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, proponendo essi una diversa lettura delle risultanze istruttorie.

Deve infatti intendersi per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (tra le altre, vd. per gli indicati contenuti: Cass. 08/09/2016 n. 17761).

I ricorrenti non possono pertanto dolersi in ragione del dedotto vizio della interpretazione fornita dalla Corte di merito degli atti, scrutinati, di compravendita dai primi prodotti per dimostrare l’esistenza, nel comparto interessato al procedimento ablatorio, dell’appartamento di proprietà per cui hanno richiesto l’indennità di esproprio.

7. Il ricorso, conclusivamente infondato, va rigettato ed i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Messina, secondo soccombenza, come da dispositivo.

Nulla sulle spese nei rapporti tra ricorrenti e Ufficio territoriale del Governo di Messina nella natura meramente formale della costituzione della difesa erariale.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere al Comune di Messina le spese di lite che liquida in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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