Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30184 del 15/12/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 30184 Anno 2017
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso 15889-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

ITALIANA TRASFORMAZIONE POLIMERI SPA, elettivamente
2017
2689

domiciliato in ROMA VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso
lo studio dell’avvocato GIANMARCO TARDELLA, che lo
rappresenta e difende;

controricorrente

avverso la sentenza n. 82/2011 della COMM.TRIB.REG. di
MILANO, depositata 1’11/05/2011;

Data pubblicazione: 15/12/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 08/11/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO

MARIA STALLA.

Rilevato che:
§ 1.

L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la

cassazione della sentenza n. 82/28/11 dell’Il maggio 2011 con la quale la
commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima
decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato alla
Italiana Trasformazione Polimeri spa in liquidazione, per imposta

quest’ultima aveva ceduto ad una società inglese un ramo d’azienda.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: correttamente la società contribuente avesse sottoposto a registrazione
l’atto in questione in misura fissa, e non proporzionale, attesa la
pattuizione di una condizione sospensiva (pagamento del corrispettivo
entro un termine prefissato) di natura non meramente potestativa ex
art.27, 3^ co., d.P.R. 131/86; – questa qualificazione giuridica fosse
avvalorata dal fatto che la cessione del ramo d’azienda in questione non si
era ancora perfezionata a causa di vari giudizi civili e penali pendenti, che
avevano precluso alla società acquirente il versamento del prezzo nel
termine stabilito.
Resiste con controricorso e memoria la Italiana Trasformazione Polimeri
spa in liquidazione, la quale eccepisce preliminarmente il giudicato interno
formatosi sulla statuizione di primo grado (implicitamente confermata dalla
commissione tributaria regionale, e non fatta oggetto di ricorso per
cassazione) in ordine all’annullamento dell’avviso di liquidazione per
carenza di motivazione.
§ 2.

Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex

art.360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione o falsa applicazione
dell’articolo 27, terzo comma, d.P.R. 131/86. Per non avere la commissione
tributaria regionale considerato che la condizione in questione aveva natura
non ‘potestativa semplice’ ma ‘meramente potestativa’, perché consistente
nella libera e soggettiva determinazione della società acquirente di versare
o meno, entro il termine stabilito, il prezzo concordato; e ciò
indipendentemente dalle successive vicende giudiziarie che potevano, al

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Ric.n.15889/12 rg. – Adunanza in cam.cons. dell’8 novembre 2017

proporzionale di registro sull’atto (28 dicembre 2007) con il quale

più, interferire sulla valutazione di convenienza dell’acquisto, ma non sulla
sua efficacia.
Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex
art.360, 1″ co. n. 5 cod.proc.civ. – motivazione insufficiente o
contraddittoria; per non avere la commissione tributaria regionale
adeguatamente motivato sul perché la condizione sospensiva in questione
non fosse ‘meramente potestativa’, così da giustificare la tassazione in

§ 3.

Il ricorso è inammissibile per la ragione opposta dalla

controricorrente.
Il giudice di primo grado (sentenza commissione tributaria provinciale di
Milano n. 64/35/2010), in accoglimento del ricorso della società, aveva
annullato l’avviso di liquidazione in oggetto in forza di due autonome
rationes decidendi: la prima concernente la carente motivazione di tale
avviso ex articolo 7 legge 212/00, la seconda invece relativa alla natura
non meramente potestativa della condizione sospensiva di cui si tratta.
In particolare, per quanto concerne la prima

ratio decidendi,

la

commissione tributaria provinciale ebbe ad osservare: “nell’atto impugnato
l’ufficio non indica i motivi per i quali ha ritenuto che l’atto sottoposto a
registrazione a tassa fissa da parte del ricorrente debba essere in realtà
sottoposto ad imposta proporzionale. Nella costituzione in giudizio l’ufficio
rileva che entro il termine di tre anni, se riscontra errori
nell’autoliquidazione, ha l’obbligo di chiedere la maggiore imposta
principale; tale obbligo però deve essere adeguatamente motivato in
relazione all’errore che il contribuente avrebbe commesso per consentirgli
un’adeguata difesa. Rileva ancora l’ufficio che, trattandosi di un mero atto
di liquidazione, non occorre una motivazione, essendo sufficiente
l’indicazione dell’atto che sta alla base della liquidazione e la norma
applicabile nel caso, oltre alla liquidazione delle imposte e delle addizionali.
Ciò non può essere accolto in quanto, essendo un atto che influisce sulla
sfera patrimoniale del contribuente, la motivazione deve essere esaustiva”.
Ora, che tale affermazione costituisse – nel ragionamento che ha
condotto il primo giudice ad invalidare l’avviso di liquidazione – una
autonoma ed autosufficiente ragione decisoria, venne riconosciuto dallo

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Ric.n.15889/12 rg. – Adunanza in cam.cons. dell’8 novembre 2017

misura fissa.

stesso ufficio impositore il quale, con l’atto di appello 22 luglio 2010, eccepì
– oltre all’erronea valutazione sulla natura giuridica della condizione
sospensiva – anche “l’assoluta censurabilità della sentenza dei giudici di

prime cure nella parte in cui ha sancito l’inadeguatezza motivazionale
dell’avviso di liquidazione” (v.ric.pag.4). Del resto, è la stessa sentenza di
appello a dare conto dell’effettiva proposizione, da parte dell’ufficio, di uno
specifico motivo di gravame su questo aspetto.

impugnata – ha rigettato l’appello, confermando

in toto la sentenza di

primo grado.
Ancorchè il giudice di appello abbia preso esclusivamente posizione sulla
questione della qualificazione giuridica della condizione sospensiva, senza
nulla espressamente stabilire in ordine al motivo di appello concernente la
carenza motivazionale dell’avviso, il rigetto totale dell’appello e la
conseguente piena conferma della prima sentenza comportano altresì il
rigetto – sebbene per implicito – del motivo di gravame concernente la
carente motivazione dell’avviso di liquidazione.
Poiché su questo specifico punto l’agenzia delle entrate non ha formulato
alcun motivo di ricorso per cassazione (non sul rigetto implicito e
nemmeno, ipoteticamente, sull’omessa pronuncia, da parte del giudice di
secondo grado, sul proprio motivo di appello concernente la motivazione
dell’avviso), è giocoforza prendere atto di come la statuizione di
annullamento di quest’ultimo in ragione della sua carente motivazione
(stabilita dal primo giudice ed implicitamente confermata dal secondo) sia
ormai passata in giudicato ‘interno’.
Va del resto osservato come l’integralità tanto del rigetto dell’appello
quanto della conferma della sentenza di primo grado, unita alla mancanza nella motivazione di appello – di qualsivoglia argomento decisorio riferibile
al problema della sufficiente motivazione dell’avviso di liquidazione (di cui,
peraltro, il giudice regionale tratta diffusamente, ma soltanto nella
narrativa dei fatti di causa e dell’iter processuale), deponga per
l’individuazione nella specie di una decisione implicita di rigetto del relativo
e logicamente prioritario motivo, non già di accoglimento.

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Ric.n.15889/12 rg. – Adunanza in cam.cons. dell’8 novembre 2017

Senonchè, la commissione tributaria regionale – nella sentenza qui

Si verte, in definitiva, di una fattispecie del tutto analoga a quella decisa,
nel senso qui indicato, da Cass. 10804/12; la quale ha altresì fatto
applicazione del costante orientamento di legittimità secondo cui il ricorso
per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far
valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi,
invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione
determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti.

pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali
logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il
ricorso per cassazione che non formuli specifiche doglianze avverso una di
tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione
(Cass.SSUU 7931/13; Cass. 4293/16 ed innumerevoli altre).

Pqm
La Corte

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, che liquida in euro 10.200,00, oltre
rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge;

Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data
8 novembre 2017.

Con la conseguenza che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una

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