Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30183 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. III, 22/11/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 22/11/2018), n.30183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22044-2016 proposto da:

SIDERIUS SA, in persona del legale rappresentante pro tempore

G.R., elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II

269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO DE BOSIO

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FACTORIT SPA, in persona del Consigliere Delegato Dott.

D.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MASSIMO LUPI, UGO GIUSEPPE PROSPERO

CARNEVALI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2822/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/10/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

Siderius s.a. propose opposizione innanzi al Tribunale di Milano avverso il decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, emesso per l’importo di Euro 235.618,06 oltre interessi in favore di Factorit s.p.a. in relazione al credito nei confronti di Eurogroup s.p.a., ceduto, con il versamento del relativo importo da parte di Factorit, e rimasto non adempiuto dalla debitrice ceduta. Il Tribunale adito rigettò l’opposizione. Avverso detta sentenza propose appello Siderius s.a.. Con sentenza di data 5 luglio 2016 la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale, con riferimento alla dedotta nullità del decreto ingiuntivo per concessione di termine inferiore per la proposizione dell’opposizione in assenza di specifica istanza di parte, che, come affermato da Cass. n. 18744 del 2003, la concessione del detto termine non richiedeva un’esplicita istanza di parte nè un’esplicita motivazione (peraltro l’atto aveva raggiunto il suo scopo) e che dal ricorso monitorio risultava la causa petendi, rappresentata dall’inadempimento del contratto di factoring intercorso fra le parti conseguente alla violazione dei doveri specificati nell’art. 2, commi secondo e quarto, delle condizioni generali, avuto riguardo anche alla missiva del 18 gennaio 2011 prodotta con il ricorso monitorio, nella quale si lamentava la decadenza di Siderius dalla garanzia pro soluto dei crediti ceduti per mancato invio della documentazione probatoria del credito entro trenta giorni dalla richiesta del factor (art. 2, comma 2) e della scheda contabile libro sezionale clienti nel termine di quindici giorni dalla richiesta (art. 2, comma 7). Aggiunse che le parti avevano stipulato un contratto quadro diretto a disciplinare “le future operazioni di cessioni pro soluto dei crediti d’impresa contro corrispettivo”, scegliendo l’opzione pro soluto maturity in base alla quale “il factor aveva la facoltà di accreditare il prezzo dei crediti alla loro scadenza e di accordare una dilazione di pagamento al debitore ceduto a fronte del pagamento di una commissione (così art. 7 appendice delle condizioni generali di contratto). La particolare modalità di esecuzione del contratto di factoring non fa venir meno la funzione propria del contratto, in quanto l’impresa cedente riceve il pagamento del corrispettivo alla scadenza delle fatture anzichè in anticipo, ma ha il vantaggio di poter pianificare i flussi finanziari. Per tali motivi deve essere respinta la tesi dell’appellante, secondo cui il contratto stipulato dalle parti non poteva essere qualificato giuridicamente quale contratto di factoring”.

Osservò inoltre la Corte che alla data del 21 gennaio 2010 il contratto di factoring era ancora in essere fra le parti, avendo in pari data Siderius segnalato a Factorit di avere emesso la fattura nei confronti di Eurogroup, e che Siderius non aveva dimostrato di avere trasmesso i documenti probatori del credito in adempimento dell’art. 2 delle condizioni generali. Aggiunse, in relazione alla tesi dell’appellante della contrarietà a buona fede dell’eccezione di inadempimento sollevata da Factorit, che “l’omessa consegna della documentazione probatoria del credito costituisce un inadempimento grave nell’economia del contratto di factoring, dal momento che il factor non è posto in grado di eseguire i dovuti controlli contabili relativi al credito ceduto. Ed infatti tale omissione costituisce espressa causa di decadenza dalla garanzia pro soluto e determina la riassunzione del rischio di insolvenza in capo al fornitore (così clausola n. 6 delle condizioni generali di contratto)”. Osservò infine che la domanda di nullità dell’atto di precetto non poteva essere introdotta nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ma doveva essere proposta con uno specifico atto di opposizione all’esecuzione, “secondo i termini e le formalità di cui all’art. 615 c.p.c.”.

Ha proposto ricorso per cassazione Siderius s.a. sulla base di dieci motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 104 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la ricorrente che in base all’art. 104 c.p.c. qualunque domanda può essere proposta unitamente all’opposizione a decreto ingiuntivo e che sulla proposta opposizione a precetto era competente il Tribunale, atteso il valore dell’azione esecutiva minacciata.

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 638 c.p.c., comma 1 e art. 125 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la ricorrente che nel ricorso monitorio non risulta indicato il fatto che avrebbe determinato la violazione della disposizione contrattuale di cui all’art. 2 e che quale fosse l’inadempimento, fatto da allegare a pena di nullità in quanto causa petendi in relazione a diritto eterodeterminato, era stato indicato solo con la seconda memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, e cioè la mancata tempestiva e/o completa risposta di Siderius alla nota del 10 settembre 2010 di richiesta dei documenti probatori del credito. Aggiunge che non può farsi riferimento alla lettera del gennaio 2011, sia perchè la causa petendi deve risultare dall’atto e non da altrove, sia perchè la lettera in discorso enuncia i doveri violati, ma non il fatto costitutivo del preteso inadempimento e che la seconda clausola (art. 2, comma 7), menzionata nella lettera, non risulta indicata nel ricorso, che menziona il comma quarto, avente tutt’altro contenuto.

Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 641 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la ricorrente che non è stato concesso il termine di sessanta giorni per l’opposizione, a residente al di fuori dell’Unione Europea, senza motivazione, contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza (Cass. n. 16455 del 2004), con violazione del contraddittorio.

Con il quarto motivo si denuncia omessa pronuncia su altri motivi di gravame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha omesso di pronunciare su ulteriori ragioni di nullità del decreto ingiuntivo (illiquidità del credito in mancanza della previa risoluzione del contratto, abnormità della concessione della provvisoria esecuzione, mancata indicazione della decorrenza degli interessi), ragioni sulle quali anche il Tribunale aveva omesso di pronunciare.

Con il quinto motivo si denuncia violazione della L. n. 52 del 1991, art. 1, artt. 1201-1202 c.c., art. 1325 c.c., n. 2, e falsa applicazione della L. n. 52 del 1992, artt. 1, 3 e 4 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che del contratto di factoring manca lo sconto del credito ceduto (e la garanzia di solvenza da parte del cedente) in quanto Factorit pagava la fattura al momento dell’emissione (coincidente con la scadenza, e non in via di anticipazione) senza commissione, cioè il corrispettivo rappresentato dallo sconto (nè il “vantaggio di poter pianificare i flussi finanziari” era pertinente allo schema del factoring), sicchè si tratta non di rapporto di factoring,ma di consenso del creditore alla surrogazione di Factorit a seguito dell’estinzione da parte di quest’ultima del debito di Eurogroup in base al rapporto di mutuo sussistente fra i due soggetti. Aggiunge che colui che ha ricevuto il pagamento e ha surrogato nei propri diritti il finanziatore del debitore non può essere tenuto alla restituzione dell’importo in caso di insolvenza del debitore (a meno che il credito sia inesistente e sia conseguentemente inesistente anche la surrogazione).

Con il sesto motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.c., comma 1, n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la ricorrente che la sentenza è nulla per motivazione apparente in quanto per un verso si afferma che Factorit non aveva alcun obbligo nei confronti di Siderius di pagare la fattura, ma solo “la facoltà di accreditare il prezzo dei crediti alla loro scadenza e di accordare una dilazione di pagamento al debitore ceduto a fronte del pagamento di una commissione”, per l’altro in modo incoerente si afferma che Siderius aveva il “il vantaggio di poter pianificare i flussi finanziari”, circostanza ritenuta decisiva ai fini della qualificazione del rapporto in termini di factoring, e cioè cessione di credito anzichè surrogazione nel diritto di credito.

Con il settimo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che, pur avendo dato atto che Siderius aveva dedotto la non configurabilità come factoring di un rapporto privo di anticipazioni, commissioni ed interessi, la corte territoriale ha omesso di delibare tali circostanza.

Con l’ottavo si denuncia violazione dell’art. 1375 c.c., nonchè omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osserva la ricorrente che la richiesta della documentazione relativa al credito, otto mesi dopo l’acquisto (rectius il pagamento) del credito, senza avvertire delle conseguenze di incompleta e non tempestiva risposta, costituisce abuso del diritto, cioè esercizio del diritto per uno scopo estraneo alla causa del diritto stesso, ossia il fine di poter invocare la responsabilità di Siderius.

Con il nono motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che la questione posta non era che alla data del 21 gennaio 2010 il contratto di factoring fosse ancora in essere fra le parti, ma che la richiesta dei documenti otto mesi dopo il pagamento aveva il solo scopo di non ricevere una risposta o non ricevere una risposta completa per far sorgere una responsabilità solidale di Siderius, dopo che nei mesi decorsi Factorit aveva ricevuto comunicazione scritta dello stato di insolvenza di Eurogroup (la quale aveva presentato domanda di concordato preventivo).

Con il decimo motivo si denuncia omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che la Corte d’appello ha omesso di pronunciare sull’ottavo motivo di gravame con cui era stata dedotta la mancata delibazione da parte del Tribunale della nullità della clausola di trasferimento del rischio di insolvenza per mancata risposta e richiesta di informazioni sul credito ceduto per: illiceità o mancanza di causa; mancata sottoscrizione da parte di Factorit; mancata consegna a Siderius di copia del preteso contratto e delle relative condizioni generali; inefficacia del trasferimento del rischio di insolvenza per mancata doppia sottoscrizione da parte di Siderius.

Il primo motivo è inammissibile. Va premesso che la competenza del giudice dell’opposizione, ai sensi dell’art. 645 c.p.c., è inderogabilmente del giudice che ha emesso l’ingiunzione, mentre quella del giudice dell’opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. appartiene inderogabilmente al giudice del luogo dell’esecuzione, competente per materia e valore, e pertanto non è modificabile nè la competenza dell’uno nè quella dell’altro (Cass. 20 maggio 2015, n. 10419; 16 aprile 1999, n. 3792; 12 gennaio 1998, n. 186). Il simultaneus processus di opposizione a decreto ingiuntivo e opposizione a precetto è possibile se il giudice che ha emesso l’ingiunzione coincida con quello del luogo dell’esecuzione, competente per materia e per valore.

La corte territoriale ha affermato che l’opposizione all’esecuzione va proposta con specifico atto “secondo i termini e le formalità di cui all’art. 615 c.p.c.”, dovendosi intendere con ciò l’integrazione del suddetto criterio di competenza. Tale statuizione è stata impugnata dalla ricorrente deducendo la competenza per valore del Tribunale. Non è stata però impugnata con riferimento al criterio del luogo dell’esecuzione (nè tanto meno, sotto il profilo dell’onere processuale di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 risulta indicato se il Tribunale adito coincidesse con quello del luogo dell’esecuzione). La censura resta quindi priva di decisività.

Il secondo motivo è infondato. Diversamente da quanto eccepito nel controricorso, non viene in rilievo un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità in quanto si tratta di accertare un fatto processuale (Cass. Sez. U. 22 maggio 2012, n. 8077). Sulla base del diretto esame del ricorso monitorio deve osservarsi che il fatto costitutivo del credito, rappresentato dalla decadenza dal beneficio della cessione pro soluto per violazione dei doveri indicati dall’art. 2 delle condizioni generali, emerge sufficientemente dall’originaria domanda di ingiunzione, così come chiarito il contenuto della domanda sulla base del documento depositato unitamente ad essa, e che fa riferimento alla violazione dell’art. 2, commi 2 e 7. Va infatti rammentato che l’identificazione della causa petendi della domanda va operata con riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio e dei documenti ad esso allegati (Cass. 11 maggio 2013, n. 11751). E’ appena il caso di aggiungere che la causa petendi è nella specie ricavabile anche dalla comparsa di costituzione dell’opposta, alla luceNpossibilità per il creditore opposto di specificare o di meglio chiarire gli elementi dell’azione nell’atto di costituzione, al quale va riconosciuta natura di atto integrativo del precedente ricorso per ingiunzione, rispondente, tra l’altro, al fine di adeguare al carattere ed ai principi della cognizione ordinaria la pretesa azionata in sede monitoria (Cass. 3 marzo 2001, n. 3114; 1 marzo 2002, n. 3004; 28 agosto 2004, n. 17275).

Il terzo motivo è inammissibile, sotto un duplice profilo. In primo luogo, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 la ricorrente non ha specificatamente indicato se sia stato proposto motivo di appello per il difetto di motivazione nel decreto ingiuntivo in ordine alla riduzione del termine per proporre opposizione. L’esigenza di specifica indicazione è tanto più pressante in quanto nella sentenza si riferisce di un motivo di appello avente ad oggetto l’assenza di specifica istanza di parte circa la riduzione del termine in discorso, ma non l’assenza di motivazione.

In secondo luogo va rammentato che la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (fra le tante da ultimo Cass. 21 novembre 2016, n. 23638; 18 dicembre 2014, n. 26831). La ricorrente si è limitata a denunciare la mera carenza di motivazione nel decreto ingiuntivo circa la disposta riduzione del termine per proporre l’opposizione senza prospettare lo specifico pregiudizio subito ai fini della decisione di merito. Sono per vero nel motivo indicate ragioni di pregiudizio (pag. 36 del ricorso), ma esse attengono alla riduzione del termine e non alla carenza di motivazione in quanto tale.

Il quarto motivo è infondato. L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare il fondamento della pretesa fatta valere e non se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge. Pertanto l’eventuale carenza dei requisiti per la concessione del provvedimento monitorio può rilevare solo ai fini del regolamento delle spese processuali e la sentenza non può essere impugnata solo per accertare la sussistenza o meno delle originarie condizioni di emissione del decreto, se non sia accompagnata da una censura in tema di spese processuali (Cass. 23 luglio 2014, n. 16767; 8 marzo 2012, n. 3649; 15 luglio 2005, n. 15037).

Il sesto motivo, da valutare in via pregiudiziale rispetto al quinto motivo, è fondato. Il factoring è un contratto atipico complesso, il cui nucleo fondamentale prevede sempre un accordo in forza del quale un’impresa specializzata (il factor) si obbliga ad acquistare (pro soluto o pro solvendo), per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare; il factor paga all’imprenditore i crediti ceduti secondo il loro importo nominale, decurtato di una commissione che costituisce il corrispettivo dell’attività da esso prestata, oppure gli concede delle anticipazioni sui crediti ceduti, nel qual caso spettano al factor, oltre alla commissione, anche gli interessi sulle somme anticipate (Cass. 7 luglio 2017, n. 16850).

La corte territoriale, nonostante abbia qualificato in termini di factoring il rapporto intercorso fra le parti, identificando nel “vantaggio di poter pianificare i flussi finanziari” il requisito discriminante in presenza di un pagamento che avveniva non in via di anticipazione ma alla scadenza della fattura, ha fatto precedere tale conclusione dal rilievo che “il factor aveva la facoltà di accreditare il prezzo dei crediti alla loro scadenza e di accordare una dilazione di pagamento al debitore ceduto a fronte del pagamento di una commissione”. In tal modo si esclude l’esistenza di un obbligo per il factor di acquistare il credito, facendo dipendere l’acquisto dalla dilazione di pagamento concessa al debitore ceduto, e si contempla la commissione a carico di quest’ultimo e non del creditore cedente. Riconoscere l’esistenza di un factoring, implicante l’esistenza di un obbligo per il factor che consente al cedente di “poter pianificare i flussi finanziari”, ed escludere allo stesso tempo l’esistenza dell’obbligo, costituendo il pagamento una mera facoltà (dipendente dalla concessione della dilazione al debitore, soggetto peraltro tenuto al pagamento della commissione), costituiscono affermazioni assolutamente inconciliabili ed insanabilmente contraddittorie che non consentono di percepire la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Risulta così violato il “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, che si converte in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e da luogo a nullità della sentenza (fra le tante da ultimo Cass. 17 maggio 2018, n. 12096; 22 febbraio 2018, n. 4367; 12 ottobre 2017, n. 23940).

L’accoglimento del sesto motivo determina l’assorbimento di quinto, settimo, ottavo e nono motivo.

Il decimo motivo è inammissibile. In violazione dell’onere processuale di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 la ricorrente non ha specificatamente indicato se e dove abbia tempestivamente dedotto nel giudizio di primo grado, nel termine di cui all’art. 183 c.p.c., i fatti costitutivi dell’eccezione di nullità della clausola di trasferimento del rischio di insolvenza per mancata risposta e richiesta di informazioni sul credito ceduto. La circostanza che il giudice di appello possa rilevare d’ufficio la nullità della clausola, anche in presenza di domanda di nullità proposta per la prima volta in appello (Cass. sez. U. 12 dicembre 2014, n. 26243), non esclude che i fatti costitutivi dell’eccezione debbano essere stati dedotti, anche soltanto in via documentale e senza un’espressa allegazione, nel giudizio di primo grado nel termine di cui all’art. 183 c.p.c. (salvo il rilievo d’ufficio della nullità sulla base di nuovi documenti prodotti ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2, di cui però nel motivo di ricorso non vi è menzione).

P.Q.M.

accoglie il sesto motivo, dichiara assorbiti quinto, settimo, ottavo e nono motivo e rigetta per il resto il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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