Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30179 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. III, 30/12/2011, (ud. 01/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.V.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 104, presso lo studio dell’Avvocato DE

BERARDINIS DANIELA, rappresentato e difeso dall’Avvocato BERGAMO

FEDERICO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE CAMPANIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2195/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

13/05/2009, depositata il 30/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’1/12/2011 dal Presidente Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza 13 maggio – 30 giugno 2009 la Corte di appello di Napoli, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da D. V.S. contro la Regione Campania avverso la sentenza 17 – 28 novembre 2000 del tribunale di Napoli, in riforma di quest’ultima ha condannato la Regione Campania al pagamento, in favore del D.V. – consulente di parte in qualità di dipendente della Regione nell’ambito di un giudizio arbitrale promosso dalla Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio detto Fatebenefratelli nei confronti della Regione Campania – della somma di Euro 45.000,00 oltre interessi legali su tale somma devalutata, con riferimento agli indici ISTAT per le famiglie di operai e impiegati, al 20 aprile 1996 e su quelle successivamente rivalutate di anno in anno secondo i predetti indici, nonchè al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione di tale ultima sentenza – non notificata – ha proposto ricorso, affidato a 5 motivi e illustrato da memoria, con atto 15 giugno 2010 D.V.S..

La regione Campania non ha svolto attività difensiva, in questa sede.

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006, ma anteriormente al 4 luglio 2009 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr. D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27, 132 e L. 18 giugno 2009, n. 69, 47 e 58) – è stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380-bis) perchè il ricorso sia deciso in camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. Il ricorso è soggetto alla disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e si presta a essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c. nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009.

3. Il ricorso appare inammissibile perchè proposto senza l’osservanza dell’art. 366-bis c.p.c. applicabile a esso nonostante l’abrogazione intervenuta con decorrenza dal 4 luglio 2009 per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 47 atteso che l’art. 58, comma 5, di quest’ultima ha disposto che la norma abrogata rimanesse ultrattiva per i ricorsi notificati dopo quella data, avverso provvedimenti pubblicati anteriormente (tra le tantissime in tale senso: Cass. 27 settembre 2010, n. 20323; Cass., 24 marzo 2010, n. 7119; Cass. 15 marzo 2010, n. 6212).

4. Giusta la testuale previsione dell’art. 366-bis c.p.c. in particolare: nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Al riguardo una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice è fermissima nell’ interpretare la trascritta disposizione nel senso che:

A) il quesito di diritto previsto dall’art. 366-bis c.p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

In altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

La ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. 7 aprile 2009, n. 8463).

Sempre al riguardo, deve ribadirsi, altresì che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Conclusivamente, poichè a norma dell’art. 366-bis c.p.c. la formulazione dei quesiti in relazione a cia-scun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, è palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

B. Come già ricordato sopra, giusta la testuale previsione dell’art. 366-bis c.p.c, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez, un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora, è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

5. Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie si osserva che:

– con il primo, quarto e quinto motivo il ricorrente denunzia vizi di motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 a soggettivo parere del ricorrente commessi dalla sentenza impugnata. Nessuno di tali motivi, peraltro, si conclude con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Pare, pertanto, che tali motivi debbano essere dichiarati inammissibili;

– il secondo motivo, con il quale si denunzia violazione e falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2240, artt. 16 e 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, si conclude con il seguente quesito di diritto: il R.D. 18 dicembre 1922, n. 2240, artt. 16-17 richiamati dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 87 richiedono a pena di nullità che il contratto intercorso con la p.a. rivesta la forma scritta con sottoscrizione contestuale di tutti i contraenti?;

– il terzo motivo, con il quale si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, si conclude con il seguente quesito di diritto: l’indennizzo dovuto ex art. 2041 c.c. va liquidato nei limiti dell’arricchimento dell’ente in termini di utilitas tenendo conto di ogni perdita economica subita dall’impoverito? – entrambi tali quesiti si esauriscono – a parere di questo relatore – in affermazioni assolutamente a-stratte e in alcun modo collegate alla fattispecie con conseguente inammissibilità dei motivi a corredo dei quali sono stati prospettati, alla luce delle considerazioni svolte sopra.

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente le repliche alla stessa, contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. del ricorrente che prescindono totalmente dalle argomentazioni sviluppate nella relazione, non giustificano un superamento delle considerazioni svolte nella relazione – sopra trascritte – e della pacifica giurisprudenza ivi ricordata.

Al riguardo, in particolare, ancorchè in alcune – rare – occasioni nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice siano state esposte tesi parzialmente diverse, una giurisprudenza decisamente maggioritaria della stessa Corte è consolidata nell’affermare che nel vigore dell’art. 366-bis c.p.c. nel caso previsto dall’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la illustrazione di ciascun motivo di ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

La indicazione in questione – afferma la stragrande maggioranza della giurisprudenza – pur non essendo soggetta a rigidi canoni formali, postula che in una parte del motivo o comunque del ricorso a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, la parte enuclei, dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno della censura, il fatto al cui accertamento la stessa si riferisce e le ragioni che la sorreggono, in modo da consentire di individuare ictu oculi la questione sottoposta all’esame del giudice di legittimità.

Questa esigenza non può, quindi, ritenersi soddisfatta allorquando tale individuazione non costituisca oggetto di una opera di puntualizzazione compiuta dallo stesso ricorrente, ma sia possibile solo attraverso la lettura completa della complessiva illustrazione del motivo, configurandosi – pertanto – come il risultato di una attività interpretativa rimessa al lettore (in termini, ad esempio, Cass. 14 ottobre 2011, n. 21233, specie in motivazione. Tra le tantissime, nel senso che censura a presunti vizi della motivazione della sentenza impugnata deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto -, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, Cass. 20 ottobre 2011, n. 21703, specie in motivazione, ove la precisazione, altresì, che è inammissibile il motivo qualora la parte conclusiva dello stesso si risolva nella semplice, apodittica e indimostrata, asserzione che i giudici del merito avrebbero reso la propria pronunzia con una motivazione insufficiente e in contrasto con le ammissioni avverse).

Certo che nella specie – come già evidenziato dalla relazione – nei motivi con i quali la sentenza viene impugnata per asseriti vizi della motivazione della sentenza impugnata fa assolutamente difetto una parte dedicata alle più volte ricordate indicazioni è palese la inammissibilità dei motivi stessi.

Inammissibili altresì, devono essere dichiarati i motivi sviluppati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, attesa la loro estrema genericità e l’assenza di qualsiasi raccordo con la fattispecie concreta.

A tale riguardo si segnala che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice – in termini opposti rispetto a quanto invoca la difesa di parte ricorrente – è fermissima (come già parzialmente anticipato nella relazione) nel ritenere che:

– il quesito di diritto che deve necessariamente essere presente nel ricorso per cassazione con riferimento a ciascun motivo deve essere:

a) esplicito, e non implicito; b) specifico e cioè riferibile alla fattispecie e non generico; c) conferente, attinente cioè al decisum impugnato e rilevante rispetto alla impugnazione (Cass. 21 settembre 2011, n. 19191);

– il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 27 settembre 2011, n. 19733).

Non controverso quanto precede è palese la assoluta non conformità, al modello delineato dall’art. 366-bis c.p.c. dei quesiti formulati dal ricorrente e sopra trascritti e che il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile.

Nessun provvedimento deve adottarsi in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità non avendo gli intimati svolto in questa sede attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della sezione terza civile della Corte di Cassazione, il 1 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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