Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30179 del 15/12/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 30179 Anno 2017
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA
sul ricorso 25820-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

CONTE DUE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
2017
2684

DI VILLA SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CARLO AMATO;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 111/2011 della COMM.TRIB.REG.
di VENEZIA, depositata il 20/09/2011;

Data pubblicazione: 15/12/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 08/11/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO

DE MASI.

RILEVATO

che, con sentenza n. 111/30/11,

depositata

il 20/9/2011, la Commissione Tributaria

Regionale del Veneto accoglieva l’appello della Agenzia delle Entrate, ed in riforma della
sentenza di primo grado, annullava gli avvisi di liquidazione dell’ imposta di registro, dovuta in
misura proporzionale (3%), emessi a seguito di verifica fiscale nei confronti della Conte Due
s.r.I., in relazione ad una serie di contratti di mutuo relativi a finanziamenti, verso detta
società, del socio Giuseppe Conte, intervenuti negli anni 2002 e 2003, ed ammontanti a

che la CTR, in particolare, osservava che “le operazioni di finanziamento della società ad opera
del socio consenziente non appaiono documentate in altrettante scritture private”, aventi ” la
forma richiesta per l’assoggettamento ad imposta proporzionale nel termine fisso di venti
giorni dalla sua stipulazione”, come prevede “l’art. 9, Parte I della Tariffa allegata alla Legge
sul Registro”, e che la circostanza “che nelle delibere in questione si dia atto del fatto che un
socio si sia dichiarato disponibile a procedere nel finanziamento non equivale certamente alla
manifestazione della volontà di quel socio di obbligarsi in tal senso e ciò anche per l’evidente
assenza della sottoscrizione di una simile volontà da parte di quel socio il quale interviene
nell’assemblea dei soci e sottoscrive il verbale medesimo in qualità di Presidente
dell’assemblea”, di tal che “il contratto di mutuo, sicuramente esistente, risulterà al più
concluso mediante scambio di corrispondenza ovvero con manifestazioni di volontà non
contestuali le quali saranno soggette a registrazione e, quindi, al pagamento dell’imposta
proporzionale di registro solo in caso d’uso e cioè ai sensi dell’art. 1, Parte II della Tariffa
allegata alla Legge sul Registro”;
che per la cassazione della sentenza ricorre l’Agenzia delle Entrate, con un motivo di ricorso,
cui resiste l’intimata società Conte Due con controricorso;

CONSIDERATO

che parte ricorrente, con il mezzo d’impugnazione, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo
comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, D.P.R. n. 131 del 1986,
9, Tariffa, Parte Prima, allegato A, del D.P.R. n. 131 del 1986, e 1362 c.c., giacché la CTR ha
ritenuto che i verbali di assemblea della società Conte Due non possono essere qualificati alla
stregua di contratti di mutuo, senza però considerare che la delibera assembleare costituisce
un atto a mezzo del quale l’organo collegiale determina la propria volontà, alla cui formazione
concorrono tutti i soci presenti esprimendo il proprio voto, come è avvenuto nel caso di
specie, in quanto i verbali assembleari documentano la conclusione di altrettanti contratti di
mutuo intercosi tra il socio Giuseppe Conte, il quale si “rende disponibile” alla erogazione
finanziamento, espressione che non allude evidentemente ad un finanziamento anteriore alla

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complessivi C 1.8321.375,59;

delibera perché già in precedenza effettuato alla predetta società, a nulla rilevando, ai fini qui
considerati, la veste di Presidente assunta dallo stesso in occasione delle assemblee;
che la suesposta censura merita accoglimento per le ragioni di seguito precisate;
che, ai fini della decisione della controversia, occorre stabilire se i versamenti di volta in volta
effettuati dai socio Conte alla Conte Due s.r.l. traggano origine da un mutuo, o se invece
siano stati effettuati quale apporto del socio al patrimonio della società, in quanto, come da
quest’ultima sostenuto, “la Società aveva imputato a bilancio in c/capitale (all. n. 9) l’intero
importo dei finanziamenti effettuati dai soci e ripresi a tassazione alla stregua di mutui”, e “le

in realtà capitalizzato la Società (e non potranno mai essere restituite in qualità di
tantundem)”;
che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In tema di società a responsabilità limitata, i
versamenti effettuati dai soci in conto capitale, ovvero indicati con dizione analoga, sebbene
non diano luogo ad un immediato incremento del patrimonio sociale e non attribuiscano alle
relative somme la condizione giuridica propria del capitale, hanno tuttavia una causa che, di
regola, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio: siffatti
versamenti non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono
essere chiesti dai soci in restituzione soltanto per effetto dello scioglimento della società, nei
limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione. Tuttavia, tra la società ed i

soci può

anche essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, potendo i soci effettuare versamenti
in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi il diritto alla
restituzione anche durante la vita della società. Fermo restando che è a carico dell’attore

(in

restituzione) l’onere di fornire la prova del titolo posto a fondamento della domanda, stabilire
se un determinato versamento tragga origine da un mutuo o se invece sia stato effettuato
quale apporto del socio al patrimonio della società è questione di interpretazione, riservata al
giudice del merito, il cui apprezzamento non è censurabile in cassazione, se non per violazione
delle regole giuridiche da applicare nell’interpretazione della volontà delle parti o per eventuali
carenze o vizi logici della motivazione che quell’accertamento sorregge.” (Cass. n. 7980/2007);
che, dunque, il giudice di appello ben può dare una qualificazione giuridica ai fatti ed ai
rapporti dedotti in lite diversa da quella data dal giudice di primo grado, avendo il potere di
definire il rapporto controverso al fine di precisarne il contenuto, gli effetti e le norme
applicabili, tuttavia, per quanto qui interessa, “L’indagine sul punto deve tenere conto sia
della eventuale esistenza di una clausola statutaria che detti versamenti preveda, sia della
riconducibilità alla stessa dell’erogazione e, soprattutto, occorre non tanto avere riguardo alla
denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della
società (Cass. n. 9209 del 2001), quanto al modo in cui concretamente è stato attuato il
rapporto, tenendo conto delle finalità pratiche perseguite, degli interessi implicati, verificando
quale sia stata la reale intenzione dei soggetti (socio e società) tra i quali il rapporto si

è

instaurato, con l’ausilio delle regole interpretative della volontà negoziale dettate dalla legge
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somme tassate alla stregua di mutui (che per loro natura dovrebbero essere restituite) hanno

(Cass. n. 7427 del 2002; n. 9209 del 2001; n. 9471 del 2000; n. 9314 del 1996). Peraltro,
come anche ha precisato questa Corte (Cass. n. 2314 del 1996), nella prassi contabile dett:
versamenti sono spesso designati con denominazioni diverse (“soci in conto capitale”, “soci in
conto futuro aumento capitale” o “in conto o copertura future perdite”, “conto versamento
soci”, “conto finanziamento soci infruttifero”, e simili), senza che, necessariamente, a ciascuna
di tali denominazioni corrisponda una realtà giuridico- economica differente, e senza che,
comunque, possa essere attribuito valore decisivo all’uso del termine “capitale”. Inoltre, sono
ipotizzabili versamenti destinati sia a copertura di perdite, sia genericamente effettuati “in

alle ultime due ipotesi, mentre la seconda identifica apporti di patrimonio dei quali la società è
libera di disporre come di qualsiasi altra riserva, senza che possa venire in questione alcun
diritto al rimborso del socio fin quando non sia stata liquidata l’impresa collettiva, la terza è
caratterizzata da un collegamento casuale tra il versamento ed un prossimo aumento del
capitale sociale, che condizionata risolutivamente l’acquisizione patrimoniale della società alla
futura deliberazione di aumento del capitale nominale.” (Cass. n. n. 7980/2007 citata);
che, trasfusi sul piano tributario i sopra richiamati principi, la decisione impugnata appare
corretta laddove la CTR afferma che l’imposta presuppone “l’esistenza di un «atto» ovvero
di una scrittura privata contenente la manifestazione di volontà delle parti e del relativo
consenso all’attuazione delle conseguenti reciproche obbligazioni nascenti da quella figura
negoziale”, e viceversa errata laddove esclude sic et simpliciter

l’esistenza di alcun

«atto» di siffatta natura, non ravvisandolo nei “verbali delle delibere della società ovvero
dell’assemblea dei soci nelle quali il soggetto collettivo esprime la volontà di far ricorso al
finanziamento da parte dei soci”,

ritenendo le delibere in questione “esclusivamente

manifestazione di volontà della società”, e non anche del socio

finanziatore ad esse

intervenuto, riferendo poi la formalizzazione scritta del negozio di finanziamento, peraltro
“sicuramente esistente”, ad un necessario successivo “scambio di corrispondenza” tra le
predette parti, “soggetta a registrazione e, quindi, “al pagamento dell’imposta proporzionale di
registro solo in caso d’uso” e non in termine fisso (entro venti giorni), scontando l’imposta
proporzionale nella misura del 3%, in base all’art. 9, Tariffa, Parte Prima, allegato A, del D.P.R.
n. 131 del 1986, riferito a tutti gli “atti diversi da quelli altrove indicati aventi oggetto
prestazioni a contenuto patrimoniale”;
che, ai fini dell’imposta di registro, il contratto stipulato per corrispondenza si distingue dal
contratto stipulato per scrittura privata non autenticata per il fatto che nel secondo caso vi è
un solo documento nel quale risultano formalizzate le volontà di tutti i contraenti e le loro
sottoscrizioni, mentre, se si tratta di “corrispondenza”, in ogni documento è raccolta la volontà
unilaterale di un solo contraente, donde la ritenuta necessità dello “scambio di corrispondenza
commerciale” dalla quale si desuma l’impegno del socio a finanziare una determinata somma
alla società, e l’obbligo di quest’ultima alla restituzione della somma, ma da quanto in
precedenza esposto non è affatto detto che il contratto di finanziamento dei soci non possa
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conto capitale”, sia riferiti ad un futuro e ben determinato aumento del capitale sociale. Quanto

risiedere, sia pure a determinate condizioni, nella stessa delibera che lo autorizza ed a cui
abbia partecipato, come verificatosi nel caso di specie, il socio finanziatore, il quale ha pure
sottoscritto il relativo verbale nella sua qualità di Presidente;
che, conclusivamente, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata cassata con rinvio alla CTR
competente, in diversa composizione, per nuovo esame, alla luce dei superiori principi, e per
provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità;

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla la Commissione
Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del presente
giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l’ 8 novembre 2017.

P.Q.M.

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