Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30173 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. un., 30/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente di sez. –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VALADIER 43, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ROMANO,

rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI CAMPOBASSO, PROCURA GENERALE

PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– Intimati –

avverso la decisione n. 47/2011 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 20/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato F.G.;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

assorbimento del secondo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Campobasso, con decisione del 30 novembre 2007, irrogò la sanzione della censura a carico dell’Avv. F.G. per aver omesso, nonostante la formale richiesta a lui inoltrata con varie raccomandate inviategli fra il 1997 e il 1998, nel corso della preistruttoria, di fornire giustificazioni relative all’addebito di omessa informazione al cliente circa lo stato di una causa di sfratto, addebito, quest’ultimo, dal quale il professionista, nei cui confronti era stato instaurato procedimento disciplinare in data 15 maggio 1999, era stato peraltro prosciolto con formula piena.

Avverso tale decisione l’avv. F. propose ricorso al Consiglio Nazionale Forense, sostenendo, per quanto ancora rileva nella presente sede, di aver fornito oralmente i chiarimenti richiesti dal C.O.A. al suo Presidente e ad alcuni consiglieri, e deducendo la intervenuta prescrizione, e comunque chiedendo l’applicazione della più lieve sanzione dell’avvertimento.

2. – Con decisione depositata il 20 aprile 2011, il C.N.F. ha ridotto la sanzione irrogata, applicando quella dell’avvertimento, confermando, nel resto, la decisione impugnata. Ha osservato il C.N.F., quanto alla prima censura, che i chiarimenti richiesti dal C.O.A., cui il professionista è tenuto fino a quando non venga aperto nei suoi confronti procedimento disciplinare – fase nella quale, invece, egli può avvalersi della facoltà di non riscontrare qualsiasi richiesta o invito gli venga rivolto – devono essere forniti per iscritto a norma dell’art. 24 del codice deontologico, e, quanto alla seconda, che il termine prescrizionale previsto dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51 viene interrotto dalla notifica della delibera di apertura del procedimento disciplinare e che il processo disciplinare, nell’arco di tempo necessario per la sua decisione, non conosce altri limiti prescrizionali.

3. – Per la cassazione di tale decisione ricorre l’avv. F. sulla base di due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia eccesso di potere e violazione dell’art. 24 del Codice deontologico forense. Avrebbe errato il C.N.F. nel ritenere che la mancanza dei richiesti chiarimenti scritti nella fase preliminare all’apertura del procedimento disciplinare integrasse la violazione della invocata norma deontologica. Tale decisione è fondata su due assunti che non sarebbero condivisibili: secondo il primo di essi, i chiarimenti richiesti dovrebbero necessariamente presentare la forma scritta, mentre, alla stregua del secondo, il principio del “nemo tenetur contra se edere” sarebbe applicabile solo dopo l’apertura del procedimento disciplinare. Secondo il ricorrente, con riguardo al primo dei due assunti, la asserita prescrizione della forma scritta non risulterebbe dalla lettura integrale del testo della norma deontologica. Quanto al secondo, si richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’istruzione predibattimentale non è una fase esterna al procedimento, nella quale l’avvocato sia tenuto a dare sollecita risposta a richieste di chiarimenti, notizie o adempimenti in ordine a fatti che possono comportare una sua responsabilità disciplinare, in quanto, così intesa, la norma in esame contrasterebbe con il sopra citato principio, basilare nel diritto processuale, che è espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito.

2.1. La doglianza risulta meritevole di accoglimento.

2.2. – Secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, cui il Collegio intende dare continuità, in tema di ordinamento professionale forense, non costituisce illecito disciplinare, sanzionato dall’art. 24, comma 2, del relativo codice deontologico, la mancata risposta dell’avvocato alla richiesta del Consiglio dell’Ordine di chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione ad un esposto presentato, per fatti disciplinarmente rilevanti, nei confronti dello stesso iscritto (v., in tal senso, Cass., S.U., sent, 28 febbraio 2011, n. 4773).

L’affermazione di tale principio di diritto tra origine dall’esame dell’art. 24 del codice deontologico forense, che così dispone:

“L’avvocato ha il dovere di collaborare con il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, o con altro che ne faccia richiesta, per l’attuazione delle finalità istituzionali osservando scrupolosamente il dovere di verità. A tal fine ogni iscritto è tenuto a riferire al Consiglio fatti a sua conoscenza relativi alla vita forense o alla amministrazione della giustizia, che richiedano iniziative o interventi collegiali.

Nell’ambito di un procedimento disciplinare, la mancata risposta dell’iscritto agli addebiti comunicatigli e la mancata presentazione di osservazioni e difese non costituisce illecito disciplinare, pur potendo tali comportamenti essere valutati dall’organo giudicante nella formazione del proprio libero convincimento.

Qualora il Consiglio dell’Ordine richieda all’iscritto chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione ad un esposto presentato da una parte o da un collega tendente ad ottenere notizie o adempimenti nell’interesse dello stesso reclamante, la mancata sollecita risposta dell’iscritto costituisce illecito disciplinare”.

Il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto che il secondo capoverso della disposizione sia applicabile anche nell’ipotesi in cui i chiarimenti, le notizie o gli adempimenti vengano richiesti all’iscritto, come nella specie, relativamente a un esposto presentato nei confronti di lui stesso e attinente a fatti in cui sia ravvisabile un illecito disciplinare.

2.3. – La tesi non è condivisibile.

Una fase preliminare del procedimento disciplinare non è prevista dalla legge. In effetti, il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 47, espressamente include nell’ambito dei “procedimenti disciplinari che siano stati iniziati” il momento della raccolta delle “opportune informazioni”, dei “documenti… necessari” e delle “deduzioni che…

pervengano dall’incolpato e dal pubblico ministero”. L’istruzione predibattimentale non è dunque – come correttamente ricordato dal ricorrente – una fase precedente ed esterna al procedimento, nella quale l’avvocato sia tenuto, “osservando scrupolosamente il dovere di verità”, a dare “sollecita risposta” a richieste di “chiarimenti, notizie o adempimenti” in ordine a fatti che possono comportare una sua responsabilità disciplinare.

Il secondo capoverso dell’art. 24 del codice deontologico forense deve pertanto essere interpretato – come il suo tenore testuale consente – nel senso che esso sanziona la mancata risposta dell’avvocato alla richiesta del Consiglio dell’ordine relativa a un esposto presentato nei confronti di un altro iscritto.

3. – Resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso l’esame della seconda censura, avente ad oggetto la asserita violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51 per avere il C.N.F. attribuito alla delibera di apertura del procedimento disciplinare effetti interruttivi permanenti anzichè istantanei.

4. – In definitiva, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, assorbito il secondo. La sentenza impugnata va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, decidere la causa nel merito, accogliendo l’impugnazione del ricorrente avverso la decisione del C.O.A. di Campobasso.

Nella peculiarità della vicenda si ravvisano le ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo.

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’impugnazione del ricorrente avverso la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Campobasso. Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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