Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30171 del 30/12/2011
Cassazione civile sez. un., 30/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30171
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente di sez. –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
E.Q. VISCONTI 61, presso lo studio dell’avvocato VENETO ARMANDO, che
lo rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI
CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 83/2011 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA
MAGISTRATURA, depositata il 24/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15/11/2011 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;
udito l’Avvocato Giovanni PASSALACQUA per delega dell’avvocato
Armando Veneto;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CENICCOLA
Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dott. C.S.F., all’epoca dei fatti sostituto procuratore presso la Procura di Reggio Calabria, successivamente trasferito per via cautelare ad altro ufficio, veniva incolpato dei seguenti illeciti disciplinari: “illeciti di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a), d) e q) perchè, nella qualità di sostituto procuratore della Repubblica addetto alla Dda di Reggio Calabria, ha violato i doveri di diligenza e laboriosità arrecando un ingiunto danno a tale G. G. parte offesa nel procedimento n. 5443/04 Rgnr Dda, nonchè, per negligenza inescusabile, gli artt. 326, 405 e 407 c.p.p.; in particolare, assegnatogli, in data 8 giugno 2005, per ragioni di connessione ad altro procedimento da lui trattato (1595/01 Rgnr Dda), il suddetto procedimento n. 5443/04, iscritto a carico di I. P. e Ca.Ca. per i reati di cui agli artt. 81, 110, 629 c.p. e D.Lgs. 14 maggio 199, n. 152, art. 7 convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, commessi in (OMISSIS) in danno del G., ometteva di compiere qualsiasi attività di indagine e ciò malgrado che la proroga del termine delle indagini, da lui stesso richiesta, scadesse il 9 giugno 2006 e nonostante le sollecitazioni avanzate dalla difesa della persona offesa”.
Veniva pertanto giudicato dalla Sezione Disciplinare del C.S.M. che con sentenza n. 112/2010 lo dichiarava responsabile della incolpazione ascrittagli e gli infliggeva la sanzione disciplinare della censura; si affermava che il C. aveva volontariamente omesso l’adozione di ogni doverosa iniziativa e per due anni mantenuto un comportamento nei confronti sia dell’indiziato che della parte lesa, entrambi oggetto nel tempo della sua attività di ufficio in una pluralità di procedimenti, intenzionalmente diretto a favorire lo I. nei confronti del quale, per sua stessa ammissione, era già emerso un quadro indiziario sufficiente per richiederne il rinvio a giudizio e a danneggiare il G. per di più con rassicurazioni dilatorie al suo difensore.
L’unitarietà della condotta contestata determinava, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, l’applicazione di una unica sanzione (la suddetta censura).
A seguito di ricorso del C. a queste Sezioni Unite civili, queste ultime, con decisione n. 3669/2011, accogliendo in parte il gravame, cassavano la decisione impugnata e rinviavano detta sezione disciplinare del C.s.m..
In sede di rinvio la sezione disciplinare del C.s.m., con la decisione oggi impugnata n. 83/2011, depositata in data 24.5.2011, “confermava” la sanzione della censura.
Ricorre per cassazione a queste Sezioni Unite nuovamente il C. con due motivi; non hanno svolto attività difensiva le parti intimate.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. d)”; si afferma in particolare che la sentenza impugnata è “illogica e contraddittoria” e “non è dato evincere quale sia stato l’iter logico-giuridico cha ha indotto la Sezione disciplinare a confermare la responsabilità del magistrato per l’incolpazione ascritta”. Con il secondo motivo si deduce “violazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. d), art. 3 bis, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e)”; si afferma in particolare che “nulla è statuito in ordine all’applicabilità dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis”.
Il ricorso è fondato quanto al primo motivo con assorbimento del secondo.
La decisione di queste Sezioni Unite n. 3669/2011, nel cassare la precedente sentenza disciplinare del C.s.m., aveva statuito che “tanto premesso, la Sezione Disciplinare non avrebbe dovuto limitarsi alla valutazione della condotta, deontologicamente scorretta, nella vicenda in esame tenuta dal dott. C. in relazione ai doveri di cui all’art. 1 (segnatamente, nella specie, oltre a quelli espressamente menzionati nella contestazione, di diligenza e laboriosità, anche e soprattutto a quello d’imparzialità, la cui violazione pur sembra evincersi dal tenore complessivo degli addebiti), ma anche chiedersi e spiegare se dalla stessa fosse derivato, quale conseguenza diretta della condotta cosciente e volontaria dell’incolpato, o un effettivo pregiudizio ad una delle parti (quella offesa, il G.), oppure un indebito vantaggio all’altra (il I. ed il coimputato). Tale accertamento sarebbe stato necessario, sia perchè nel capo di incolpazione era stato indicato, sia perchè l’incolpato aveva, tra l’altro, addotto che il procedimento era già maturo per ogni decisione e non necessitava di alcuna indagine” per poi aggiungere che “la motivazione della sentenza, tuttavia, risulta assolutamente carente sotto il profilo dell’accertamento della verificazione di almeno uno degli eventi lesivi, l’ingiusto danno ad una parte e/o l’indebito vantaggio a favore dell’altra, non avendo spiegato la Sezione Disciplinare se e perchè la ritardata celebrazione del processo a carico del I. e del coimputato si fosse tradotta in un effettivo vantaggio per costoro o, per converso, in un ingiusto danno per la parte offesa denunciante”.
Di tali statuizioni il giudice del rinvio non ha fatto corretta applicazione, incorrendo nuovamente nel difetto di motivazione, risultando le relative argomentazioni “apparenti”: si legge infatti nella sentenza impugnata, in relazione all’illecito avente ad oggetto “la grave scorrettezza del magistrato nei confronti delle parti o degli altri magistrati”, che “in proposito non possono che richiamarsi le considerazioni svolte nella sentenza impugnata e nella stessa sentenza delle Sezioni Unite sulla condotta tenuta dall’incolpato che si è tradotta nella palese violazione di norme processuali e, come è stato efficacemente detto, in una gestione personalistica della vicenda giudiziaria che deve essere preclusa a chi, come appunto il magistrato, non deve mai dimenticare, quali che possono essere le finalità del suo agire, di essere sempre e comunque soggetto alla legge” per poi concludere che “la condotta dell’incolpato deve essere, pertanto, qualificata non solo scorretta nei confronti delle parti, dei difensori e degli stessi colleghi, ma anche gravemente scorretta avuto riguardo all’inammissibile ritardo di alcuni anni nell’adempimento di un inderogabile dovere del magistrato e alle assicurazioni fornite ai difensori di una delle parti (il G.) che sollecitavano la doverosa attività dell’incolpato……..quali che possono essere state le cause soggettive di tale condotta”.
In proposito si osserva: a) non è dato comprendere, sulla base di dette argomentazioni, la ratio decidendi in base alla quale la sezione disciplinare ha confermato la sanzione della censura a carico dell’incolpato; b) nella decisione in esame si fa infatti, in particolare, riferimento a considerazioni già svolte nella sentenza impugnata e nella stessa sentenza delle Sezioni Unite, tralasciando il principio per il quale le motivazioni poste a base di una sentenza non possono essere sviluppate per relationem, a maggior ragione se il riferimento attiene ad un decisum viziato ed annullato; c) insufficiente per l’irrogazione di qualsiasi sanzione disciplinare è poi il limitarsi alla generica affermazione di una condotta di per sè gravemente scorretta e alla violazione di norme processuali (omettendo tra l’altro sul punto quanto già osservato da questa Corte a Sezioni Unite nella pronuncia che ha determinato la cassazione con rinvio); d) del tutto criptico infine è il ritenere comunque irrilevanti quelle che sono testualmente definite, senza ulteriore specificazione ed analisi, “le cause soggettive di tale condotta” (quasi a far ritenere che talune circostanze riguardanti il comportamento dell’imputato, note al Collegio, non abbiano di per sè alcuna rilevanza in concreto, senza di ciò però spiegarne la ragione).
Assorbito è il secondo motivo in relazione al citato art. 3 bis avente ad oggetto la scarsa rilevanza del fatto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa e rinvia l’impugnata decisione alla Sezione Disciplinare del C.s.m,, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011