Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30171 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. III, 22/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 22/11/2018), n.30171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14276/2017 proposto da:

FONDAZIONE ISTITUTO OSPEDALIERO DI SOSPIRO ONLUS, in persona del

Presidente pro tempore sig. B.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA A BERTOLONI 3, presso lo studio

dell’avvocato FEDERICO CAPPELLA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO ACHILLE MIRRI giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE VALLE SALLIMBENE, in persona del Sindaco e legale

rappresentante pro tempore sig.ra G.C.V.D.M.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL MASCHERINO 72, presso lo

studio dell’avvocato MAURIZIO PIERO ZOPPOLATO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ISABELLA RATTAZZI giusta procura in

calce al controricorso;

AGENZIA TUTELA SALUTE PAVIA ATS PAVIA, in persona del suo

rappresentante legale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TIZIANO 108, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ALLOCCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURO CASARINI giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

V.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1030/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/09/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con atto di citazione notificato il 28 marzo – 10 aprile 2012, la Fondazione Istituto Ospedaliero Sospiro ONLUS conveniva davanti al Tribunale di Pavia il Comune di Valle Salimbene e l’Asl della Provincia di Pavia perchè fosse condannata in via principale l’Asl, fosse condannato in subordine il Comune e, in ulteriore subordine, perchè fossero condannati entrambi a pagarle la somma di Euro 42.931,88 per le rette insolute relative al ricovero di V.C. nel periodo 1 settembre 2009-21 dicembre 2011 oltre alle rette di degenza successive alla domanda giudiziale e agli interessi.

Entrambi i convenuti si costituivano resistendo e il Comune chiedeva pure la chiamata in causa della stessa V. in persona del suo tutore V.G. per accertarne, in caso di accoglimento anche parziale delle domande attoree, l’obbligo di pagamento o, in subordine, l’obbligo alla rifusione di quanto versato dal Comune.

Con sentenza del 24 marzo 2014 il Tribunale di Pavia condannava l’Asl a pagare all’attrice la somma di Euro 42.931,88, oltre alle rette maturate e maturande successive alla domanda giudiziale, con interessi legali dalla domanda al saldo; la condannava altresì a rifondere le spese di causa all’attrice; dichiarava infine assorbite le ulteriori domande e compensava le spese tra le altre parti.

Avendo proposto appello principale l’Asl e appello incidentale condizionato il Comune, si costituivano, entrambe resistendo, la Fondazione e la V. in persona del tutore. Con sentenza del 9 marzo 2017 la Corte d’appello di Milano accoglieva l’appello principale, dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e condannando la Fondazione a rifondere le spese processuali a tutte le altre parti.

2. Ha presentato ricorso la Fondazione sulla base di tre motivi.

2.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 24 Cost., errata applicazione della preclusione del principio del ne bis in idem, assenza di identità tra il giudizio amministrativo e il giudizio civile svolti e violazione del diritto di difesa e del diritto di azione.

In precedenza, sempre per ottenere il rimborso delle rette, la Fondazione aveva adito il Tar di Brescia, che con sentenza n. 2540/2009 rigettava la sua pretesa. La Fondazione proponeva appello e il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4273/2013 lo respingeva, confermando la sentenza di primo grado con diversa motivazione.

Nella presente censura, la ricorrente afferma che l’effetto del giudicato che la Corte d’appello di Milano ha ritenuto essersi formato con quest’ultima sentenza necessita dell’identità degli elementi costitutivi dell’azione amministrativa e dell’azione civile (soggetti, causa petendi e petitum), identità qui mancante almeno quanto al petitum mediato, trattandosi di due diversi periodi di rette: il giudizio davanti al Consiglio di Stato non avrebbe investito il periodo 1 settembre 2009-31 dicembre 2011. Nella sua sentenza, inoltre, il Consiglio di Stato osserva che, con memoria del 28 febbraio 2013, l’Asl aveva informato dell’atto di citazione davanti al Tribunale di Pavia di cui si era avvalsa la Fondazione “per il pagamento delle rette dal 1 settembre 2009 al 31 dicembre 2011. Pertanto l’ambito del presente giudizio si circoscrive alle rette dal 1 febbraio 2002 al 31 agosto 2009”. La giurisprudenza di legittimità (si invoca Cass. 2438/2007) insegna che per accertare l’esistenza di un giudicato esterno è necessario confrontare l’oggetto specifico dei due giudizi coinvolti. Nel caso in esame non sarebbe applicabile il principio del giudicato sostanziale (copertura di dedotto e deducibile): trattandosi di diversi periodi di rette di degenza, il Tribunale di Pavia avrebbe potuto formare il convincimento mediante documentazione – in particolare, la relazione medica del 3 gennaio 2012 – che non era a disposizione del giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato con la sua sentenza affermerebbe che l’unico accertamento medico sulla natura sanitaria della retta è una nota dei medici dell’Asl del 15 gennaio 2002. Invece il Tribunale di Pavia si sarebbe fondato proprio sulla relazione medica del 2012. Sussisterebbe dunque un limite cronologico del giudicato esterno “non potendosi estendere il già errato unilaterale giudizio sulla natura delle rette” emesso dall’Asl tramite la nota dei suoi medici del 2002 a un periodo posteriore, cioè al periodo che decorre dal settembre 2009 al dicembre 2011. La “estensione acritica” dei limiti d’efficacia del giudicato esterno avrebbe violato il diritto di difesa e il diritto di azione ai sensi dell’art. 24 Cost., rendendo impossibile alle parti far valere elementi nuovi: il giudicato impedisce il riesame con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento.

2.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., quanto alla giurisdizione, dell’art. 5 c.p.c., art. 133 e allegato 4, D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 4, n. 4; richiama pure l’intervenuta abrogazione del R.D. n. 1024 del 1924, art. 29, commi 1 e 5.

Il giudice d’appello erra nel ritenere che la giurisdizione nel caso in esame spetti al giudice amministrativo. Sulla giurisdizione in materia socio-sanitaria, tra l’avvio del giudizio amministrativo nel 2009 e di quello ordinario nel 2012, seguendo la sentenza n. 204/2004 della Consulta e l’articolo 133 del Codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104 del 2010), vi fu un mutamento dell’orientamento giurisprudenziale: quando fu adito il Tribunale, cioè nel 2012, trattandosi di domanda di adempimento d’obbligazione con fonte di legge, in mancanza di ogni potere autoritativo e discrezionale della pubblica amministrazione, la giurisdizione sarebbe stata ordinaria, in forza della suddetta sentenza della Corte Costituzionale (che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 33 d.lgs. 80/1998) e conformemente a successivi arresti delle Sezioni Unite. Tra queste, S.U. 30 luglio 2008 n. 20586 dichiarò la giurisdizione ordinaria sulle rette di degenza negli ex ospedali psichiatrici (conforme fu poi S.U. 17 ottobre 2014 n. 22033, sempre per gli “alienati”). Dopo la nuova normativa per gli “alienati” rinvenibile in L. n. 180 del 1978 e nella successiva L. n. 833 del 1978, S.U. 1 luglio 2009 n. 15377 affermò che le prestazioni socio-sanitarie sono diritto delle persone, senza condizionamento ad atti discrezionali della pubblica amministrazione (conforme S.U. 3 novembre 2016 n. 22233). La giurisprudenza amministrativa invocata dalla Corte d’appello riguarderebbe poi la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in forza di norme non più vigenti al momento dell’avvio della presente causa. Dal 16 settembre 2010 entrò infatti in vigore il Codice del processo amministrativo, in cui l’art. 133 esclude dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra le cause relative a pubblici servizi, quelle riguardanti “indennità, canoni ed altri corrispettivi”; e il suo allegato 4, all’art. 4 n. 4, abroga tra l’altro il R.D. n. 1024 del 1924, art. 29, che qui fondava, fino all’entrata in vigore del suddetto Codice, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, rimasta soltanto (art. 7 del Codice) nelle cause originate dalla impugnazione di provvedimenti della pubblica amministrazione lesivi di interessi legittimi.

2.3 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo – la natura delle prestazioni erogate alla disabile psichica V.C. -; denuncia altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione della L. n. 833 del 1978, artt. 1, 26, 51 e 75, L. n. 730 del 1983, art. 30, nonchè del D.Lgs. n. 502 del 1992 e del D.P.C.M. 8 agosto 1985, D.P.C.M. 14 febbraio 2001 e D.P.C.M. 29 novembre 2001.

Osserva la ricorrente che, ritenendo la sussistenza di un giudicato esterno, il giudice d’appello non ha trattato il merito della causa; su quest’ultimo verte allora il motivo, diretto a determinare il tipo di prestazioni rese a V.C..

Si sono difesi con controricorso rispettivamente l’Agenzia Tutela della Salute di Pavia (ATS), già Asl della Provincia di Pavia, e il Comune di Valle Salimbene. Sia la ricorrente, sia i controricorrenti hanno infine depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. Il ricorso è infondato.

3. Premesso che nelle more del presente grado il Comune ha dichiarato lo smarrimento dei suoi atti processuali, evento del tutto irrilevante per quanto si verrà ora ad osservare, il primo e il secondo motivo meritano un vaglio congiunto, perchè entrambi attengono alla giurisdizione.

Come si è visto, la ricorrente sostiene che la sentenza amministrativa non avrebbe potuto integrare giudicato esterno per la limitazione del petitum, non tale da investire completamente quello che è stato proposto davanti al giudice ordinario della presente causa. Si tratta di un argomento del tutto artificioso.

Il petitum della causa promossa dalla Fondazione davanti al Tar di Brescia, infatti, già includeva anche le rette successive al periodo di ricovero specificamente indicato, contemplando le rette non pagate nel periodo tra il 1 febbraio 2002 il 31 ottobre 2008 e le successive rette maturate e maturande: pertanto, a differenza di quel che prospetta la ricorrente, il petitum della causa amministrativa – sfociata nel giudicato affermante anche la giurisdizione del giudice amministrativo, tramite la sentenza n. 4273/2013 del Consiglio di Stato – aveva investito pure quel che è stato poi proposto davanti al Tribunale con l’atto di citazione notificato l’11 aprile 2012, ovvero le rette insolute per il periodo dal 1 settembre 2009 al 31 dicembre 2011 oltre alle successive rette maturate e maturande.

Irrituale nella sua proposizione è l’ulteriore argomento diretto a divaricare, quanto al contenuto, il giudizio amministrativo da quello ordinario per escludere il giudicato fondandosi sulla pretesa novità, rispetto alla nota del 15 gennaio 2002 proveniente dai medici dell’Asl, dell’apporto recato nella relazione medica del 3 gennaio 2012, relazione di cui avrebbe potuto avvalersi soltanto il Tribunale di Pavia. L’asserto, invero, viene addotto nel primo motivo del ricorso, il quale però non è autosufficiente al riguardo, giacchè non indica specificamente quando e come sarebbe stata fatta valere la suddetta documentazione dinanzi al Tribunale, bensì fornisce soltanto un numero di produzione (documento 72). E l’autosufficienza mancante rende inammissibile la censura, assorbito ogni altro profilo.

I fatti costitutivi della regiudicanda, a questo punto, rimangono gli stessi – essendo venuta meno ogni consistenza nelle argomentazioni della ricorrente in ordine al loro preteso distinguo – sia nel giudizio amministrativo sia nel giudizio ordinario, onde sussiste ictu oculi giudicato esterno (non è infatti discussa la coincidenza dei soggetti coinvolti), sia per quanto concerne la sussistenza per il caso in esame della giurisdizione amministrativa (irrilevante è, ovviamente, lo jus superveniens dopo il radicamento della causa davanti al Tar), sia, si rileva a questo punto meramente ad abundantiam, per quanto concerne la non debenza delle rette da parte del Comune e della Asl (si noti che la Corte d’appello ha riconosciuto l’esistenza del giudicato affermante la giurisdizione amministrativa, e poi ha introdotto una ulteriore ratio decidendi, essa stessa vagliando il contenuto della regiudicanda per confermare infine la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo).

Rimasto quindi inattaccabile, in forza del giudicato esterno, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, tutto il resto è assorbito, incluso naturalmente il terzo motivo che riguarda il merito della causa sul presupposto, appunto, che la giurisdizione sia ordinaria.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a ciascuno dei controricorrenti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese processuali, liquidate per ciascuno in un totale di Euro 5200, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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