Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30168 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. III, 22/11/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 22/11/2018), n.30168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1557-2017 proposto da:

B.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIANLUCA TIRELLI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

VITTORIO IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante

M.E.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DENZA 15,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO SOLINAS giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1863/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 4 gennaio 2017 per via telematica B.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza numero 1863/2016 emessa dalla Corte d’appello di Bologna in data 6/9/2016, depositata in data 18/10/2016 e notificata via pec il 7 dicembre 2016 (con relativa attestazione di conformità), affidato a due motivi. Con controricorso notificato il 13/2/2017 la contro ricorrente Vittorio Immobiliare Srl notificava controricorso per dedurre l’inammissibilità l’infondatezza del ricorso. Quest’ultima depositava memoria.

2. La controversia verte intorno all’affermata responsabilità del ricorrente B.R. che, quale professionista commercialista della società Vittorio Immobiliare Srl, dal 2002 sino al 2009 si è occupato della gestione contabile aziendale nonchè degli adempimenti fiscali della società. Il professionista, nel quadro 6^ sezione due rigo VL. 26, nella dichiarazione dei redditi del 2005 aveva esposto un credito Iva di Euro 6.183,00, anzichè un credito di Euro 115.010,00, omettendo così di esporre un credito Iva pari a Euro 88.827,00 che avrebbe portato il complessivo credito Iva, per l’anno di imposta 2004, pari ad Euro 132.186,00. La società, appurato l’errore, si era attivata presso l’Agenzia delle Entrate al fine di ottenere il riconoscimento del credito Iva effettivamente maturato nel periodo di imposta 2004, ma l’Agenzia delle Entrate, con comunicazione 10/3/2010, aveva ritenuto prescritto il relativo diritto, e ciò sulla base del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21,poichè nella dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2003 non emergeva una inequivoca richiesta di rimborso del credito Iva e, pertanto, si era verificata la decadenza (biennale) della facoltà di far valere tale pretesa.

3. In relazione a questa vicenda la società, odierna intimata, avviava una azione di responsabilità innanzi al Tribunale di Reggio Emilia nei confronti del professionista, che veniva respinta in prime cure dal Tribunale di Reggio Emilia poichè, pur avendo ritenuto il professionista responsabile dell’omissione, il credito di imposta, soggetto a prescrizione decennale, avrebbe potuto essere fatto valere dal commercialista a lui succeduto nel 2009. La Corte d’appello di Bologna, investita dell’impugnazione da parte della società rimasta soccombente, in riforma della sentenza di primo grado riconosceva la responsabilità del professionista, affermando che i) ai fini dell’adempimento fiscale non fosse stata sufficiente la mera esposizione di un credito Iva da portare in compensazione, essendo necessaria la compilazione dei quadri all’uopo destinati alla richiesta di rimborso, in ciò riportando gli orientamenti della Corte di cassazione espressi nelle pronunce n. 15.229/2012 e numero 6986/2014; 2) allo stesso modo, dalla documentazione prodotta in giudizio non risultava la compilazione dell’apposito quadro destinato al rimborso del credito Iva, in quanto dal quadro R.X. emergeva che il credito Iva di Euro 115.000 era stato indicato come credito da utilizzare in compensazione e o in detrazione, e non come credito di cui si chiedeva il rimborso; 3) la perdita del diritto al rimborso del credito Iva, per decorso del termine breve di decadenza per farlo valere, era quindi imputabile alla negligenza del professionista, non solo per l’errore di compilazione della dichiarazione dei redditi, ma anche per la successiva inerzia di quest’ultimo che, a fronte della richiesta del 23/10/2006 dell’Agenzia delle Entrate, pervenuta a sua conoscenza, avrebbe dovuto fornire all’amministrazione i necessari chiarimenti, e farsi parte diligente presso la società cliente per mettere a disposizione la necessaria documentazione, non essendo rilevante che egli non fosse stato indicato quale depositario della documentazione fiscale (cd. “cassetto fiscale”).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Quanto alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla parte intimata, rileva osservare preliminarmente che deve dichiararsi inammissibile, ex art. 372 c.p.c., la produzione nel giudizio di cassazione di documenti non prodotti nel giudizio di merito.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “l’erronea e contraddittoria motivazione relativamente all’asserita applicabilità al caso di specie del termine biennale di decadenza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21 e la mancata applicazione del termine decennale di prescrizione del credito Iva”, assumendo che la Corte di merito non abbia considerato che la richiesta di apporre in compensazione il credito muove dallo stesso presupposto della richiesta di rimborso, e cioè di volere disporre del proprio credito, e che la mancata comparsa compilazione del modello a ciò preposto non può ritenersi quale elemento sufficiente per valutare l’assenza di una volontà inequivoca di ottenere il rimborso. Con il secondo motivo denuncia I’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito all’ affermata negligenza del commercialista e alla colpa professionale, in ciò denunciando sia la mancata la valutazione delle prove testimoniali richiamate nella sentenza di 1^ grado, che l’errata interpretazione di diritto a mente dell’art. 1176 c.c., art. 2229 c.c. e ss.

3. I motivi, vertendo sulla medesima questione vista sotto diversi profili di nullità della sentenza, vengono trattati congiuntamente. Essi vanno ritenuti inammissibili per le seguenti ragioni.

3.1. Quanto al primo motivo, nella materia che concerne la responsabilità del professionista nella predisposizione delle dichiarazioni fiscali vale il principio in base al quale “in tema di rimborso dell’IVA, deve tenersi distinta la domanda di rimborso o restituzione del credito d’imposta maturato dal contribuente, da considerarsi già presentata con compilazione nella dichiarazione annuale del quadro “RX4”, che configura formale esercizio del diritto, rispetto alla presentazione altresì del modello “VR”, che costituisce, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis, comma 1, presupposto per l’esigibilità del credito e dunque adempimento necessario solo a dar inizio al procedimento di esecuzione del rimborso; ne consegue che, una volta esercitato tempestivamente in dichiarazione il diritto al rimborso con la compilazione del quadro “RX4”, la presentazione del modello “VR non può considerarsi assoggettata al termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ma solo a quello di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 c.c..” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 4559 del 22/02/2017; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7684 del 16/05/2012).

3.2. Si osserva che, nel caso di specie, del credito Iva non è stato chiesto il rimborso, bensì la compensazione, determinando così l’amministrazione pubblica a chiedere chiarimenti in merito alla compensazione operata con altri debiti verso la pubblica amministrazione. La Corte di merito, pertanto, ha ritenuto che tale imputazione del credito Iva non sia equiparabile a una richiesta di rimborso, e dunque, nel caso in questione non rileva il fatto che si tratti di un credito Iva o che il modulo di rimborso ad hoc non sia stato compilato, perchè il commercialista ha operato una scelta diversa, da cui non si può desumere la volontà di ottenere il rimborso di un credito. La censura, pertanto, non intacca la ratio decidendi circa l’intervenuta decadenza dalla facoltà di mutare I’ appostazione fiscale nel termine di due anni, atteso che la prescrizione decennale del diritto di rimborso è prevista nel caso in cui dal modello unico sia evincibile una inequivocabile volontà di ottenere il rimborso del credito Iva, quest’ultima certamente non equiparabile alla richiesta di compensazione del credito, che comporta la volontà del contribuente di utilizzare il credito per saldare contestualmente debiti fiscali.

3.3. Quanto al secondo motivo, la Corte di merito ha ritenuto che sarebbe stato onere del professionista, una volta ottenuta notizia dei chiarimenti richiesti alla società dall’amministrazione tributaria, attivarsi per far valere le ragioni del cliente nel biennio, e questo aspetto è stato ritenuto essere il nucleo centrale della responsabilità del commercialista.

3.4. Con riguardo agli oneri connessi all’esercizio della professione di commercialista e alla eventuale sussistenza di limiti all’ incarico ricevuto, la decisione si pone in linea con Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13007 del 23/06/2016, ove ha sancito che “il dottore commercialista incaricato di una consulenza ha l’obbligo – a norma dell’art. 1176 c.c., comma 2, – non solo di fornire tutte le informazioni che siano di utilità per il cliente e rientrino nell’ambito della sua specifica competenza, ma anche, tenuto conto della portata dell’incarico conferito, di individuare le questioni che esulino dalla stessa, informando il cliente dei limiti della propria competenza e fornendogli gli elementi necessari per assumere le proprie autonome determinazioni, eventualmente rivolgendosi ad altro professionista indicato come competente”. In applicazione dell’anzidetto principio, la Suprema Corte ha ritenuto la responsabilità di un commercialista, incaricato di fornire una consulenza tecnico-giuridica a seguito dell’esito infausto di un ricorso dinanzi alla commissione tributaria regionale, per non aver informato il cliente della possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza sfavorevole e della necessità di rivolgersi ad un avvocato al fine di proporre tempestivamente l’impugnazione.

3.5. Più in generale, le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità di svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176 c.c., comma 2, che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione in relazione alla prestazione resa, così da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente (Sez. 3, Sentenza n. 18612 del 05/08/2013; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4790 del 28/02/2014).

3.6. Quanto alla responsabilità del commercialista per la specifica attività professionale che gli compete, vale il principio generale espresso da Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 11213 del 09/05/2017 secondo cui ” la responsabilità del prestatore di opera intellettuale, nei confronti del proprio cliente, per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova, da parte di costui, del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, formando oggetto di un accertamento che non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato”. In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la decisione con cui il giudice di merito aveva accolto la pretesa risarcitoria avanzata da un soggetto che, ricevuto un invito a comparire innanzi all’Agenzia delle entrate, aveva trasmesso la relativa documentazioni ai soggetti incaricati di curare la contabilità fiscale, ritenendo sufficiente – ai fini dell’affermazione della loro responsabilità – la prova dell’avvenuta trasmissione dei documenti, nonchè della condotta consistita, dapprima, nella negligente assenza all’incontro suddetto, nonchè, di seguito, nel suggerimento di proporre una domanda di condono fiscale, rivelatasi soluzione non percorribile giuridicamente.

3.7. Lo standard di diligenza richiesto al commercialista, pertanto, ricomprende il compimento di ogni attività, anche successiva, funzionalmente necessaria a rendere utile la prestazione resa nell’interesse del cliente.

4. La lettura dei due motivi, al lume della motivazione resa dalla Corte d’appello in applicazione di corretti principi di diritto, evidenzia come la loro illustrazione non si correli alla motivazione enunciata dalla Corte territoriale, la quale, in linea con i principi sopra espressi, ha dato risalto non solo al fatto che del credito Iva, portato in compensazione, non sia stato richiesto alcun rimborso utilizzando il modulo prestampato previsto a tale scopo, ma soprattutto alla circostanza che il commercialista, una volta reso edotto della verifica in corso, non si sia attivato per ottenere dal proprio cliente la documentazione necessaria, non essendo rilevante che lo stesso all’epoca non fosse depositario del cosiddetto “cassetto fiscale” del cliente (rendendosi dunque irrilevante ogni analisi delle risultanze istruttorie in proposito esperite nel primo grado di giudizio).

5. Sicchè, i motivi ricadono tutti nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto recentemente rinverdito da Cass. SU n. 7074 del 2017 (in motivazione) secondo cui “il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 “.

6. Conclusivamente il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7000,0 oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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