Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30164 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. III, 22/11/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 22/11/2018), n.30164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2194/2017 proposto da:

M.S., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE LONGHEU giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.P.A., P.I., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA EUSTACHIO MANFREDI 21, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO ANTONELLI, rappresentati e difesi dagli

avvocati PIER LUIGI MELONI, ELIO MARIA MELONI, ENRICO MARIA MELONI

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 777/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 07/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/07/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Ma.An. convenne, con citazione del 10/11/2002, davanti al Tribunale di Oristano P.G., I. e A. esponendo di essere comproprietaria, in regime di comunione legale con il marito M.S., di un fondo agricolo sito in (OMISSIS) e che una parte di detto fondo era occupata da molti anni, sine titulo, dai convenuti i quali avevano anche realizzato una chiusura con una recinzione. Chiese la condanna dei convenuti al rilascio e al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima detenzione. I convenuti eccepirono di aver acquistato la proprietà del terreno da M.S., marito dell’attrice, con una scrittura privata sottoscritta davanti all’Ufficio Vertenze del Sindacato di Oristano a titolo transattivo di una controversia tra loro insorta per il pagamento di crediti da lavoro. I convenuti rappresentarono, infatti, di aver lavorato alle dipendenze del M. dal 1986 al 1989 e di vantare crediti retributivi pari a circa Lire 24.000.000 per ciascuno, saldati dal M. con la cessione del fondo in (OMISSIS), fondo che loro avevano da allora posseduto e sul quale avevano apportato migliorie. P.G. si costituì eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo del tutto estraneo ai rapporti di cui si è detto. Il M. contestò la conformità della scrittura privata all’originale, sostenendo che la transazione stipulata con i P. non aveva ad oggetto la cessione del terreno ma la quantificazione della somme loro riconosciute e corrisposte di circa Lire 8.000.000 ciascuno e che, comunque, la transazione era nulla.

Il Tribunale di Oristano, dapprima con sentenza non definitiva, rigettò la domanda nei confronti di P.G. e ritenne provata la transazione intercorsa tra il M. ed i convenuti, avente ad oggetto la cessione del terreno, della quale la Ma. sarebbe stata al corrente. Dichiarò la nullità parziale della transazione per indeterminatezza dell’oggetto e condannò P.P.A. e I. al rilascio del fondo e al risarcimento dei danni, da quantificarsi nel prosieguo del giudizio. Ritenne valida la transazione con riguardo al riconoscimento dei crediti di lavoro e affermò che, stante la parziale nullità della transazione stessa, dovevano ritenersi riemerse le ragioni di credito originarie; per l’effetto condannò il M. a pagare, in favore dei predetti convenuti, l’importo di Euro 4.131,65 per ciascuno, nonchè una indennità per i miglioramenti apportati sul terreno, mentre liquidò con separato provvedimento sia l’importo delle migliorie sia la misura del risarcimento dovuto dai P. alla Ma..

La Corte d’Appello di Cagliari, adita da Ma.An. e da M.S., per quel che ancora rileva in questa sede, ha ritenuto provata la conformità della transazione all’originale a mezzo di prove testimoniali, ha rigettato l’eccezione di prescrizione del credito di Lire 24.000.000 originariamente maturato dai P., ha rigettato il motivo di appello volto a far valere la nullità della domanda dei P. di pagamento di una indennità per le migliorie apportate al fondo ed ha condannato gli appellanti alle spese del grado.

Avverso quest’ultima sentenza M.S. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resistono con controricorso P.P.A. e P.I..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2719,2725 e 2729 c.c., in relazione all’art. 1697 c.c., art. 1350 c.c., n. 12 e art. 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente censura il capo di sentenza che ha ritenuto possibile la prova per testi sulla conformità della copia dell’atto pubblico (di un trasferimento immobiliare) all’originale. La sentenza sarebbe, sul punto, difforme dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la prova della corrispondenza di una copia fotostatica all’originale, nel caso di atti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam, deve essere necessariamente data con prova scritta, pervenendosi altrimenti alla sostanziale vanificazione dell’imposizione di tale forma (Cass, 2, n. 21114 del 16/9/2013).

1.1 Il motivo è infondato. I fratelli P., con le note istruttorie del 10/6/2004, hanno prodotto gli originali delle copie contestate delle transazioni, produzione che controparte non ha contestato: ne consegue che i P. hanno assolto all’onere della prova su di essi incombente ex art. 1967 c.c., di provare la transazione per iscritto. In ogni caso il giudice aveva accertato che la transazione costituiva prova del debito del M. nei confronti dei due P. per Lire 8.000.000 ciascuno e che, in ogni caso, il disconoscimento di conformità della copia all’originale non impediva al giudice di fare ricorso ad altri mezzi di prova. Rispetto al dedotto interrogatorio formale della Ma. e del M. in ordine al raggiungimento dell’accordo, non essendosi i medesimi presentati a rendere l’interrogatorio, il giudice aveva ritenuto tale comportamento idoneo a far ritenere provati i fatti dedotti, peraltro anche confermati da alcune prove testimoniali acquisite in giudizio.

2. Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 12 e 161 c.p.c. – Violazione degli artt. 2946 e 2948 c.c.(art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4)) il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui, andando oltre il petitum, non avrebbe considerato l’originaria domanda dei P. di ottenere somme satisfattive dei propri crediti da lavoro ma si sarebbe limitata a riconoscere, come dovute, le somme riconosciute a titolo transattivo di Euro 8.000.

2.1 Il motivo innanzitutto difetta di autosufficienza in quanto manca l’indicazione dei passaggi della sentenza che si porrebbero in contrasto con le norme indicate in epigrafe. In secondo luogo la pretesa violazione delle norme sulla prescrizione è manifestamente infondata in quanto risulta, dalla impugnata sentenza, che i coniugi Ma. – M. abbiano indotto, con il proprio comportamento processuale, a ritenere che il loro diritto di credito non fosse esigibile sicchè, sulla base dei principi di correttezza e buona fede nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto, il mancato esercizio del diritto di credito deve ritenersi essere dipeso esclusivamente dalla condotta dello stesso M. il quale, pertanto, non può pretendere di valersene attraverso l’eccezione di prescrizione: pretesa il cui esercizio configura un’ipotesi di abusivo esercizio del diritto. Neppure la pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., può ritenersi fondata in quanto la sentenza, lungi dal riconoscere ai resistenti un bene della vita che essi non avrebbero domandato, ha interpretato correttamente il contenuto delle domande giudiziali e, per effetto delle medesime, ha condannato il M. al pagamento degli importi minimi da lui dovuti, e cioè l’importo minimo delle somme che egli si era impegnato a pagare ai P. e che non aveva mai pagato.

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato, con le conseguenze sulle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, e sul cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater,della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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