Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30161 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. III, 22/11/2018, (ud. 31/01/2018, dep. 22/11/2018), n.30161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26956-2015 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ASTURA 2/B, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DE BEAUMONT,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO ZULLO giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MEDIOLADUM SPA, in persona del dott. S.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CARDINAL DE LUCA 22, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO SIGGIA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato IGNAZIO DANISI giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

CO.AN., ASSICURATORI DEI LLOYD’S DI LONDRA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4820/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/01/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 4/12/2014 la Corte d’Appello di Napoli ha respinto i gravami interposti dal sig. C.G., in via principale, nonchè dalla società Banca Mediolanum s.p.a. e dagli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra, in via incidentale, in relazione alla pronunzia Trib. Avellino n. 2286/08, di parziale accoglimento della domanda dal primo proposta nei confronti di questi ultimi di risarcimento dei danni subiti in conseguenza del comportamento illecito del sig. Co.An., promotore finanziario della società Banca Mediolanum s.p.a., con esclusione della responsabilità di quest’ultima.

Avverso la suindicata decisione della corte di merito il C. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la società Banca Mediolanum s.p.a., che ha presentato anche memoria.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 2909 e 2699 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia escluso la rilevanza del giudicato penale per non aver partecipato la Banca Mediolanum s.p.a. al giudizio penale, laddove “la Banca ha partecipato al giudizio penale, come ha ammesso a pag. 18 della comparsa conclusionale depositata nel giudizio di appello”.

Lamenta che la corte di merito ha erroneamente escluso la rilevanza del giudicato penale di proscioglimento per prescrizione agli effetti civili.

Con il 2 motivo denunzia violazione della L. n. 1 del 1991, art. 5,. D.lgs. n. 415 del 1996, art. 23,D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, art. 2049 c.c., e del regolamento Consob n. 11522 del 1998, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2733 e 1309 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia ritenuto non responsabile la Banca, laddove “l’unico modo per escludere la responsabilità della Banca per fatto altrui era dedurre e provare la collusione del risparmiatore”.

Con il 3 motivo denunzia violazione degli artt. 177 e 178 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente affermato che “non fosse stato impugnato con uno specifico motivo la pronuncia di inammissibilità della prova testimoniale”, laddove l'”attuale ricorrente con il proposto appello (cfr. pag. 5) ha testualmente affermato… che controparte, nel giudizio di primo grado, nè all’esito dell’ammissione della prova orale (cfr. verbale del 15/07/05) e del suo espletamento (cfr. verbale del 07/04/06 e del 07/12/06 e del 20/03/06 relativamente alla prova delegata) nè con le finali conclusioni (cfr. verbale del 02/07/08) ha mai chiesto la revoca di tale ordinanza, ragion e per cui il giudice non poteva, ex art. 178, comma 1, dichiarare d’ufficio la revoca, proprio nel rispetto del principio della disponibilità della prova e dell’interesse delle parti”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati, con le precisazioni di seguito indicate.

Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente pone a loro fondamento atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, (l'”atto di citazione ritualmente notificato”, il “fondo n. (OMISSIS)”, il “modulo di sottoscrizione n. (OMISSIS) “obbligazionario/monetario” della Mediolanum Gestione Fondi s.p.a.”, la “prova orale”, la sentenza del giudice di prime cure, la “sentenza del Tribunale di Bologna del 17/09/2012 (deposita(ta) dalla difesa digli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra, come doc. n. 9, allegato alla comparsa conclusionale)”, i “motivi di appello”, la “revoca dell’ordinanza ammissiva della prova testimoniale”, la “memoria conclusionale” le “memorie di repliche (rectius, replica) di 2^”, i “contratti datati (OMISSIS)”, “tutte le altre prove assunte”, gli “indizi gravi, precisi e concordanti”, il “giudizio penale”, la “pag. 18 della comparsa conclusionale depositata nel giudizio di appello”, la “sentenza penale di secondo grado, passata in giudicato depositata dalla stessa difesa Mediolanum”, la “intervenuta costituzione, quale parte civile, di Banca Mediolanum (cfr. pag. 3)”, la “sentenza del Tribunale di Avellino n. 519/2006 di condanna del Co.”, la “comparsa conclusionale (Doc. n. 57)”, la “denuncia proposta da Mediolanum”, l'”intero incarto processuale”, tutti “gli altri elementi, anche indiziari, confluiti nel processo (in disparte la prova orale ammessa ed espletata)”, le “pag. 13 e 14 dell’atto di appello”, quanto “ampiamente illustrato nel gravame”, l'”istruttoria esperita”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti (es., parte della “sentenza del Tribunale di Bologna del 17/09/2012 (deposita(ta) dalla difesa digli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra, come doc. n. 9, allegato alla comparsa conclusionale) laddove (pag. 11 e segg.) afferma che…)”, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

A tale stregua, l’accertamento in fatto e le relative valutazioni operate dalla corte di merito nell’impugnata sentenza rimangono invero non idoneamente censurate dall’odierno ricorrente.

E’ al riguardo appena il caso di osservare come si sia da questa Corte ripetutamente affermato che il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., n. 6 deve essere dal ricorrente sempre rispettato nella redazione del ricorso per cassazione (come ripetutamente affermato in particolare con riferimento all’ipotesi ex art. 112 c.p.c.: cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978. E, da ultimo, Cass., 13/2/2018, n. 3406), financo allorquando la Corte di legittimità è giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, giacchè preliminare ad ogni altra questione si prospetta in tale ipotesi quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 25/9/2017, n. 22333 e Cass., 13/2/2018, n. 3406).

Non può d’altro canto sottacersi, avuto in particolare riferimento al 1 e al 2 motivo, come il ricorrente prospetti altresì doglianze di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica,

e non anche come nella specie l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Va sotto altro profilo sottolineato che l’odierno ricorrente inammissibilmente invoca l’applicazione del giudicato esterno con riferimento a sentenza emessa in giudizio tra parti diverse, atteso che nell’impugnata sentenza viene espressamente affermato che “la banca non risulta aver partecipato al giudizio penale”.

Orbene, questa Corte ha avuto più volte modo di precisare come sia al riguardo necessario che vi sia coincidenza delle parti tra il giudizio penale e quello civile, in particolare evidenziando che non soltanto l’imputato ma anche il responsabile civile e la parte civile debbono aver partecipato al processo penale (v. Cass., 30/10/2007, n. 22883Cass., 20/9/2006, n. 20325), in quanto l’art. 654 c.p.p. (diversamente dall’art. 652 c.p.c. relativo ai giudizi civili di risarcimento del danno) esclude che possa avere efficacia in un successivo giudizio civile la sentenza penale di condanna o di assoluzione con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione (v. Cass., 2/3/2010, n. 4961).

Non può d’altro canto sottacersi, con particolare riferimento al 1 motivo, come laddove lamenta che “la Banca ha partecipato al giudizio penale… ed il giudice civile di appello… ha affermato l’esatto contrario”, quantomeno con riferimento alla veste di responsabile civile, il ricorrente prospetti in realtà un vizio revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, invero inammissibile nella presente sede.

Del pari, per altro verso, non può sottacersi che in proposito il ricorrente invero nemmeno osserva l’ulteriore principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il giudicato esterno può fare stato nel processo solamente laddove vi sia certezza in ordine alla relativa formazione, imprescindibile essendo pertanto che colui il quale ne invoca l’autorità (v. Cass., 19/9/2013, n. 21469; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., Sez. Un., 16/6/2006, n. 13916) fornisca la prova al riguardo, mediante la produzione della sentenza munita dell’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c. in ordine all’intervenuto relativo passaggio in giudicato (v. Cass., Sez. Un., 2/3/2017, n. 5302; Cass., Sez. Un., 14/3/2016, n. 4909; Cass., 14/7/2015, n. 14646; Cass., 3/4/2014, n. 7768; Cass., 19/9/2013, n. 21469. E, da ultimo, Cass., 28/2/2018, n. 4569).

Con riferimento al 1 motivo, va ancora osservato quanto segue.

E’ anzitutto appena il caso di premettere che giusta orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui nel giudizio di cassazione l’esistenza del giudicato esterno è – al pari di quella del giudicato interno – rilevabile d’ufficio non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 c.p.c., non può invero trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti, non assumendo in tal caso la medesima alcuna valenza enunciativa della regula iuris cui il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, e potendo ravvisarsi la sua astratta rilevanza soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità (cfr. Cass., 26/9/2017, n. 22376; Cass., 19/11/2010, n. 23483).

Va d’altro canto ribadito che solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima) pronunziata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile (o amministrativo) per le restituzioni ed il risarcimento del danno, e non anche la sentenza di non doversi procedere (oltre che per amnistia) come nella specie perchè il reato è estinto per prescrizione, cui non va riconosciuta alcuna efficacia extrapenale benchè, per giungere a tale conclusione, il giudice abbia accertato e valutato il fatto, sicchè in tale ipotesi il giudice civile deve procedere autonomamente all’accertamento ed alla valutazione dei fatti. (cfr. Cass., Sez. Un., 26/1/2011, n. 1768, e, conformemente, Cass., 25/9/2014, n. 20252, nonchè, da ultimo, Cass., 21/4/2016, n. 8035 e Cass., 12/10/2018, n. 25365).

Deve al riguardo altresì confermarsi: a) quanto al profilo oggettivo, che la condanna generica al risarcimento dei danni, contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice riconosca che la parte civile vi ha diritto, non esige alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, ma postula soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nel giudizio di liquidazione del quantum la possibilità di esclusione anche dell’esistenza stessa di un danno unito da rapporto eziologico con il fatto illecito (v. Cass., Sez. Un., 26/1/2011, n. 1768). In ordine b) al profilo soggettivo, come sia indefettibilmente necessaria la coincidenza delle parti tra il giudizio penale e quello civile, e cioè che non soltanto l’imputato ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale (v. Cass., 20/9/2006, n. 20325).

Orbene, nell’affermare non essere nella specie “possibile ritenere che sia vincolante nei confronti della banca l’accertamento del fatto contenuto nella sentenza penale, prodotta dal C. solo con la memoria di replica relativa al giudizio di primo grado, poichè la banca non risulta aver partecipato al giudizio penale”, dei suindicati principi nell’impugnata sentenza la corte di merito ha fatto invero piena e corretta applicazione.

Con riferimento al 2 motivo, va ulteriormente sottolineato che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità la previsione (già in base alla L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4, successivamente confermata dal D.Lgs. n. 415 del 1998, art. 23, e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3) della responsabilità solidale tra l’intermediario ed il promotore finanziario per i danni da questi arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze è in linea di continuità con la regola di responsabilità accolta all’art. 2049 c.c. (v. Cass., 20/3/2006, n. 6091).

Trattasi di una regola di responsabilità che, avuto in particolare riguardo all’intermediario, prescindendo dal criterio della colpa trova fondamento nel principio cuius commoda eius et incommoda, in ordine alla quale non è data invero prova liberatoria, trattandosi di vera e propria ipotesi di responsabilità oggettiva, funzionalmente volta alla tutela dei terzi e del mercato (cfr., da ultimo, Cass., 12/10/2018, n. 25374).

Si spiega a tale stregua come ai fini della responsabilità risarcitoria in argomento sia necessaria e sufficiente la sussistenza di un nesso di occasionalità necessaria (v. Cass., 12/3/2008, n. 6632; Cass., 20/3/1999, n. 2574) tra esecuzione delle incombenze e danno, tra i quali sussista un mero collegamento obiettivo.

Indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e dal carattere di continuità dell’incarico (v. Cass., 21/6/1999, n. 6233) affidato all’agente, ai fini della responsabilità in argomento dell’intermediario nei confronti dei terzi in relazione all’attività illecita posta in essere dal promotore finanziario è cioè sufficiente che la medesima sia stata agevolata o resa possibile dall’intervento di quest’ultimo nell’attività d’impresa, di cui sintomatico riscontro costituiscono la presenza del medesimo nei locali della banca, l’utilizzo della modulistica di pertinenza e la spendita del nome (cfr. Cass., 24/7/2009, n. 17393).

Al riguardo, decisivo rilievo assume in realtà l’ingenerata situazione di apparenza che esponga il terzo, il quale vi faccia non colposamente affidamento, all’ingerenza dannosa del promotore finanziario.

Quest’ultimo è invero tenuto ad una condotta improntata a diligenza qualificata, che l’impegna all’adeguato tecnico, con impiego di energie e mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell’attività esercitata (cfr. Cass., 8/10/2008, n. 24791; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 31/5/2006, n. 12995), nonchè a trasparenza (D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 17, comma 1, lett. a); D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. b)) e a correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale, che trova applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui – nei limiti dell’apprezzabile sacrificio -, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi (cfr. Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 30/10/2007, n. 22860; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 20/2/2006, n. 3651).

Nè, ai fini dell’esclusione della configurabilità della responsabilità in argomento, può riconoscersi invero rilievo all’abuso dei poteri da parte del preposto (cfr. Cass., 30/1/2008, n. 2089), e cioè che il medesimo abbia ecceduto i limiti dell’incarico (cfr. Cass., 29/9/2005, n. 19166; Cass., 22/10/2004, n. 20588), anche trasgredendo gli ordini ricevuti, o che abbia agito per finalità estranee a quelle del preponente ovvero per fini di privata autonomia, e financo che abbia commesso un illecito penale (cfr. Cass., 25/1/2011, n. 1741).

L’interesse del preponente non può infatti valere ad escludere la responsabilità del medesimo in argomento, nè al riferimento alle incombenze (non espressamente contemplato dal D.Lgs. n. 415 del 1996 e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3) può d’altro canto assegnarsi una valenza limitativa della tutela degli investitori (cfr. Cass., 25/1/2011, n. 1741).

Si è per altro verso posto in rilievo che la responsabilità solidale della società di intermediazione mobiliare per i danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari va esclusa allorquando la condotta del danneggiato presenti connotati di “anomalia”, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche (v. Cass., 31/7/2017, n. 18928; Cass., 4/11/2014, n. 23448; Cass., 13/12/2013, n. 27925; Cass., 24/3/2011, n. 6829).

Incombe all’investitore l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore, mentre spetta all’intermediario quello di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore (v. Cass., 31/7/2017, n. 18928; Cass., 19/3/2010, n. 6708).

Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

In particolare là dove, dopo aver premesso che nella specie “non è controversa la qualifica del Co. quale promotore finanziario della banca, la quale non può essere esente da responsabilità se non prova l’insussistenza del nesso di occasionalità necessaria tra le incombenze affidate al preposto e la consumazione dell’illecito, ovvero la collusione del consumatore con il preposto, secondo il più recente orientamento della S.C. (Cass. n. 1741/2011)”, ha sottolineato come risulti “dagli atti che il Co. ha agito quale promotore della banca ed in tale qualità ha sottoscritto i contratti del (OMISSIS) in cui è indicato anche il codice del promotore”.

Ancora, nella parte in cui ha aggiunto che “anche in presenza di un’obbligazione in solido, quale quella della banca per l’illecito del promotore, valgono i principi in materia di efficacia dei mezzi istruttori, con la conseguenza che, in mancanza di apprezzabili elementi istruttori diversi dalla confessione altrui, i condebitori potranno andare legittimamente esenti da condanna anche in caso di condanna del confitente”.

Del pari, là dove è pervenuta a concludere che “Nel caso di specie il primo giudice non ha ravvisato utili elementi di riscontro alla confessione del promotore, ritenendo non sufficientemente provata la domanda nei confronti della banca per l’inutilizzabilità delle deposizioni testimoniali raccolte e per il difetto di prova documentale dei pagamenti”.

Con particolare riferimento al 3 motivo, va infine osservato che come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo le ordinanze con cui il giudice istruttore o il collegio decidono in ordine alle richieste di ammissione delle prove e dispongono in ordine all’istruzione della causa sono di norma revocabili, anche implicitamente, e non pregiudicano il merito della decisione della controversia, non essendo pertanto idonee ad acquistare efficacia di giudicato, nè per altro verso spiegano alcun effetto preclusivo, qualsiasi questione potendo essere nuovamente trattata in sede di decisione e diversamente delibata (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 14/5/1992, n. 5738; Cass., 9/10/1985, n. 4919).

E’ infatti consentito al giudice, in sede di valutazione delle prove ai fini del giudizio, considerare irrilevante anche l’oggetto di una prova testimoniale in precedenza ammessa ed espletata (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 22/12/2000, n. 16113; Cass., 18/2/1983, n. 1263. Cfr. altresì, più recentemente, Cass., 24/1/2007, n. 1596; Cass., 10/12/2009, n. 25825; Cass., 16/12/2013, n. 28021).

Orbene, di tale principio la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

In particolare là dove ha affermato che “nel caso di specie, il Tribunale…, dopo aver ammesso ed espletato la prova testimoniale nella fase istruttoria, diversamente in sentenza ha ritenuto in sentenza ha ritenuto l’inammissibilità della prova testimoniale per il pagamento di somme di grossa entità, dimostrabile solo documentalmente ai sensi dell’art. 2726 c.c. Tale diversa valutazione del giudice al momento della decisione era sicuramente possibile, indipendentemente da una richiesta delle parti, ben potendo il giudicante riesaminare i presupposti su cui si fondano le ordinanze istruttorie precedentemente emesse e di considerare inammissibile e/o irrilevante l’oggetto di una prova testimoniale precedentemente ammessa”.

Ancora, nella parte in cui ha precisato che “a tale conclusione necessariamente si perviene in considerazione della natura non definitiva dell’ordinanza istruttoria, sempre revocabile e modificabile, che non può mai pregiudicare la decisione della causa ed è soggetta ad ulteriore vaglio nella fase decisoria”.

Emerge dunque evidente, alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente società Banca Mediolanum s.p.a., seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 12.000,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge, in favore della controricorrente società Banca Mediolanum s.p.a.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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