Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30160 del 15/12/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/12/2017, (ud. 21/11/2017, dep.15/12/2017),  n. 30160

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con l’impugnata sentenza n. 23, depositata il 25/3/2011, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Genova, confermando così l’annullamento dell’avviso di liquidazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, oltre interessi e sanzioni, emesso nei confronti di S.V.I. – Società Vendite Immobiliari s.r.l. in liquidazione (già Tono s.p.a.), a seguito della disposta revoca del regime agevolato previsto dall’art. 1, comma 1, sesto periodo, Tariffa, Parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, relativamente all’acquisto di fabbricati, siti nel Comune di Genova, in regime di esenzione IVA D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10, comma 1, n. 8 bis, per mancato rispetto della condizione di ritrasferimento entro tre anni.

Rileva, al riguardo, la Commissione Tributaria Regionale che la Tono s.p.a, totalmente controllata dal Comune, e creata per la dismissione degli immobili ad uso abitativo dell’ente pubblico, a tal fine ad essa ceduti beneficiando dell’applicazione dell’aliquota agevolata dell’1%, per l’imposta di registro, e dell’imposta ipotecaria e catastale in misura fissa, aveva provveduto a trasferire la proprietà degli immobili rimasti invenduti ad altra società partecipata, la S.I.V. s.p.a., in prossimità della scadenza del triennio, e che tale circostanza integra una condotta non elusiva, ma lecita, in quanto finalizzata ad evitare un onere tributario, essendo ai fini del regime agevolato sufficiente che la società Tono, nella cui attività rientrava la vendita dei beni sulla base del programma stabilito dal Comune, avesse dichiarato, nell’atto di acquisto, l’intenzione di ritrasferite gli immobili entro il termine dei tre anni.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, mentre la intimata resiste con controricorso, propone ricorso incidentale e deposita memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, sesto periodo, Tariffa, Parte 1, D.P.R. n. 131 del 1986, nonchè del generale principio del divieto di abuso del diritto desumibile dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, giacchè il Giudice di appello non ha considerato che la società Tono ha fatto ricorso ad un mero escamotage, e cioè la vendita ad altra società appartenente al medesimo gruppo societario, per evitare l’onere fiscale dell’applicazione delle aliquote d’imposta ordinarie, in quanto non aveva alcuna valida ragione economica per disporre “in blocco” degli immobili in questione, rientrando il rischio di non trovare un compratore entro il triennio tra quelli assunti dall’impresa acquirente nel momento in cui aveva deciso di beneficiare dell’agevolazione, restando estranee alla problematica fiscale le finalità pubbliche perseguite con l’operazione di dismissione del patrimonio immobiliare comunale.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o comunque insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la circostanza che la dismissione del patrimonio immobiliare fosse assoggettata ai vincoli programmatici stabiliti dal Comune di Genova, a tutela degli inquilini più disagiati, non esclude la natura elusiva della condotta posta in essere dalla società S.V.I. (già Tono s.p.a.), in relazione alla cessione “in blocco” dei beni, nè è idonea ad evitare la decadenza dall’agevolazione, posto che l’onere finanziario dell’applicazione della aliquota ordinaria sarebbe ricaduto sulla società e non certo sugli utenti.

Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 53, violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, sesto periodo, Tariffa, Parte 1, D.P.R. n. 131 del 1986, giacchè il Giudice di appello, erroneamente interpretando la predetta disposizione, ha affermato che essa “richiede solo una dichiarazione di intenzione di trasferimento, non che tale trasferimento effettivamente venga attuato”, laddove, invece, la nota 2^-ter) al citato art. 1, stabilisce esattamente il contrario.

Con il ricorso incidentale condizionato la società S.V.I. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la contribuente, sia in primo che in secondo grado, ha contestato la legittimità dell’impugnato avviso di liquidazione anche per la motivazione perplessa dell’atto impositivo, vizio implicitamente escluso dal Giudice di appello, giacchè l’Ufficio richiama più argomenti e cioè che: 1) la cessione degli immobili all’interno dello stesso gruppo societario “non realizza una effettiva alienazione dei beni dal patrimonio del venditore in quanto gli immobili restano comunque e nei fatti nella sfera patrimoniale del gruppo economico di imprese facente capo alla SPIM s.p.a.” (società strumentale interamente posseduta dal Comune); 2) il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 ai fini dell’imposizione sui trasferimenti immobiliari, impone di considerare la intrinseca natura e gli effetti degli atti presentati alla registrazione, nonchè le finalità elusive dell’operazione per cui è causa, destinata ad evitare la decadenza dall’agevolazione, la simulazione o nullità dei contratti stipulati, profili che l’Ufficio può rilevare ove posti in essere al solo fine di sottrarsi al pagamento delle imposte la società contribuente ripropone, altresì, le questioni – assorbite – afferenti l’applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 23 in relazione alla base imponibile sulla quale sono state calcolate le maggiori imposte, nonchè la irrogazione delle sanzioni.

I motivi del ricorso principale, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati e meritano accoglimento.

La questione che la ricorrente pone all’attenzione del Collegio si traduce, in estrema sintesi, nell’interrogativo se possa, o meno, costituire operazione fiscalmente elusiva, il trasferimento “in blocco” della proprietà degli immobili rimasti invenduti, dalla società Tono, alla società S.V.I., la quale contestualmente all’atto assumeva una nuova denominazione (Tono s.p.a.), nell’imminenza della scadenza del triennio entro cui doveva imperativamente avvenire la rivendita dei cespiti, trattandosi di società appartenenti allo stesso gruppo, facente capo, tramite la SPIM s.p.a., al Comune di Genova, e se siffatto trasferimento sia in ogni caso idoneo ad evitare la decadenza dall’agevolazione di cui all’art. 1, comma 1, sesto periodo, Tariffa, Parte 1, D.P.R. n. 131 del 1986, avuto riguardo all’atto di vendita intercorso tra il Comune e la Tono s.p.a. nel 2001.

Ebbene, la risposta negativa, offerta dalla impugnata decisione, appare censurabile per quanto di seguito precisato.

Giova premettere che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, sesto periodo, della Tariffa allegata al D.P.R. 131 del 1986, l’agevolazione spetta ” se il trasferimento…. è effettuato nei confronti di imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di beni immobili, ed in forza della successiva specificazione, “a condizione che l’acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni”.

Trattandosi di disposizione agevolativa, soggetta al criterio di stretta interpretazione, la previsione di favore contenuta nella disposizione va posta in stretto rapporto con il presupposto della agevolazione medesima, che è costituito dalla attività esclusiva o principale delle società acquirenti alla rivendita degli immobili, essendo evidente come essa intenda favorire la rivendita, quale condizione posta per godere della agevolazione, la quale diversamente non ha ragione di essere riconosciuta.

Inoltre, la nota 2-ter) al citato art. 1, prevede che “Ove non si realizzi la condizione, alla quale è subordinata l’applicazione dell’aliquota dell’1 per cento, del ritrasferimento entro il triennio, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute nella misura ordinaria e si rende applicabile una soprattassa del 30 per cento oltre agli interessi di mora di cui all’art. 55, comma 4 presente testo unico. Dalla scadenza del triennio decorre il termine per il recupero delle imposte ordinarie da parte dell’amministrazione finanziaria.”, cosicchè non appare dubitabile che, ai fini qui considerati, nulla rilevano le cause della mancata attuazione della programmata dismissione degli immobili.

Il Giudice di appello, avuto riguardo all’atto traslativo del 31/5/2004, tra la società Tono e la società S.V.I., per un verso, non ha escluso l’idoneità del negozio ad attuare una effettiva circolazione commerciale del bene, e siffatta soluzione è evidentemente imperniata sulla distinta personalità giuridica di ciascuna delle società facenti parte del gruppo, per altro verso, ha escluso la valenza elusiva dell’operazione, sia perchè non sarebbe agevole l’individuazione a livello normativo del concetto stesso di elusione fiscale, sia perchè il risparmio d’imposta non costituisce – di per sè – un fine contrario alla legge, specialmente ove si consideri che il negozio era finalizzato alla realizzazione di interessi generali, di natura latamente pubblicistica, quali appunto quelli perseguiti dal Comune di Genova, nonostante che, per quanto concerne tale ultimo profilo, nella normativa di riferimento non si rinvenga alcuna riferimento a tale tipo di interressi.

Com’è noto, la giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso di escludere che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 sia disposizione dal legislatore predisposta al recupero di imposte “eluse”, questo perchè l’istituto dell'”abuso del diritto” nel campo delle imposte, in attualità disciplinato dalla L. 27 luglio 2000, n. 212 del 2000, art. 10 bis presuppone una mancanza di “causa economica” che non è invece prevista per l’applicazione dell’art. 20 citato, norma che semplicemente impone, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, di qualificare l’atto o il “collegamento” negoziale in ragione del loro “intrinseca” natura, e cioè in ragione degli effetti “oggettivamente” raggiunti dal negozio o dal “collegamento” negoziale. E’ stato, inoltre, precisato che la fattispecie regolata dall’art. 20 citato nemmeno ha a che fare con l’istituto della simulazione, atteso che la riqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio o quel “collegamento” negoziale, e questo appunto perchè ciò che conta sono gli effetti “oggettivamente” prodottisi (Cass. n. 2050/2017, n. 9582/2016, n. 10211/2016, n. 9573/2016, n. 18454/2016).

La Corte ha chiarito che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo, e sulla loro forma apparente, vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma e, quindi, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti, ed ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti, con la conseguenza di dover riferire l’imposizione al risultato di un comportamento nella sostanza unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali, atomisticamente considerati (Cass. n. 10216/2016; n. 1955/2015; n. 14150/2013; n. 6835/2013).

Il D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 1 e 20 vanno letti nel senso che l’oggetto dell’imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1 agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati per la registrazione, nella sostanza, è costituito dagli effetti giuridici di tali atti, ma l’imposta si collega all’atto come negozio e non all’atto come documento (Cass. n. 3481/2014), sicchè “l’incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano” (Cass. n. 3562/2017).

In conclusione, in tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, detta una regola interpretativa e non antielusiva, la cui applicazione non è soggetta al contraddittorio endoprocedimentale previsto per l’utilizzazione delle disposizioni antielusive (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, oggi art. 10-bis della L. n. 212 del 2000), e si traduce nella possibilità per l’Ufficio di dare una qualificazione oggettiva dell’atto o degli atti, secondo la causa concreta dell’operazione negoziale complessivamente considerata, a prescindere dall’eventuale disegno o intento elusivo delle parti.

Orbene, la intervenuta cessione degli beni immobili dalla società Tono, alla società S.V.I. (nell’occasione ridenominata Tono s.p.a.), entrambe appartenenti – com’è pacifico – al medesimo gruppo societario ed aventi il medesimo scopo sociale, quello appunto di effettuare la vendita degli immobili a privati, non costituisce un trasferimento idoneo ad evitare il verificarsi della condizione risolutiva dell’agevolazione (cioè il mancato trasferimento infratriennale), proprio perchè il legislatore ha posto un preciso limite temporale per l’immissione dei beni sul mercato delle abitazioni, certamente non prorogabile, nè tantomeno eludibile reiterandone “in blocco” la cessione, cioè “parcheggiando” gli immobili presso altra società avente analogo scopo, per cui rispetto all’effettivo conseguimento del risultato finale richiesto per godere dell’agevolazione, il passaggio del potere di godimento e di disposizione sui beni dall’una all’altra società del gruppo resta senza conseguenze proprio perchè non realizza la finalità dell’agevolazione.

La decisione di secondo grado trascura di considerare non solo che la personalità giuridica delle singole società del gruppo non può intendersi come uno schermo insuperabile per operazioni economiche tra soggetti solo formalmente diversi, ed in tale ottica appare pertinente il richiamo al consolidato fiscale nazionale (D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 117/129), istituto con il quale viene riconosciuta nel nostro ordinamento, anche ai fini delle imposte sul reddito, la realtà economica dei gruppi di imprese, ma soprattutto che l’operazione infragruppo, nel caso di specie, non realizza la ratio legis dell’agevolazione per cui è causa e, rispetto alla prevista decadenza, rimane priva di efficacia.

Le considerazioni che precedono consentono di disattendere anche il motivo di ricorso incidentale (condizionato) proposto dalla società S.V.I. atteso che la motivazione dell’atto impositivo impugnato, lungi dall’essere perplessa, abbraccia tutti i profili rilevanti ai fini della disposta decadenza della agevolazione, il che ha reso possibile l’esercizio del diritto di difesa del contribuente.

Inoltre, nel giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato nella parte in cui si propongono censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma sono relative a questioni sulle quali il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione: esse, pertanto, possono solo essere riproposte nel giudizio di rinvio.

Il Giudice di appello, in conclusione, ha trascurato l’efficacia interpretativa e probatoria di tutti gli elementi fattuali dedotti dall’Agenzia delle Entrate a fondamento della dedotta inidoneità del negozio traslativo ad evitare la decadenza dall’agevolazione, e disatteso i principi di diritto in precedenza esposti, per cui la sentenza va conseguentemente cassata.

Dovendosi procedere al discernimento di una tipica quaestio fatti si impone il rinvio ad altra sezione della medesima CTR, la quale rivaluterà la fattispecie, esaminerà le questioni rimaste assorbite, e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2017

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