Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30151 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/11/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 20/11/2019), n.30151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26327/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso cui è domiciliata in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Media Club s.r.l. (già Media Club s.p.a.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.

Giovanni D’Abruzzo, giusta procura speciale in calce alla comparsa

di costituzione con revoca del precedente mandato, elettivamente

domiciliata presso il suo studio, in Milano, via Francesco Ferrucci

n. 6;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 1421/2014, depositata il 20 marzo 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2019 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.In data 28-10-2003 la Media Club s.p.a. (poi s.r.l.) presentava il modello unico 2003 per l’anno di imposta 2002, indicando al rigo RN19 di avere sopportato ritenute d’acconto per Euro 106.404,00, mentre il corretto importo delle stesse era di Euro 327.509,90, con conseguente versamento di maggiore Irpeg per Euro 221.105,90 (Euro 327.609,90 – 106.404,00). In data 22-4-2008 la società presentava istanza di rimborso per la restituzione della maggiore somma versata ed in tale sede evidenziava di avere presentato il 22-10-2007 una dichiarazione integrativa di emenda del modello unico 2003, indicando l’esatto ammontare delle ritenute.

2.La Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la sentenza della Commissione provinciale che aveva accolto il ricorso della contribuente, evidenziando che la dichiarazione dei redditi era emendabile nel termine di quattro anni.

3.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, depositando memoria scritta.

4.Resiste con controricorso la società, depositando memoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto è pacifico che la dichiarazione integrativa del modello unico 2003, relativa ai redditi del 2002, è stata presentata il 22-10-2007. Tuttavia, ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis le dichiarazioni integrative favorevoli al contribuente possono essere presentate non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, quindi entro il 2004. Il termine di quattro anni di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, si applica, invece, nel caso in cui la dichiarazione integrativa sia favorevole al fisco.

1.1.Tale motivo è fondato.

1.2.Invero, costituisce circostanza pacifica quella per cui la società, dopo aver per errore indicato l’importo delle ritenute, nel modello unico 2003, relativo all’anno di imposta 2002, per la somma di Euro 106.404,00, con conseguente maggiore Irpeg, ha, poi, presentato il 22-10-2007, dichiarazione integrativa con cui ha indicato le ritenute in Euro 327.510,00, provvedendo poi a chiedere il rimborso delle somme versate in eccedenza in data 22-4-2008.

1.3.Invero, per questa Corte, a sezioni unite, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Cass.Civ., 30 giugno 2016, n. 13378).

Pertanto, è pacifico che la dichiarazione integrativa sia stata presentata con ritardo, in quanto solo in data 22-10-2007 si è provveduto ad emendare la precedente dichiarazione del 2003, relativa all’anno di imposta 2002, mentre, trattandosi di dichiarazione a favore del contribuente, il termine ultimo era costituito da quello stabilito per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, quindi nel 2004.

L’inosservanza del termine previsto dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis per la dichiarazione integrativa a favore del contribuente comporta soltanto la impossibilità di far valere in compensazione il credito, ferma restando la facoltà di richiedere il rimborso ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nel termine di quattro anni che decorre dalla data del versamento.

1.4.La decisione di questa Corte, a sezioni unite, poi consente, comunque, la possibilità per il contribuente di “opporsi” in sede contenziosa alla maggiore pretesa tributaria della amministrazione finanziaria, ma non è consentito al contribuente, che ha pagato maggiori somme rispetto a quelle dovute, di opporre in compensazione tali somme alle pretese della amministrazione, nè allo stesso modo, di chiedere la restituzione delle stesse somme nel corso del giudizio instaurato avverso il silenzio rifiuto opposto alla richiesta di rimborso, qualora la stessa sia stata presentata oltre il termine di decadenza espressamente previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, atteso che il principio della deducibilità anche in giudizio di eventuali errori commessi dal contribuente nella dichiarazione dei redditi non può essere utilizzato per eludere i termini decadenziali espressamente previsti dalla legge (Sez.U. n. 13378 del 2916 pag. 6/7 motivazione); in ogni caso il principio della generale emendabilità della dichiarazione consente di opporsi in sede di giudizio ad una pretesa dell’Amministrazione finanziaria contenuta in un atto impositivo (avviso di accertamento; cartella di pagamento), mentre in caso di rifiuto (tacito o espresso) della istanza di rimborso non si è in presenza di alcun atto impositivo emesso dalla Agenzia delle entrate.

1.5.Nè può trovare applicazione il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis dopo l’innovazione di cui al D.L. 22 ottobre 2016, convertito in L. 1 dicembre 2016, n. 225, il quale prevede che “resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria, determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito”.

Infatti, da un lato, si rileva che tale disposizione consente la possibilità per il contribuente di far valere in sede di giudizio tributario eventuali errori commessi nella dichiarazione, ma non supera il principio affermato dalle sezioni unite della Cassazione, che limita tale facoltà solo in caso di opposizione del contribuente ad una pretesa della agenzia delle entrate, e dall’altro, che tale norma ha efficacia innovativa, ma non di interpretazione autentica (in tal senso cfr. Cass., 30 novembre 2018, n. 31052).

1.6.Nè la norma, con la interpretazione restrittiva accolta, quindi applicabile solo nei giudizi in cui il contribuente si oppone ad una pretesa della amministrazione ma non nei giudizi di rimborso, comporta l’illegittimità costituzionale della stessa ai sensi dell’art. 3 Cost. come prospettata dalla società nella memoria scritta, differenziando senza ragione le possibilità di difesa del contribuente solo in relazione alla scelta della amministrazione di emettere o meno un atto impositivo.

In realtà, e per questa ragione la questione è manifestamente infondata, il contribuente che ha versato somme maggiori rispetto a quelle dovute, ha la possibilità di utilizzare lo strumento del rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, entro il lasso temporale di quattro anni.

1.7.Nè si può tenere conto della cartella di pagamento prodotta solo in questa sede relativa al controllo automatizzato eseguito ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, con esclusione della eccedenza Ires di Euro 221.106, trattandosi peraltro di atto autonomo diverso da quello impugnato nel presente giudizio.

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il versamento del saldo Irpeg per l’anno di imposta 2002 è stato effettuato il 20-6-2003, mentre i versamenti degli acconti sono stati effettuato il 20-6-2002 ed il 21-12-2002, sicchè l’istanza di rimborso doveva essere presentata entro il 20-6-2007. La contribuente ha presentato l’istanza di rimborso solo il 22-4-2008.

2.1.Tale motivo è fondato.

Invero, è pacifico che la domanda di rimborso, riferita al periodo di imposta 2002 (modello unico 2003), è stata presentata solo il 22-4-2008, quindi quando erano decorsi i quattro anni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, con il dies a quo determinato dalla data dei versamenti.

Il versamento a saldo è stato eseguito il 20-6-2003, mentre gli acconti sono stati versati il 20-6-2002 ed il 21-12-2002, mentre l’istanza di rimborso è del 22-4-2008.

3.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione ai motivi accolti ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso originario della contribuente.

4.Le spese dei gradi di merito vanno compensate tra le parti per la particolare natura della controversia.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della società, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente.

Compensa tra le parti le spese dei giudizi dei gradi di merito.

Condanna la società a rimborsare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 7.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 20 novembre 2019

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