Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30142 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/11/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 20/11/2019), n.30142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo M. – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9324/2013 R.G. proposto da:

Imperial Service S.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., elett.te

domiciliato in Roma, alla via Cunfida n. 20, presso lo studio

dell’avv. Francesco Oliveti, unitamente all’avv. Mario Piccolo da

cui è rapp.to e difeso, come da procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 183/06/12 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata il 12/10/2012, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

settembre 2019 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano;

udito per la ricorrente l’avv. Mario Piccolo;

udito per la controricorrente l’avv. Lucrezia Fiandaca;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Tommaso Basile che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 183/06/12, depositata il 12 ottobre 2012, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 257/35/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con condanna della società contribuente al pagamento delle spese di lite.

Il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione da parte della Imperial Service S.r.l., nella qualità di acquirente, di un avviso di rettifica e liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, aveva rideterminato il valore di una compravendita immobiliare, relativa a vari cespiti, sulla base di un PVC della polizia tributaria che aveva rilevato un occultamento di corrispettivo per Euro 187.000,00, pari alla differenza tra il prezzo fissato nel contratto preliminare e quello riportato nel definitivo stipulato pochi mesi dopo.

La Commissione di primo grado aveva accolto il ricorso della società acquirente ritenendo giustificata la differenza di prezzo per l’assenza nel contratto definitivo di un terreno di mq 12.000, presente invece nel preliminare.

La CTR riformava la decisione di primo grado, rilevando che gli elementi di prova offerti dall’Ufficio, quali il breve lasso di tempo trascorso tra preliminare e definitivo, la perizia di stima in atti da cui risultava il valore superiore dei cespiti riportato nel preliminare, il contratto di mutuo stipulato dalla società ed il verbale di assemblea che deliberava l’acquisto, sempre per l’importo più elevato di cui al preliminare, costituissero circostanze gravi, precise e concordanti sufficienti a provare ex art. 2729 c.c., l’occultamento del prezzo; quanto alla prova contraria offerta dalla società rilevava che, a prescindere dalla sua destinazione, dagli atti risultava un terreno individuato da particelle catastali presenti sia nella perizia di stima che nei due contratti, preliminare e definitivo.

2. Avverso la sentenza di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 3 aprile 2013, affidato a quattro motivi; l’Agenzia ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la Imperial Service S.r.l. censura la sentenza impugnata, deducendo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., per aver ritenuto che il contratto preliminare vincolasse le parti nel definitivo ai fini del prezzo;

2. con il secondo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., nonchè ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, per l’assenza del ragionamento logico che avrebbe portato la CTR a ritenere gli elementi utilizzati idonei a fondare una prova presuntiva, sebbene privi di valore probatorio ed indiziario;

3. con il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e insufficiente motivazione ed illogicità manifesta, per aver ritenuto irrilevante la destinazione urbanistica del terreno;

4. con il quarto motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 116 c.p.c., travisamento dei fatti, vizio di motivazione ed illogicità manifesta, per avere la sentenza impugnata fondato la sua decisione su una errata valutazione della documentazione esibita da cui si evinceva la diversità di oggetto tra preliminare e definitivo.

5. Il primo motivo è inammissibile in quanto non risulta attinente alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che non ha in nessuna sua parte esaminato la questione della sussistenza di vincoli, in relazione al prezzo, per i contraenti di un preliminare all’atto della stipula del definitivo, avendo posto a fondamento del decisum esclusivamente la presenza di elementi di fatto idonei a provare l’occultamento di corrispettivo posto a fondamento dell’atto di rettifica.

Ebbene, il motivo che non si correla alla ratio decidendi effettiva della sentenza, ed anzi ne postula una inesistente, è inammissibile alla stregua del principio di diritto (già affermato da Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi, fatto proprio dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7074 del 2017 e già anteriormente da Sez. U n. 16598 e n. 22226 del 2016), secondo cui: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″.

6. Il secondo motivo risulta infondato.

6.1 Quanto alla corretta applicazione delle regole in tema di prova per presunzioni si osserva che nel processo tributario, in tema di formazione della prova critica valgono i medesimi criteri di cui all’art. 2729 c.c., laddove: la “precisione” va riferita all’indizio costituente il punto di partenza dell’inferenza e postula che esso sia ben determinato nella realtà storica; la “gravità” va ricollegata al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d’esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto; la “concordanza”, infine, richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza. (Vedi Cass. n. 15454 e n. 2482 del 2019).

Indubbiamente ” In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3, (e non già alla stregua del cit. art. 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta” (Vedi Cass. n. 29635 del 2018 e n. 19485 del 2017); rileva tuttavia che “Nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza. Il giudice che ricorra alle presunzioni, nel risalire dal fatto noto a quello ignoto, deve rendere apprezzabili i passaggi logici posti a base del proprio convincimento. (Vedi Cass. n. 14762 del 2019).

6.2 Nella specie, la CTR ha fatto corretta applicazione della suindicata regola probatoria in quanto ha desunto la prova presuntiva dell’avvenuto occultamento del prezzo effettivamente corrisposto da una serie di elementi univoci, precisi e concordanti, analiticamente indicati, quali il valore superiore attribuito ai cespiti in una perizia di stima utilizzata dalle parti per fissare il prezzo del preliminare, il contratto di mutuo stipulato dalla società per un importo superiore al prezzo indicato nel definitivo, il verbale di assemblea in cui si deliberava l’acquisto previo utilizzo del finanziamento erogato dalla banca e la copertura della differenza con mezzi propri, il breve lasso di tempo, poco più di due mesi, intercorso tra la stipula dei due contratti, circostanze che, globalmente considerate, soddisfano i criteri di elevata probabilità logica della desumibilità del fatto principale ignoto dai fatti secondari noti.

6.3 Avendo il giudice di merito rispettato tale modus procedendi, attiene alla sua valutazione discrezionale, ed è sottratto al sindacato di legittimità se, come nella specie, congruamente e logicamente motivato, l’apprezzamento circa la precisione, gravità e concordanza degli fatti considerati.

Si ricorda infatti che “In tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,” (Vedi Cass. n. 8023/2009; Cass. n. 15737/2003, Cass. n. 11906/2003, Cass. n. 101/2015 e Cass. n. 1234 del 2019).

7. Inammissibili infine il terzo e quarto motivo; nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. “(Vedi Sez. U n. 8053 del 2014 e tra le tante conformi Cass. n. 21257 del 2014; n. 23828 del 2015; n. 23940 del 2017);

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce dunque nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Si ricorda poi che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

7.1 Nessuna indicazione di un fatto storico omesso è stata invece formulata in ricorso, risolvendosi i due motivi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di appello, in merito all’assenza di prova contraria circa l’avvenuto occultamento di corrispettivo, prova che la società contribuente aveva tentato di offrire giustificando la differenza di prezzo con la differenza di oggetto tra i due contratti.

La CTR infatti, con un’ampia ed esauriente motivazione, ha valutato il contenuto dei contratti, ed escluso che tale prova contraria fosse stata fornita, rilevando che, a prescindere dalla destinazione urbanistica, anche nell’atto definitivo era inserito un terreno individuato catastalmente con particelle che erano presenti, e quindi erano state valutate, nella perizia di stima a cui, pacificamente, le parti avevano fatto riferimento per determinare il prezzo fissato nel preliminare; la censura, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, è pertanto certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.

8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato.

8.1 Segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

8.2 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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