Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30137 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 21/11/2018, (ud. 03/10/2018, dep. 21/11/2018), n.30137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26236/2014 proposto da:

M.M., R.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DEL GOVERNO VECCHIO 115, presso lo studio dell’avvocato MONICA

POGGIOLI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè

sul ricorso 26964/2014 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN

DONATO DI NINEA 23, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI ODDONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO D’ECCLESIIS;

– ricorrente –

contro

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 867/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/05/2014 R.G.N. 2113/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

3/10/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato MONICA POGGIOLI;

udito l’Avvocato MARCO MAGAGLIO per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza n. 867/2014 la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione del Tribunale capitolino, che aveva dichiarato il diritto di M.M., R.D. e D.G., dipendenti dell’ANAS con inquadramento nell’Area Quadri, posizione economica organizzativa A, a percepire l’Elemento Retributivo Differenziato (ERD) e l’assegno ad personam, respingeva le azionate domande.

1.2. Riteneva la Corte territoriale che i suddetti dipendenti, assunti durante la vigenza del c.c.n.l. del 2002, non potessero aver diritto ai pretesi due elementi della retribuzione istituiti nella vigenza del precedente c.c.n.l. al fine di consentire ai dipendenti che, per effetto del differente metodo di inquadramento introdotto dal c.c.n.l. del 1999 rispetto a quello di cui al 1 c.c.n.l. del 18 aprile 1996, ed alla riparametrazione dei livelli di inquadramento dagli originari 9 a 8 posizioni organizzative ed economiche, si fossero trovati a percepire una retribuzione inferiore e dunque al fine di evitare inique sperequazioni.

I nuovi assunti, invece, ad avviso della Corte territoriale, non scontavano problemi di riparametrazione per essere stati già inseriti in un’organizzazione distribuita su 8 parametri retributivi.

In coerenza con tale premessa, il c.c.n.l. del 2002, che all’art. 77, n. 2, lett. A, aveva inserito i suddetti emolumenti tra le componenti della retribuzione fissa (in contrapposizione alle componenti variabili), prevedeva, al successivo punto 4 lett. D, la “conferma” dei relativi importi “nelle misure” non solo già fissate ma anche già corrisposte ai sensi del precedente c.c.n.l..

2. Per la cassazione della sentenza ricorrono M.M. e R.D. con tre motivi e, separatamente, D.G. con un motivo.

3. L’ANAS resiste con separati controricorsi successivamente illustrati da memoria.

4. Hanno, altresì, depositato memoria i soli ricorrenti M. e R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i tre motivi i ricorrenti M. e R. denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 77 del c.c.n.l. 18 dicembre 2002, violazione dell’art. 414 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 e art. 2967 c.c., comma 1, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (inerente la diversità di soluzioni interpretative emerse in sede di consultazione sindacale) che è stato oggetto di discussione tra le parti nel corso dell’udienza del 29 gennaio 2014 del giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Roma sez. lavoro e previdenza, R.G.N. 2113/2012 ed ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, artt. 1363 e 1366 c.c..

2. Lamentano che la Corte territoriale abbia erroneamente escluso che la disposizione contrattuale avesse inteso concedere gli emolumenti in questione a tutti i dipendenti in modo indifferenziato e quindi che la stessa potesse considerarsi applicabile anche ai rapporti avviati, come nella specie, dopo il 2003. Rilevano che nessuno scopo perequativo poteva dirsi sussistente al momento della vigenza del c.c.n.l. del 2002 e che, in conseguenza, la previsione pattizia non aveva altra ragione se non quella di prevedere per tutti i dipendenti gli emolumenti in contestazione.

Sostengono che il giudice di appello avrebbe applicato le regole ermeneutiche di interpretazione dei contratti in modo inesatto e fatto propria (con una motivazione talmente scarna da poter essere considerata inesistente) la lettura della norma in questione come ritenuta dal Tribunale di Roma nella sentenza n. 26240/2012, resa a seguito dell’audizione dei sindacalisti e basata solo sulla valorizzazione di alcune delle soluzioni interpretative offerte in dispregio di altre di segno contrario.

3. Analoghi rilievi prospetta il ricorrente D. con l’unico motivo con cui denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 77 del c.c.n.l. 18 dicembre 2002 egualmente evidenziando che in sede di tale previsione pattizia non vi era alcun motivo per includere l’ERD e l’assegno ad personam a mero scopo perequativo e che pertanto l’inserimento dei suddetti elementi (che ben avrebbero potuto semplicemente essere eliminati) era dimostrativo di una volontà contrattuale di attribuire gli stessi senza riserve o eccezioni, come dimostrato anche dalla lettera D) della medesima norma.

4. Tutti i motivi dei ricorsi, da trattarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati.

5. La questione centrale della presente controversia è rappresentata dall’interpretazione dell’art. 77 c.c.n.l. del 12 dicembre 2002, nella parte in cui ricomprende nella retribuzione fissa l’Elemento Retributivo Differenziato (ERD) e l’assegno ad personam non riassorbile (AD).

6. Una corretta disamina dell’indicata disposizione pattizia impone innanzitutto una ricostruzione del quadro dei rapporti tra le parti sociali nell’ambito del quale la stessa si inserisce.

Va ricordato che in data 18 aprile 1996 era stato stipulato il primo c.c.n.l. dei dipendenti ANAS rimasto in vigore fino al 31 dicembre 1997.

L’art. 70, comma 3, di tale c.c.n.l. per la disciplina delle figure professionali aveva disposto che: “Restano validi pertanto fino all’entrata in vigore del nuovo ordinamento gli attuali inquadramenti per qualifiche funzionali e profili professionali definiti ai sensi della L. n. 312 del 1980 e L. n. 183 del 1990 e del D.P.R. n. 335 del 1990 e D.P.R. n. 385 del 1991…..” e quindi, richiamate le precedenti qualifiche ed i profili professionali previsti dalla normativa previgente, aveva individuato la corrispondenza degli stessi nelle nuove aree e posizioni organizzative ed economiche (livelli 1, livello 2, area operativa e di esercizio, area di base, con ulteriori differenziazioni di posizioni organizzative all’interno di ogni livello o area), secondo quanto riportato nelle tabelle: “F” – “H” allegate al medesimo c.c.n.l..

Il successivo c.c.n.l. di settore relativo al personale non dirigente ANAS stipulato in data 17 maggio 1999 aveva ridisegnato la classificazione del personale prevedendo quattro aree (base, operativa, esercizio, quadri), nuovi livelli (A, A1, B, B1, B2, C, C1, C) e nuovi profili e individuando anche le tabelle di corrispondenza tra gli ex livelli e profili con il nuovo inquadramento.

L’art. 70 del c.c.n.l. del 1999 aveva quindi fissato i minimi tabellari, a decorrere dal 1 luglio 1999, per effetto della nuova classificazione e dell’inquadramento del personale.

7. Tuttavia, come evidenziato nella sentenza impugnata (ed invero incontroverso tra le parti), non essendovi stata una perfetta corrispondenza tra ex livelli e nuove posizioni (vi erano ad esempio due categorie di dipendenti inquadrati nell’area A, provenienti tanto dalla ex ottava qualifica quanto dalla nona) ed essendo cambiata la scala dei parametri a ciascun livello corrispondente (da 100 a 249 per i livelli dal secondo al nono del vecchio sistema si era passati ad una scala da 100 per la categoria C1 a 240 per la categoria A nel nuovo) con perdita di punti parametrali in taluni casi (ad esempio un ex nono livello con il nuovo inquadramento era passato da 249 a 240 punti parametrali; un ottavo livello, se inquadrato in Al, aveva perso 13 punti parametrali) si era reso necessario introdurre correttivi per consentire la conservazione del minimo tabellare.

Così il previsto assegno ad personam serviva a mantenere invariato il livello retributivo per coloro i quali – a seguito della riparametrazione – avrebbero subito una riduzione stipendiale (e dunque colmava il divario che veniva determinarsi per effetto della riduzione del minimo tabellare per gli ex livelli nono e ottavo); egualmente l’ERD serviva a garantire gli aumenti complessivi contrattuali previsti dal c.c.n.l. del 1999, che viceversa sarebbero stati annullati per effetto della revisione dei minimi tabellari.

Tanto era reso evidente dallo stesso contenuto dell’art. 71 di tale c.c.n.l. Minimi tabellari) che operava una graduazione delle suddette voci a seconda delle nuove classificazioni, dei nuovi parametri e dei nuovi minimi tabellari con un effetto di compensazione sulle negatività determinatesi e di salvaguardia degli aumenti retributivi che altrimenti sarebbero rimasti assorbiti nei nuovi minimi tabellari (in particolare l’ERD non era stato previsto per tutti i lavoratori inquadrati nella posizione economica A ovvero in quella Al ma solo per i dipendenti già di nono livello passati in posizione A, dei dipendenti già di ottavo livello passati in posizione Al, dei dipendenti di settimo livello passati in posizione A1; egualmente l’assegno ad personam era stato previsto solo per i dipendenti già di nono livello transitati in posizione A, per i dipendenti già di ottavo livello assegnati alla posizione economica A1).

Le predette voci stipendiali avevano avuto quale precipuo obiettivo quello di evitare squilibri derivanti dal neo introdotto sistema di inquadramento ed avevano interessato quei dipendenti in servizio al momento della stipula del c.c.n.l. del 1999 che, per effetto dello stesso, avrebbero subito un pregiudizio per la differenza tra vecchio e nuovo minimo tabellare e per la perdita di punti parametrali e che, invece, con il meccanismo perequativo avrebbero mantenuto invariato il proprio livello retributivo.

L’art. 70, punto, 2, comma 2, precisava, poi, che: “All’atto dell’eventuale passaggio in una diversa posizione organizzativa o di Area superiore sarà conservata la retribuzione individuale di anzianità, l’arricchimento per esperienza professionale in godimento, l’elemento distinto della retribuzione e l’elemento retributivo differenziato e l’assegno ad personam”.

Ciò voleva dire, come reso palese dalle espressioni utilizzate (“sarà conservata”), che, in caso di progressioni in carriera, il lavoratore avrebbe conservato il diritto a godere, tra gli altri dell’assegno ad personam e dell’elemento retributivo differenziato evidentemente nella stessa misura di cui godeva nella precedente posizione o area.

8. I ricorrenti sostengono che le indicate voci, previste egualmente nell’ambito del c.c.n.l. del 12 dicembre 2002 ed in particolare nell’art. 77, del quale è denunciata l’erronea interpretazione da parte della Corte territoriale, debbano essere riconosciute anche ai dipendenti di nuova assunzione.

9. La tesi non è fondata.

Innanzitutto, pacifica essendo la ratio della introduzione dell’elemento retributivo differenziato e dell’assegno ad personam quali meccanismi perequativi, tali neoassunti, non avendo subito alcuna riclassificazione ed essendo stati già remunerati con riferimento ai nuovi minimi tabellari, non hanno necessità di riparametrazione.

Inoltre non costituisce elemento a sostegno di tale tesi la circostanza che le indicate voci siano presenti nella struttura della retribuzione come individuata dall’art. 77 del c.c.n.l. del 2002 ed in particolare ai punti 9) e 10) della parte A) relativa alla retribuzione fissa.

L’inclusione dell’ERD e dell’assegno ad personam nelle voci di retribuzione fissa costituisce, infatti, argomento neutro per un duplice ordine di ragioni.

Va, infatti, osservato che tale previsione risale già alla omologa disposizione del contratto 1999 (art. 70, n. 2, lett. A) nell’ambito del quale le indicate voci erano state riconosciute solo in favore di taluni dipendenti e per le indicate necessità perequative.

In ogni caso l’inserimento di elementi nella retribuzione fissa non esclude che possa trattarsi di benefici riconosciuti solo a talune categorie di lavoratori (si pensi alla retribuzione individuale di anzianità prevista dal D.P.R. n. 44 del 1990, art. 9,comma 5, in favore del personale statale che avesse maturato dieci o venti anni di servizio e riconosciuta solo in favore di quei dipendenti che la percepivano prima della privatizzazione dell’ANAS o all’arricchimento esperienza professionale riconosciuto, dall’art. 75 del c.c.n.l. del 1996, a decorrere dal 1 giugno 1996, sotto forma di incrementi mensili lordi, solo in favore di quei dipendenti che nel biennio 19961997 avessero maturato l’anzianità di servizio complessiva alle dipendenze dell’Ente o di altra amministrazione dello Stato).

Pertanto, l’indicazione dell’ERD e dell’assegno ad personam risponde a criteri qualificativi e non può consentire l’automatica estensione di tali voci a tutti i lavoratori.

10. Quanto alla precisazione contenuta nel punto D) dell’art. 77 del c.c.n.l. del 2002 (“rimangono confermati gli importi relativi all’elemento retributivo differenziato, all’assegno ad personam ed all’e. d. r. nelle misure già fissate corrisposti a decorrere dal 1 luglio 1999”), è ragionevole ritenere, anche alla luce di quanto sopra evidenziato con riferimento alla previsione di cui all’art. 70, punto, 2, comma 2, del c.c.n.l. del 1999 (“sarà conservata”), che la stessa valesse solo a salvaguardare le posizioni di coloro che già beneficiavano di detti elementi retributivi siccome fissati e corrisposti a decorrere dal 1 luglio 1999. Tale opzione interpretativa, supportata dal dato letterale della prevista “conferma” dei relativi importi “nelle misure” non solo già “fissate” ma anche “corrisposte” (decisamente ostativa ad una lettura nel senso di un riconoscimento ex novo a tutti i dipendenti, e dunque anche ai nuovi assunti), è confortata anche dalla lettura del successivo art. 78, in tema di minimi tabellari, che non riporta più la tabella di perequazione già prevista dall’art. 71 della precedente contrattazione.

Era, dunque, essenziale, per salvaguardare le posizioni già attinte negativamente dalla riclassificazione operata proprio con effetto dal 1 luglio 1999, introdurre una clausola che garantisse in favore di tali categorie il mantenimento degli emolumenti già riconosciuti nella precedente contrattazione collettiva.

Peraltro, ove l’intendimento fosse stato quello di riconoscere a tutti i quadri, di cui alla posizione A, gli elementi aggiuntivi già previsti dalla precedente contrattazione, essi avrebbero perso la connotazione perequativa che ne aveva imposto l’introduzione, onde non avrebbe avuto ragion d’essere il mantenimento degli stessi come voci distinte, piuttosto che essere più semplicemente ricompresi nei minimi contrattuali; viceversa, proprio perchè tali voci continuavano a mantenere la loro funzione di adeguare le posizioni degli originari beneficiari, sono state mantenute come elementi distinti, ulteriori rispetto al minimo contrattuale in quanto riconosciuti solo in favore di determinate categorie.

11. E’, allora, corretta la soluzione interpretativa della Corte territoriale, “conforme – come si legge – all’esito delle informative sindacali assunte nel giudizio conclusosi con la sentenza del Tribunale di Roma del 4/12/2013 in causa RG 26240-12, in atti, quali ivi, ampiamente riportati”.

Di tale avvenuta consultazione delle organizzazioni sindacali danno atto gli stessi ricorrenti ( M. e R.) i quali anzi evidenziano (pag. 22 del ricorso) che della questione relativa all’interpretazione sindacale le parti avevano discusso all’udienza del 29/1/2014 (doc. F di parte ricorrente).

Nè può ritenersi meramente apparente la motivazione della sentenza nella parte in cui ha richiamato, a conforto dell’opzione interpretativa privilegiata, l’esito delle informative sindacali assunte nell’altro giudizio definito con sentenza del Tribunale, essendosi realizzata una economia di scrittura, avuto riguardo alla circostanza che si trattava di elementi (informazioni sindacali e sentenza del Tribunale) già noti alle parti ed alle stesse formalmente sottoposti (doc. G di parte ricorrente) – v. Cass. 11 febbraio 2011, n. 3367; Cass. 22 maggio 2012, n. 8053.

Peraltro, le informazioni ed osservazioni rese da rappresentanti di associazioni sindacali, pure con riguardo al contenuto ed alla portata di un contratto collettivo, secondo la previsione dell’art. 425 c.p.c., non costituiscono esse stesse un mezzo di prova ma hanno la funzione di fornire chiarimenti ed elementi di valutazione riguardo agli elementi di prova già disponibili, rientrando, in tali limiti, nella nozione di materiale istruttorio utilizzabile dal giudice di merito ed essendo soggette ai principi generali in tema di valutazione delle prove – Cass. 20 gennaio 1983, n. 589; Cass. 19 giugno 2004, n. 11464.

Nella specie il Giudice di appello si è avvalso, con la tecnica del rinvio, di informazioni provenienti da persone legittimate a renderle per conto delle rispettive associazioni di appartenenza (si evince dalla sentenza del Tribunale richiamata in quella oggetto del presente ricorso che era stata disposta l’audizione di due sindacalisti per parte in ordine alla conclusione dei contratti collettivi del 1999 e del 2002), al fine di meglio comprendere la fattispecie sottoposta al suo esame, con ciò utilizzando in modo del tutto corretto lo strumento processuale apprestato.

Delle indicate informative sindacali la Corte territoriale ha, per completezza espositiva, richiamato quelle in linea con la soluzione interpretativa prescelta. Il che integra una sintesi valutativa di quello che è stato il percorso argomentativo del Tribunale che di tali informative (dando conto anche della tesi di chi come i sindacalisti Ma. e A. avevano sostenuto che già a partire dal 1999 l’azienda aveva riconosciuto anche al personale non rientrante nelle categorie indicate nel contratto gli emolumenti in questione) ha valorizzato quelle che avevano escluso che le parti sociali, nella contrattazione 2002, avessero inteso estendere l’ambito di applicazione delle predette voci oltre gli originari destinatari; ciò in particolare escludendo ogni rilevanza all’inclusione degli stessi come elementi fissi della retribuzione e valorizzando la ratio dell’originaria previsione di cui al c.c.n.l. del 1999, intesa quale compensazione per la perdita ricevuta a seguito della riparametrazione, e di quella di cui all’art. 77, punto D, del c.c.n.l. del 2002, intesa come clausola di salvaguardia che continuasse a consentire la percezione di tali emolumenti alle predette categorie, indicando chiaramente, come epoca di riferimento, la decorrenza della pregressa contrattazione quanto ai minimi tabellari.

12. Dalle esposte considerazioni deriva che i ricorsi devono essere rigettati.

13. La novità delle questioni trattate dinanzi a questo giudice di legittimità costituisce motivo per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

14. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, poichè l’obbligo del pagamento dell’ulteriore contributo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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