Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30134 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. I, 30/12/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 30/12/2011), n.30134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHIANA

87, presso lo studio degli avvocati MONELLO NUNZIATA e MAGRO

FRANCESCO, che lo rappresentano e difendono, giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANIA del 21.2.07,

depositato il 16/03/2007, nel procedimento n. 367/2006 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO SCHIRO’;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. IGNAZIO

PATRONE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.C. ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri avverso il decreto indicato in rubrica, con il quale la Corte di appello di Catania ha condannato la Presidenza intimata al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 1.500,00 – pari ad Euro 250,00 per ogni anno di ritardo – per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti al Tar di Catania il 10 gennaio 1998 e ancora pendente alla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio per equa riparazione (29 novembre 2006). La Presidenza intimata non ha svolto difese.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo e il terzo motivo il ricorrente – denunciando violazione di legge e vizio di motivazione- deduce che l’importo liquidato a titolo di equo indennizzo è inferiore ai parametri stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione e si critica il decreto impugnato, per avere la Corte di appello di Catania apoditticamente determinato in tre anni, e non in un solo anno, il termine di durata ragionevole del processo presupposto.

I primi due motivi sono fondati. Infatti la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 250,00 per anno di ritardo è irragionevolmente inferiore a quella calcolata in base ai parametri stabiliti dalla CEDU, come interpretati e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte (Euro 750,000 per i primi tre anni di durata non ragionevole ed Euro 1.000,00 per ogni anno successivo;

cfr. Cass. 2010/17922).

Il secondo motivo è privo di fondamento. Osserva al riguardo il collegio che il dato fondamentale, ai fini dell’accertamento della violazione del termine ragionevole, è quello, di natura oggettiva, costituito dalla durata del processo, sul quale possono incidere i criteri indicati nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 (complessità del caso, comportamento delle parti, del giudice del procedimento e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o contribuire alla sua definizione), senza però che si possa trascurare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass. S.U. 2004/1338; Cass. 2005/8600) e dovendosi comunque far riferimento ai criteri cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, le cui sentenze in ordine all’interpretazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo costituiscono per il giudice italiano la prima e più importante guida ermeneutica, consentendo la corretta applicazione di un criterio, quale quello della ragionevolezza, che ha insiti in sè indubbi margini di elasticità (Cass. 2005/1094).

Considerato quanto precede e tenuto conto dei parametri cronologici elaborati dalla Corte europea, secondo i quali il limite massimo di ragionevole durata del processo di primo grado è di circa tre anni, (Cass. 2008/14), risulta conforme ai richiamati parametri della Corte europea e comunque sorretta da sufficiente e congrua motivazione, la decisione, assunta nel caso di specie, dalla Corte territoriale, di stabilire in tre anni il termine di ragionevole durata del processo, svoltosi solo in primo grado.

Il ricorso merita pertanto accoglimento nei termini sopra precisati e il decreto impugnato deve essere conseguentemente annullato in ordine alla censura accolta e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Determinata in cinque anni e dieci mesi la durata non ragionevole del giudizio svoltosi davanti al Tar Catania – secondo l’accertamento compiuto dalla Corte di appello, infondatamente censurato alla stregua di quanto rilevato in precedenza – il parametro per indennizzare il ricorrente del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.

Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata.

Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819; 2010/17922). Nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di cinque anni e dieci mesi, l’indennizzo di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato la Presidenza soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352).

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente della somma di 5.250,00,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo. Condanna inoltre la Presidenza socombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito che si liquidano in Euro 1.140,00 di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 665,00 di cui Euro 565,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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