Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30134 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 20/11/2019), n.30134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31774-2018 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO

NOVELLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositato il

13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

A.A., pakistano, ricorre per cassazione contro il decreto del tribunale di Caltanissetta, pubblicato il 13-9-2018 e comunicato in pari data, che ne ha rigettato la domanda di protezione internazionale;

il ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il tribunale ha motivato la decisione affermando che la versione dei fatti resa dal richiedente al fine di giustificare l’allontanamento dal paese di origine (il Pakistan, regione del Punjab) non poteva ritenersi credibile, essendo stata incentrata su generici episodi di costrizione al trasporto di armi per conto di una non ben precisata organizzazione criminale che ne aveva rapito il padre;

tale versione il tribunale ha ritenuto contraddittoria e logicamente implausibile alla luce delle stesse circostanze narrate;

a tanto il tribunale ha aggiunto che dal rapporto Easo aggiornato la zona di provenienza del richiedente non era risultata caratterizzata da situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, e che per sostenere la domanda di protezione umanitaria era stata allegata unicamente l’attività lavorativa intrapresa in Italia, senza indicazione di concrete ragioni di vulnerabilità sul piano dell’esercizio dei diritti umani inalienabili;

il ricorrente propone tre motivi di ricorso;

col primo denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere il tribunale applicato il principio dell’onere probatorio attenuato e per non aver valutato la credibilità personale del richiedente secondo i parametri indicati dalla legge;

il motivo, in disparte l’inconferente richiamo (qui come negli altri) all’art. 112 c.p.c., (che attiene alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nella specie non messa in discussione), è inammissibile;

il tribunale ha escluso la credibilità dei fatti esattamente uniformandosi al dettato normativo, tanto che il giudizio è stato sostenuto da chiari riferimenti alla contraddittorietà, all’incoerenza e alla non plausibilità delle dichiarazioni in rapporto alle stesse premesse del racconto;

il sindacato sulla credibilità del richiedente integra un giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimità;

col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere il tribunale riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita derivante da situazione di violenza indiscriminata;

il motivo è inammissibile poichè postula un sindacato di fatto circa il diverso giudizio di non sussistenza di una simile situazione di violenza indiscriminata nella zona di provenienza del ricorrente; giudizio motivatamente espresso dal tribunale mediante indicazioni delle apposite fonti di conoscenza (v. Cass. n. 11312-19);

col terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., t.u. imm., art. 19, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, censura la decisione a proposito della protezione umanitaria, per non aver valutato la gravità della situazione del Pakistan correlandola a quella personale caratterizzata dall’esercizio, in Italia, di una regolare e assidua attività di lavoro; anche il terzo motivo è inammissibile;

la domanda di protezione umanitaria è stata disattesa perchè niente altro che l’esercizio dell’attività di lavoro era stato concretamente allegato a sostegno della stessa; e in tal guisa il tribunale ha osservato che l’esercizio di tale attività non significava che il ricorrente fosse persona effettivamente vulnerabile ovvero pregiudicato nell’esercizio dei diritti umani inalienabili;

su questo punto il ricorrente sollecita una diverso apprezzamento affermando esser mancato l’esame dei requisiti della domanda di protezione umanitaria;

tuttavia la censura si rivela generica, poichè incentrata su astratti riferimenti di principio in ordine alla atipicità e alla residualità della tutela umanitaria contraddetti dalla tesi prioritariamente rappresentata;

invero il ricorrente assume che la protezione umanitaria si sarebbe dovuta accordare in base alle medesime allegazioni a sostegno della domanda di protezione sussidiaria;

ora questo è inesatto, poichè giustappunto la protezione umanitaria implica una valutazione autonoma in relazione a un ben specificato grado di vulnerabilità personale: in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al t.u. imm., art. 5, pur nella specie invocato (v. d’altronde Cass. n. 9304-19, Cass. n. 11267-19);

di contro il ricorrente ha omesso di specificare a cosa fosse stata in effetti associata la domanda di protezione in aggiunta al mero rilievo di attuale svolgimento di attività di lavoro, di per sè ovviamente non giustificativo di inferenze sui livelli di vulnerabilità dello straniero; la declaratoria di inammissibilità del ricorso implica doversi dare atto dell’esistenza del presupposto per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (Cass. n. 9660-19), se dovuto (Cass. Sez. U n. 23535-19).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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