Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30130 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 20/11/2019), n.30130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12587-2018 proposto da:

G.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

PASQUALE STAROPOLI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, depositato il

27/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.P. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c. – avverso il decreto del Tribunale di Reggio Calabria del 27 marzo 2018, reiettivo dell’opposizione ex art. 98 L.Fall. da lei promossa in relazione all’esclusione dal passivo del fallimento “(OMISSIS) s.p.a. in liquidazione” del proprio credito di Euro 56.235,54, invocato a titolo di compenso D.M. n. 430 del 1992, ex art. 17. La curatela del menzionato fallimento non ha svolto difese in questa sede.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, il tribunale reggino, pur considerando munita di data certa anteriore al fallimento, ex art. 2704 c.c.., la scrittura privata su cui si fondava il suddetto credito, ha ritenuto quest’ultimo carente di allegazione e prova dei dati giustificativi del quantum preteso, giudicando, a tal fine, insufficiente la mera parcella delle spese e prestazioni, corredata dal parere della competente associazione professionale, prodotta dall’opponente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate censure prospettano:

I) “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5” perchè, diversamente da quanto opinato dal giudice a quo, l’allegazione dei parametri alla cui stregua era stato determinato il credito era contenuta al n. 7 dell’opposizione allo stato passivo. Inoltre, era stata la stessa curatela, nella propria memoria di costituzione, ad ammettere, pacificamente, che l’importo richiesto rappresentava “il calcolo pari all’80% su Euro 69.376,88, onorari percepiti, per l’anno 2010”, dalla G.;

II) “violazione e falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, atteso che la curatela fallimentare aveva contestato, per la prima volta, la quantificazione del credito soltanto nella memoria di costituzione nel giudizio ex art. 98L.Fall..

2. La prima di tali doglianze è complessivamente inammissibile per violazione del principio di cui al combinato disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

2.1. Invero, l’assunto secondo cui l’allegazione dei parametri alla cui stregua era stato determinato il credito sarebbe stata “contenuta al n. 7 dell’opposizione allo stato passivo” non è stata corredata dalla trascrizione, almeno in forma sintetica, del corrispondente atto, come, invece, sarebbe stato preciso onere della G. al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimità, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative (cfr.., ex multis, Cass. n. 6735 del 2019; Cass. n. 24340 del 2018; Cass. n. 5478 del 2018; Cass. n. 22880 del 2017, soprattutto in motivazione). La parte che intenda dolersi dell’erronea valutazione di un atto o documento da parte del giudice di merito, infatti, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso), sicchè la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il motivo di ricorso inammissibile (Cfr. Cass. n. 29093 del 2018; Cass. n. 19048 del 2016).

2.2. Altrettanto carente di specificità, poi, si rivela l’ulteriore affermazione della ricorrente che “al netto delle valutazioni pro domo propria, è la stessa curatela, nella memoria di costituzione, ad ammettere pacificamente che l’importo richiesto rappresenta “il calcolo pali all’80% su 69376,88, onorari percepiti per l’anno 2010%. Difatti, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, il ricorrente, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, ha l’onere di indicare non solo con quale atto ed in quale sede sia stata fatta quella deduzione in fatto, ma anche in quale modo la circostanza sia stata provata o risultata pacifica (cfr. Cass. n. 24062 del 2017; Cass. n. 15961 del 2007): occorreva, pertanto, non solo indicare l’atto processuale in cui la curatela fallimentare avrebbe mancato di sollevare la contestazione, ma, altresì, dare conto dello specifico contenuto di tale atto (soprattutto in considerazione del fatto che dal decreto impugnato emerge che la curatela medesima, costituendosi nel giudizio ex art. 98 L.Fall. aveva contestato “la mancata allegazione e prova dei dati giustificativi del quantum preteso” dalla controparte), così da consentire a questa Corte di vagliare, compiutamente, la decisività della censura.

2.2.1. In ogni caso, la riportata affermazione della G., da un lato, oblitera totalmente il principio, sancito dalla Suprema Corte, secondo cui, in tema di verificazione del passivo, il principio di non contestazione, che pure ha rilievo rispetto alla disciplina previgente quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perchè non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (ed al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove (cfr. Cass. n. 19734 del 2017); dall’altro, investe un elemento valutativo riservato al giudice del merito, atteso che – nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., secondo cui la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della relevatio ab onere probandi – spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto a lui riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Eir.., eti Cass. n. 3680 del 2019; Cass. n. 13217 del 2014).

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato, atteso che, come ormai da tempo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di ius novorum, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del thema disputandum e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (Dott.., ex multis, Cass. n. 19003 del 2017; Cass. n. 8929 del 2012).

4. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronuncia circa le spese di questo giudizio di legittimità, dandosi atto, altresì, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, – giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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